Le Mille ed una Notti/Storia d'un Sultano dello Yemen e de' suoi tre Figliuoli

Storia d'un Sultano dell'Yemen e de' suoi tre Figliuoli

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Storia d'un Sultano dell'Yemen e de' suoi tre Figliuoli
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STORIA


D’UN SULTANO DELLO YEMEN

E DE’ SUOI TRE FIGLIUOLI.


«— Un sultano dello Yemen aveva tre figliuoli, due della stessa madre ed il terzo d’un secondo letto. Essendosi quel principe disgustato dell’ultima moglie, l’aveva relegata fra i più infimi servi, lasciandola vivere col figlio, ambedue confusi nella folla degli schiavi dell’harem. Un giorno, sollecitando i due maggiori dal sultano il permesso d’andar a caccia, il padre diede a ciascun di loro un cavallo di pura razza riccamente bardato, ed ordinò che un seguito conveniente li accompagnasse.

«Partiti che furono, il disgraziato loro fratello recossi dalla madre, e le manifestò il desiderio di andare, come i due maggiori, a godere del diletto della campagna. — Figliuolo,» rispose la povera derelitta, «non è in mia facoltà il procurarti un cavallo, nè cosa alcuna che ti sia necessaria.» Quel rifiuto strappando al giovanetto amarissime lagrime, la madre allora gli diede alcuni gioielli che le rimanevano dell’antica grandezza, e ch’egli andò a vendere; ma così tenue fu il prezzo che ne ritrasse, da non poter comperarsi se non un cavallo zoppo. Nondimeno, lieto del suo acquisto, salì sul meschino animale, ed affrettossi in traccia de’ fratelli. Già errava da due giorni senza poterli raggiungere, allorchè vide in mezzo alla strada un collare di smeraldi e perle, che riluceva [p. 179 modifica] assai, e pareva avesse servito a tener legato un uccello. Lo raccolse, se l’annodò intorno al turbante, e riprese il cammino della città, tutto altero della scoperta. Ma quando fu prossimo a giungervi, incontrò i fratelli, i quali, precipitatolo da cavallo, lo percossero e gli strapparono il gioiello. Li superava egli ambedue in forza e valore; ma temette, punendo gli aggressori, di eccitare la collera del sultano, e compromettere così la sicurezza della madre; talchè sofferse, senza mormorare, l’indegno trattamento e la perdita fatta.

«Dopo simile atto di viltà, rientrati i principi nella reggia, offrirono il collare al sultano, il quale, ammiratolo assai, disse ai figliuoli: — Non sarò contento se non quando avrò l’uccello al quale questo collare deve appartenere. — Ne andremo in traccia,» risposero i giovani, e lo recheremo al nostro augusto padre e sultano. —

«Fatti i necessari preparativi, i due fratelli partirono, ed il minore, montato sul suo cavallo storpio, ne seguì le orme. Dopo tre giorni di cammino, trovossi in un deserto, ed attraversatolo con molta fatica, giunse infine, dopo infiniti stenti, alle porte d’una città sconosciuta, entrando nella quale, udì da ogni parte gemiti e grida di disperazione; poco dopo incontrato un vecchio venerabile, e salutatolo rispettosamente, gli chiese la cagione di quel lutto universale. — Figliuolo,» rispose il vecchio, «sono quarantatrè anni che, in un dato giorno, presentasi alle nostre mura un mostro terribile, il quale c’intima di abbandonargli una verginella, minacciando, in caso contrario, di distruggere la città. Troppo deboli per difenderci, abbiamo subito la crudele condizione, ed ogni anno la sorte designa quella delle nostre figliuole ch’esser deve sagrificata. Il decreto fatale è oggi caduto sulla bella e virtuosa figlia del nostro sultano. [p. 180 modifica] Il mostro sta per venire secondo il solito, ed è appunto il lagrimevol caso della principessa che ci immerge tutti in tanta costernazione. —

«A simile notizia, il giovane si fece condurre nel sito in cui doveva apparire il mostro, risolutissimo di vincerlo o morire. Appena giunse, avvicinossi la principessa coperta di ricche vesti, ma colla testa china ed occhi lagrimosi. Le fece egli un profondo inchino, ch’ella gli restituì, dicendo: — Fuggite, giovane imprudente, fuggite da questi luoghi; tra poco comparirà il mostro, al cui furore mi abbandona l’infelice mio destino; io sola ne debbo esser vittima. — Principessa,» egli rispose, «so qual sorte v’è riserbata, e son deciso a dividerla con voi, se non giungo a sottrarvene. —

«Terminava appena quelle parole, quando, sollevatosi un gran nembo di polve, ne uscì di mezzo il mostro furioso, mandando urli spaventevoli, e battendo i giganteschi fianchi coi triplici giri dell’enorme sua coda. La principessa, colta da terrore, mise un acutissimo strido, e cadde priva di sensi; ma il principe, sguainata la scimitarra, corse alla volta del mostro, il quale, nella sua ira, gettando fiamme dall’ampie nari, slanciossi sull’avversarlo. Il gagliardo giovane, con inconcepibile agilità, si sottrasse a’ suoi assalti, girò rapidamente intorno all’animale, e spiato il momento propizio, precipitandosegli addosso, lo colse sulla fronte con tale un fendente che gli spaccò la testa. La mostruosa belva cadde allora al suolo, spirando in mezzo ad orrendi ruggiti.

«La principessa, tornata in sè durante la terribile scena, e vedendo abbattuto il mostro, corse dal liberatore, e strappandosi il velo, ne asciugò il sudore che, misto alla polve, gli copriva il volto, prodigandogli nello stesso tempo tutti i ringraziamenti che la riconoscenza può suggerire. — Tornate agli afflitti [p. 181 modifica] vostri parenti,» le disse il principe con modestia; ma ella rifiutò, dicendo: — O mio signore! o luce degli occhi miei, siate mio, com’io a voi m’abbandono. — Aimè! ciò che desiderate è impossibile,» rispose il principe, allontanandosi rapidamente, e rientrato nella città, prese alloggio nel quartiere più remoto.»

NOTTE DLXXXV

— «Intanto ognun giudichi della sorpresa del sultano e della sua sposa quando rividero la principessa. Non osavano sulle prime abbandonarsi alla gioia, per tema non il mostro tornasse a cercare la preda; ma la giovane fu sollecita a raccontar loro la storia della sua liberazione, e subito il sultano, la corte e la maggior parte dei cittadini andarono a contemplare il mostro che trovarono disteso a terra; tutti resero azioni di grazie all’Altissimo, dimostrando la più viva allegrezza, ed il sultano, impaziente di attestare al liberatore della figlia la sua gratitudine, le chiese se lo riconoscerebbe. — Senz’alcun dubbio,» rispose quella; ed in fatti l’amore aveva troppo profondamente impressi nel cuore della fanciulla i lineamenti del giovane, perchè li potesse dimenticare.

«Il sultano fece allora proclamare un bando che ingiungeva a tutti gli uomini della città di passare sotto alle finestre della figliuola, ordine che fu eseguito per tre giorni, senza ch’ella vedesse comparire il suo campione. Informatosi il monarca se tutti si fossero arresi alla sua intimazione, seppe che ognuno vi si era uniformato, tranne un giovanetto che albergava in certo caravanserraglio, ed il quale, nella sua [p. 182 modifica] qualità di straniero, credevasi dispensato dall’obbedire. Avendogli allora il sultano fatto dire di presentarsi, l’ebbe la principessa, appena veduto che, gettatogli sulla testa un fazzoletto ricamato, sclamò: — Ecco quegli che m’ha liberata dai furori del mostro. —

«Il sultano comandò di condurre alla sua presenza il giovane straniero, e comparso questi, facendo con moltissima grazia le riverenze d’uso: — Generoso straniero,» gli disse il principe, «qual ricompensa può esser degna di tale azione? — Ve n’ha una,» rispose il giovane, «che colmerebbe tutti i miei voti: la mano della bella principessa che ho salvata. — Domandami piuttosto la metà de’ miei tesori,» replicò il sultano. Se non che avendo i ministri ed i grandi della corte rappresentato al monarca l’importanza del servigio reso dallo straniero, egli diede infine il proprio assenso, ed il matrimonio fu celebrato. Ma la prima notte, lo sposo, alzatosi, prese l’anello della moglie, le pose in dito il suo, e le vergò sulla palma della mano queste parole: — Io mi chiamo Aladdin, e sono figlio del possente sultano che regna sull’Yemen: vieni a trovarmi colà se puoi, altrimenti resta in seno della tua famiglia.» E, lasciando l’addormentata sposa, abbandonò la città, continuando i suoi viaggi. In un altro paese, sposò di nuovo la figlia d’un sultano, abbandonandola nella medesima guisa; ma gli avvenimenti che condussero a quel secondo matrimonio non meritano d’essere riferiti.

«Lasciando la seconda moglie, il principe si rimise in cerca dell’uccello, cui apparteneva il collare di smeraldi e di perle, e finalmente giunse alla città dove risiedeva la padrona di quell’animaletto, ch’era la figlia d’un possente monarca. Il nostro viaggiatore, entrato nella capitale, dopo aver vagato per parecchie vie, vide seduto in disparte un [p. 183 modifica] vecchio venerabile che sembrava dell’età di cent’anni circa. Avvicinatosegli, gli chiese se non conoscesse la persona alla quale apparteneva un uccello, che aveva una collana di perle e smeraldi. Stette il vecchio alcun tempo in silenzio, e parve riflettere profondamente; indi: — Figliuolo,» rispose, «molti principi e monarchi hanno tentato d’impossessarsi di quest’uccello e della sua padrona, ma tutti fallirono nei loro tentativi. Pure, avvi forse un mezzo che i miei consigli v’indicheranno: procuratevi sette agnelli, e dopo averli ammazzati e scorticati, tagliateli a quarti, e portateli seco voi per gettarli sul vostro passaggio. Nel palazzo al quale dovrete recarvi, sono otto cortili: sette hanno alla porta due lioni affamati; l’ultimo, dove abita la principessa, è custodito da quaranta schiavi. Andate, e si compia il vostro destino. —

«Il principe, ringraziato il vecchio ed accommiatatosene, seguì punto per punto le istruzioni ricevute, e verso mezzanotte, allorchè più non intese alcuno per le vie, si recò alla prima porta del palazzo, davanti alla quale stavano due lioni mostruosi, i cui occhi mandavan fiamme come fornaci ardenti, e gettato a ciascun di essi un quarto d’agnello, mentre il divoravano, passò innanzi. Giunse così sano e salvo sino all’ottavo cortile, alla cui porta stavano sdraiati i quaranta schiavi, immersi in profondo sonno; entrando con cautela in una sala magnifica, vide la principessa che riposava sur un letto superbo, accanto al quale stava sospesa una gabbia d’aureo filo, adorna di gemme, entro cui era chiuso l’uccello. Avvicinatosi in punta di piedi alla bella dormiente, le segnò sulla palma della mano le seguenti parole: «Io sono Aladdin, figliuolo del sultano dell’Yemen; li vidi addormentata, ed ammirai la tua beltà. Porto via quest’augello che li fu [p. 184 modifica] tanto caro. Se mai ti pigliasse amore di me, o se desideri ritrovare il piccolo tuo favorito, recati alla capitale di mio padre.» Indi partì, e giunto alla pianura, vi si fermò per riposare sino alla mattina.

«Allo spuntar del giorno, rimessosi il principe dalle sue fatiche, invocò l’Onnipossente affinchè lo proteggesse ed impedisse che fosse scoperto, e continuò il suo cammino sino al tramonto. Allora, scorgendo un campo d’Arabi, vi chiese asilo, e fu accolto con premura dal capo, il quale, vedendolo possessore dell’uccello, disse fra sè: — Questo giovane dev’essere favorito dal cielo, che senza tale soccorso, certo non avrebbe potuto conseguire un bene, pel quale tanti illustri personaggi perdettero la vita.» Gli prodigò dunque tutte le cure d’una generosa ospitalità, ma non si permise veruna interrogazione. La mattina seguente, quando si separarono, il capo degli Arabi augurò al principe ogni sorta di prosperità, e gli fe’ dono d’un bellissimo destriero; avendolo Aladdin ringraziato e voltigli i suoi saluti, viaggiò poi senza fermarsi sino alla capitale paterna. Se non che, incontrato nella pianura dai due fratelli, che avevano fallito nella loro spedizione, e vedendo essi in mano del giovane l’uccello e la gabbia, lo rovesciarono da cavallo, e lasciatolo semivivo sul luogo a furia di percosse, rientrarono trionfanti nella città, e presentata al sultano la gabbia, inventarono un’artificiosa novella dei pericoli incorsi nel procurarsela; il sultano, ascoltati con molto interesse i particolari delle pretese loro avventure, colmolli di elogi o di prove d’affetto. Intanto il misero Aladdin ritiravasi presso alla madre, furibondo dell’atroce violenza patita.

«Raccontando alla genitrice i suoi casi, il giovane pianse la fatta perdita, e le manifestò la concepita risoluzione di vendicarsi de’ perfidi fratelli; ma [p. 185 modifica] la sultana, consolandolo alla meglio, lo confortò alla partenza e ad attendere l’adempimento dei decreti di Dio, il quale, giunto che ne fosse il tempo, avrebbe fatto risplendere il suo potere e brillare la sua giustizia.

«Ora torniamo alla principessa. Quando, al destarsi, vide scomparso il vezzoso prigioniero, ne concepì vivissime inquietudini, che raddoppiaronsi vedendo i caratteri tracciati sulla sua mano, e mandando quindi acutissime strida, accorsero tutte le ancelle, che trovandola agitata, sollecitaronsi di andare a prevenirne il sultano, il quale, partecipando al loro trambusto, recossi immediatamente alle stanze della figliuola. La principessa, calmatasi alquanto, esposegli la perdita dell’augello, gli fece leggere le parole scritte sulla mano, e dichiarò che non isposerebbe mai altr’uomo fuor di quello che l’aveva veduta addormentata. Il sultano, tentate alcune inutili rimostranze, appigliossi al partito di andar colla figlia in traccia del principe, e diede ordine che l’esercito si tenesse pronto a marciare verso l’Yemen.

«Adunate le truppe, il sultano condusse la figliuola al campo, e la mattina dopo diè il segnale della partenza, venendo la principessa e le sue ancelle condotte in magnifiche lettighe. Giunti vicino alla città in cui Aladdin aveva sposato in secondo matrimonio la figliuola del sultano del paese, sostarono, e spedito a quel principe un ambasciatore per chiedergli licenza d’accampare e comprar provvigioni, fu questi ricevuto onorevolmente, ed il re recossi a visitare in gran pompa il monarca suo fratello, che lo informò dell’oggetto del viaggio. I rapporti esistenti tra questa storia e quella della propria figliuola, lo convinsero che il rapitore dell’uccello altri non fosse che il liberatore della principessa, e determinossi ad unirsi alla spedizione. Dopo tre giorni di [p. 186 modifica] allegrezze e di splendide feste, i due sultani, colle figliuole, seguiti dalle loro forze riunite, si posero in via per l’Yemen, a penetrar nel qual paese fu d’uopo attraversare la capitale del primo sultano, di cui Aladdin aveva sposata la figlia, dopo averla strappata all’ingordigia del mostro.

«All’arrivo dei due monarchi in quella città, una spiegazione consimile alla prima indusse il terzo sultano a seguire i due altri in cerca del marito di sua figlia, che volle anch’essa unirsi all’altre due. Si posero pertanto in cammino, e strada facendo, quella che aveva perduto l’uccello, ebbe dalle compagne le particolarità più gradite intorno alla bellezza di Aladdin, al di lui coraggio ed al suo spirito; talchè il ritratto che glie ne fecero, raddoppiò la di lei impazienza di vederlo. Infine, dopo una lunga e non interrotta marcia, i tre sultani giunsero all’Yemen, e verso il cader del sole stabilirono il campo non lungi dalla capitale, in una fertile e lussureggiante pianura.

«Non fu senza maraviglia, nè qualche timore che il sultano dell’Yemen vide quel numeroso esercito accampato a sì breve distanza dalla sua capitale; ma nascoste le proprie inquietudini, impartì ordini perchè la città fosse posta al sicuro d’ogni sorpresa durante la notte. La mattina però dissiparonsi tutte le sue ambasce, allorchè i sultani alleati, deputatogli un ambasciatore, carico di ricchi doni, venne questi ad assicurarlo, da parte loro, che non meditavano nulla d’ostile contro di lui, ed a pregarlo di volerli onorare d’una visita nel loro campo. Il sultano, accampagnato dalla corte, e con pomposo treno, recessi all’invito dei tre sovrani, i quali lo ricevettero coi saluti e le cerimonie d’uso, conducendolo quindi in una magnifica tenda di velluto cremisi con frange e cordoni d’oro, aste d’argento massiccio, e fodera [p. 187 modifica] d’un ricchissimo tessuto dello stesso metallo, ricamato a fiori rilevati in seta di tutti i colori, e misti a foglie e lamine d’oro. L’interno era guernito di superbi tappeti, ed all’estremità superiore, sopra una tribuna coperta di broccato d’oro, stavano quatto sedili, coi cuscini di velluto persiano, smaltato di finissime perle.»

NOTTE DLXXXVI

— «Seduti i monarchi, ed allorchè il sultano dell’Yemen fu informato del motivo che aveva condotto nel suo paese i tre alleati, ammannite le mense, servironsi i più appetitosi cibi in piatti d’agata, d’oro e di cristallo. D’oro pure, e smaltati di gemme, erano i bacili ed i vasi contenenti l’acqua per le abluzioni. Tutto insomma era sì splendido ed abbagliante, che il sultano dello Yemen ebbe gran pena a frenare la propria maraviglia. — Per Allah,» diceva fra sè, «finora io non aveva veduta tanta ricchezza, tanta eleganza, nè tal numero d’oggetti preziosi.» Dopo la refezione, si portarono caffè, varie sorta di confetture e sorbetti, e gli augusti viaggiatori si misero a conversare. Il sultano dell’Yemen, interrogato se avesse figliuoli, rispose di averne due, ed invitato a mandarli a prendere, spedì un messo a pregarli di venire. Accorsero infatti i principi al campo, vestiti d’abiti magnifici e montati su cavalli riccamente bardati. Appena comparsi, le principesse, sedute in luogo appartato, che una gelosia a grate d’oro toglieva all’altrui vista, li guardarono con [p. 188 modifica] particolare sollecitudine, e quella che avea perduto l’augello, domandò alle compagne qual de’ due fosse il loro marito. — Nè l’uno, nè l’altro,» risposero queste, protestando che l’avvenenza e l’aria piena di nobiltà del giovine, lo rendevano superiore d’assai a que’ due signori. I sultani fecero la medesima interrogazione alle loro figliuole, e n’ebbero la stessa risposta.

«Domandarono dunque al padre dei principi se non avesse alcun altro figliuolo; ed egli, risposto d’averne un terzo, ma che da molto tempo avealo allontanato, colla madre, dalla sua presenza, vivendo ambedue fra gli schiavi della reggia, mostrarono i sultani desiderio di vederlo, e tosto il giovane comparve coperto d’abiti grossolani; ma le due principesse lo riconobbero al primo sguardo, sclamando: — Ahi eccolo! è desso il nostro caro sposo!» Abbracciaronlo i sultani e lo fecero condurre dalle figliuole, le quali precipitaronsi nelle sue braccia coi trasporti della più vìva tenerezza, mentre la terza fanciulla, col viso coperto dal velo, si prosternava a lui davanti, baciandogli la mano.

«Dopo iscena sì commovente, il giovane tornò dai tre sultani, i quali, ricevutolo con tutti i riguardi, lo fecero sedere. Suo padre non poteva credere a’ propri occhi; ma il suo stupore raddoppiò allorchè vide il principe volgersi ai fratelli, e dir loro con voce alta ed animata: — Chi di voi fu primo a trovare la collana di perle e di smeraldi?» Nessuno rispose. Il giovane continuò: - Chi di voi, sostenuto dal proprio coraggio e dalla sua fiducia nell’Onnipossente, uccise il mostro feroce ed atterrò l’elefante? Chi di voi ha osato penetrare nel palazzo de’ leoni, e rapirne la gabbia e l’uccello? Quando ambedue vi precipitaste vilmente su di me, quando mi strappaste il frutto delle perigliose mie fatiche, avrei potuto combattere e vincervi; ma preferii attendere il [p. 189 modifica] giorno prefisso dalla Provvidenza, per potermi vendicare di voi e disarmare l’ingiusto rigore d’un padre, che allontanando da sè l’infelice mia genitrice e me suo figliuolo, ne spogliava del legittimi nostri diritti.» Ciò dicendo, sguainata la scimitarra, nè sapendo più frenare il suo furore, precipitossi sui due principi, e d’un sol colpo li stese morti al suolo. Il vecchio sultano, col capo chino sul petto, non osava alzare gli occhi su quel figlio, che aveva sì crudelmente maltrattato; ma questi, gettatosegli a’ piedi: — Non vi domando nulla per me,» scongiurava, «ma restituite a mia madre, in un col vostro affetto, il grado e la dignità che le si convengono.» Il sultano, intenerito, lo strinse caldamente al cuore, e la più sincera riconciliazione fu giurata in presenza dei tre sovrani stranieri. Celebraronsi poscia le nozze dell’ultima principessa, ed i sultani, dopo aver per quaranta giorni preso parte alle feste brillanti date in quell’occasione, tornarono ai rispettivi regni. Il sovrano dell’Yemen, a cui l’antica età più non permetteva di occuparsi d’affari, rimise al figlio la corona, ed il popolo senza più riconobbe l’autorità del giovane principe, del quale ammirava le alte qualità ed il coraggio.

«Poco dopo il suo avvenimento al trono, il nuovo monarca, accompagnato da pochi intimi cortigiani, lasciata la capitale per recarsi ad una partita di caccia, traversava una pianura deserta, allorchè, avvistosi d’una caverna, invogliossi di visitarla. Vi entrò dunque colla comitiva, e trovò diversi oggetti d’uso domestico che annunziavano essere abitata. Eccitata in sommo grado la curiosità del principe, risolse di attendere gli abitatori dell’antro, raccomandando alla sua gente di non tradire l’incognito. Era da pochi istanti seduto, allorchè vide comparire un uomo che recava provvigioni e due [p. 190 modifica] otri pieni d’acqua. — D’onde vieni? ove vai? che porti?» gli chiese il sultano. — Sono,» colui rispose, «uno de’ tre che abitano questi luoghi, i miei compagni ed io siam fuggiti dal nostro paese per evitare il castigo d’alcuni peccatucci, ed ogni dieci giorni uno di noi va a fare le provviste: oggi toccava a me; i miei amici fra poco torneranno: passate la notte con noi, se v’aggrada, e vedrete che l’allegria visita talvolta il nostro soggiorno.» Accettò il sultano la proposta, e commise ad alcuni del seguito di andar a prendere quanto occorreva per fare una buona cena. Giocondamente trascorse la notte, e alla domane, avendosi il principe fatto narrare dai tre ospiti le diverse avventure che li avevano costretti ad uscire dalla città, accordò loro piena ed intera grazia. Erasi il sultano specialmente dilettato della conversazione e dello spirito loro; talchè fattili un giorno venire, uno di essi, di suo ordine, cominciò la storia seguente: