Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/72


56

tore. — Il sultano è il padrone,» soggiunse Scheherazade; «bisogna fare quanto a lui piacerà.» Il sultano, che non avea minor desiderio d’udire il resto del racconto, differì ancora la morte della moglie.


NOTTE XI


Schahriar e la principessa sua sposa passarono la notte nel modo medesimo delle precedenti, e prima che spuntasse l’alba, Dinarzade li svegliò colle seguenti parole, da lei volte alla sultana: — Sorella, ti prego di continuare il racconto del pescatore. — Ben volontieri,» rispose Scheherazade; «io mi farò premura d’accontentarti, col permesso del sultano.

«Quando il genio,» proseguì ella, «ebbe promesso di rispondere la verità, il pescatore disse: — Io vorrei sapere se realmente voi eravate in questo vaso; potreste voi giurarlo pel gran nome di Dio? — Sì,» rispose il genio, «giuro per codesto gran nome, che io era in esso, e ciò è verissimo. — Affè,» soggiunse il pescatore, «io non posso crederlo. Questo vaso non sarebbe capace di contenere neppur uno de’ vostri piedi: come può darsi che il vostro corpo vi stesse rinchiuso per intiero? — Eppure ti giuro, che io c’era tal quale mi vedi. Non vorresti forse credermi dopo il gran giuramento che t’ho fatto? — No davvero,» disse il pescatore, «io non vi crederò finchè non me lo mostriate in fatto.

«Allora la corporea sostanza del genio si disciolse, e cambiandosi in fumo, si distese come prima sul mare e sulla riva, poi raccogliendosi, cominciò a rientrare nel vaso a poco a poco, e continuò così successivamente e con lentezza, finchè non rimase più nulla al di fuori. Allora ne uscì una voce che disse: