Le Mille ed una Notti/Il mercadante ed il genio
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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NOTTE PRIMA
IL MERCADANTE ED IL GENIO.
«Sire, eravi una volta un mercante assai facoltoso, il quale aveva molti commessi, fattori e schiavi al suo servizio. Siccome egli doveva di quando in quando viaggiare per abboccarsi co’ suoi corrispondenti, un dì che un affare d’importanza chiamavalo molto lungi dal luogo ove abitava, salito a cavallo, partì seco recando una valigia, in cui aveva riposto alquanto biscotto e datteri, dovendo passare per un paese deserto. Egli giunse senza pericoli al sito ov’era rivolto, e finita la bisogna che colà avevalo chiamato, risalì a cavallo per tornarsene a casa.
«Nel quarto dì del suo cammino ei sentissi talmente incomodato dall’ardore del sole e della terra riscaldata da’ suoi raggi, che deviò dalla strada per andare a porsi al rezzo d’alcuni alberi, ch’ei vide nella campagna; ivi, appiè d’un gran noce, trovò una fonte d’acqua limpidissima. Smontato, legò il cavallo ad un ramo, e cavati dalla valigia datteri e biscotto, sedè vicino alla sorgente. Finito il pasto frugale, da buon musulmano qual era, lavossi le mani, il viso ed i piedi, e fece la sua preghiera1.
«Non l’aveva ancora compiuta, e stava ancor in ginocchio, quando vide comparire un genio tutto bianco per vecchiaia, e di smisurata altezza, il quale, accostatosegli colla scimitarra sguainata, gli disse con terribile suono di voce: — Alzati, ch’io ti uccida con questa sciabola, siccome tu hai ucciso mio figlio.» Ed accompagnò tali parole con un grido spaventevole; il mercadante, atterrito dall’orrido aspetto del mostro, e dalle sue parole, risposegli tremando — Oimè! mio buon signore, qual delitto ho io commesso contro di voi per meritarmi la morte? — Io voglio ucciderti,» rispose il genio, «nello stesso modo onde tu hai ucciso mio figlio. — Buon Dio,» soggiunse il mercante, «in qual guisa ho io potuto uccidere vostro figlio? Io non lo conosco, e non l’ho veduto mai. — Non ti sei tu seduto appena giunto in questo luogo?» ripigliò il genio; «non hai tu cavato datteri dalla tua valigia, e nel mangiarli non ne gettasti tu i noccioli a destra ed a manca? — È vero, l’ho fatto,» rispose il mercadante, «non posso negarlo. — Or bene,» disse il genio, «io ti dico che tu hai ucciso mio figlio, ed ecco come. Mentre tu gettavi i noccioli, mio figlio passava; uno lo colse in un occhio, che lo uccise: perciò io debbo farti morire. — Deh, signore, perdono,» sclamò il mercadante. — Non c’è perdono,» rispose il genio, «nessuna pietà. Non è diritto di uccidere colui che ha ucciso? — Io vi do ragione,» disse il mercadante, «ma in verità io non uccisi vostro figlio, e quand’anche ciò fosse, l’avrei fatto in fallo; adunque vi supplico di perdonarmi, e lasciarmi in vita. — No, no,» disse il genio, persistendo nella sua risoluzione; «bisogna ch’io t’uccida nella guisa stessa onde tu hai ucciso mio figlio.» Ciò detto, prese pel braccio il mercadante, lo gettò col viso a terra, ed alzò la sciabola per mozzargli il capo.
«Intanto il mercadante, tutto lagrimoso, e protestando la propria innocenza rammentava, la moglie ed i figliuoli, e diceva le più commoventi cose del mondo. Il genio, colla sciabola sempre alzata, ebbe la pazienza di aspettare il fine delle sue lamentazioni, ma non ne fu guari commosso. — Tutti questi piagnistei sono inutili,» sclamò egli; «quand’anche le tue lagrime fossero sangue, non mi tratterrebbero dall’ucciderti nel modo stesso onde tu hai ucciso mio figlio. — E che?» disse il mercadante, «nulla può impietosirvi? Siete deciso di togliere la vita ad un povero innocente? — Sì,» rispose il genio, «vi son deciso.» E sì dicendo...»
A tal punto, Scheherazade accortasi che albeggiava, e sapendo che il sultano alzavasi di buon mattino per far la preghiera e tener consiglio, cessò dal parlare. — Buon Dio! sorella,» disse allora Dinarzade, «quant’è maraviglioso il tuo racconto! — Il seguito n’è ancora più sorprendente,» rispose Scheherazade, « e tu ne sarai persuasa, se il sultano volesse lasciarmi vivere oggi ancora, e permettermi di narrartela la successiva notte.» Schahriar, il quale aveva preso piacere ad ascoltarla, disse tra sè: «Aspetterò fino a domani; potrò pur sempre farla morire, quando avrò udito la fine del suo racconto.» Avendo dunque deliberato di non togliere la vita a Scheherazade in quel giorno, alzossi per fare la sua preghiera e recarsi al consiglio.
Intanto il gran visir stava in una mortale perplessità. Invece di gustare le dolcezze del sonno, aveva passato la notte a sospirare e piangere sulla sorte della figlia, di cui doveva essere il carnefice. Ma se in sì trista aspettativa temeva l’aspetto del sultano, ei fu gradevolmente sorpreso quando vide il principe entrar nel consiglio senza dargli l’ordine funesto che aspettavasi.
Il sultano, secondo il suo costume, passò il giorno a regolare gli affari del suo impero, e fattosi notte, corcossi di nuovo con Scheherazade. L’indomani, prima dello spuntar dell’alba, Dinarzade non mancò di volgersi alla sorella, e dirle: — Diletta sorella, se non dormi, ti supplico, aspettando il giorno, di continuare il racconto di ieri.» Il sultano non attese che Scheherazade gliene chiedesse licenza. — Terminate,» le disse, «il racconto del genio e del mercadante; io sono impaziente di udirne la fine.» Scheherazade cominciò allora a parlare, e proseguì il racconto in questi sensi.
NOTTE II
«Sire, quando il mercadante vide che il genio stava per troncargli il capo, mise un grande strido, e disse: — Fermatevi per pietà, udite ancora una parola. Abbiate la bontà di accordarmi una dilazione; datemi il tempo di recarmi a salutare mia moglie ed i miei figliuoli, e dividere tra loro i miei averi, con un testamento che ancora non ho fatto, acciò non abbiano litigi dopo la mia morte. Quando avrò tutto accomodato, io tornerò tosto in questo stesso luogo per sottomettermi a tutto ciò che vi piacerà fare di me. — Ma,» disse il genio, «se io ti concedo la dilazione che mi domandi, temo tu non abbia più a tornare. — Se voi prestate fede al mio giuramento,» ripigliò il mercadante, «io giuro pel Dio del cielo e della terra che verrò qui a trovarvi senza alcun fallo. — Quanto tempo brami tu per questa dilazione? — Io vi chiedo un anno; ci vuole uno spazio non minore per accomodar i miei affari e dispormi a rinunciare senza rammarico al piacere della vita. Io vi prometto adunque che da domani ad un anno, verrò indubitatamente sotto questi alberi per rimettermi nelle vostre mani. — Prenderai tu Dio in testimonio della promessa che mi fai?» soggiunse il genio. — Sì,» disse il mercadante, «io lo prendo ancora una volta a testimonio, e voi potete riposare sul mio giuramento.» A tali parole, il genio lasciollo vicino alla fontana, e sparve.
«Il mercadante, riavutosi dallo spavento, risalì a cavallo e continuò il viaggio: ma se da un lato rallegravasi d’essersi sottratto da sì gran pericolo, dall’altro stava immerso in una mortale tristezza pensando al fatale giuramento prestato. Giunto a casa, fu accolto dalla moglie e dai figli colle più larghe dimostrazioni di gioia, ma invece di contraccambiarli, si mise a piangere sì dirottamente, ch’essi subito pensarono fossegli accaduta qualche cosa di straordinario. La moglie gli domandò la cagione di quelle lagrime e del vivo dolore che dimostrava. — Noi ci rallegriamo,» diss’ella, «del vostro ritorno, e voi invece ci mettete in timore per lo stato in cui vi vediamo; palesateci, vi prego, la cagione della vostra tristezza. — Oimè,» rispose il marito, «come poss’io dimostrarmi lieto, se non ho più d’un anno a vivere?» Allora narrò quanto era accaduto tra lui ed il genio, e disse la promessa fatta di tornare da lì ad un anno a ricevere la morte dalla costui mano.
«Udita ch’ebbe la triste novella, la famiglia ne fu costernata. La moglie metteva stridi compassionevoli, percuotendosi il viso e strappandosi i capelli; i figli struggevansi in lagrime, e facevano rimbombare la casa dei loro gemiti; ed il padre, cedendo alla forza del dolore, mescolava le sue lagrime ai loro lamenti. In somma era lo spettacolo più commovente del mondo.
«Il mercadante pensò tosto ad accomodare i suoi affari, e soprattutto s’affaccendò a pagare i debiti. Mandò doni agli amici e limosine ai poveri, mise in libertà i suoi schiavi dell’uno e dell’altro sesso, divise i beni tra i figliuoli, nominò tutori per quelli ch’erano in minore età, e restituendo alla moglie la dote che le apparteneva, secondo il contratto di nozze, le donò di soprappiù quanto la legge permetteva di dare.
«Trascorso finalmente l’anno, fu duopo partire. Egli allestì la sua valigia, e vi pose il panno funereo in cui doveva essere sepolto; ma quando fu per dir addio alla moglie ed ai figliuoli, non si vide mai più amaro dolore. Essi non potevano risolversi a perderlo, e tutti volevano accompagnarlo ed andar a morire con lui. Nondimeno siccome bisognava farsi animo, ed abbandonare i cari oggetti: — Figli miei,» disse, «io ubbidisco al comando di Dio nel separarmi da voi. Imitatemi; sottoponetevi con coraggio a questa necessità, e siavi sempre presente che il destino dell’uomo è di morire.» Ciò detto, s’involò alle grida ed ai gemiti della famiglia, e messosi in viaggio, giunse allo stesso luogo ov’eragli apparso il genio, nel giorno appunto in cui aveva promesso di recarvisi. Egli smontò tosto e sedè in riva alla fontana, aspettando il genio con tutta la tristezza che ognun può immaginarsi. Mentr’egli languiva in sì crudele aspettazione, un buon vecchio, che conduceva una cervetta legata; comparve, e se gli accostò. Entrambi si salutarono, poscia il vecchio gli disse: — Fratello, è lecito sapere perchè voi siete venuto in questo luogo deserto e mal sicuro, abitato soltanto da spiriti maligni? Vedendo questi begli alberi, lo si crederebbe popolato, ma esso è una vera solitudine, in cui è pericoloso fermarsi.
«Il mercadante soddisfece la curiosità del vecchio, e gli narrò l’avventura che obbligavalo a trovarsi colà. Il vecchio l’ascoltò maravigliato. Ecco,» sclamò egli, «la cosa più straordinaria del mondo, e voi siete legato dal giuramento più inviolabile. Io voglio,» soggiunse, «essere testimonio del vostro abboccamento col genio.» E sedè infatti presso il mercadante; mentre discorrevano tra loro... — Ma io veggo spuntare il giorno,» disse Scheherazade interrompendosi; «il resto è il più bello del racconto.» Il sultano risolse di udirne la fine, ed anche per quel giorno lasciò in vita Scheherazade.
NOTTE III
La notte successiva Dinarzade volse alla sultana la stessa preghiera delle due precedenti. — Mia cara sorella,» le disse, «se tu non dormi, io ti supplico di narrarmi una delle piacevoli storielle che sai.» Ma il sultano disse di voler udire il seguito del racconto del mercadante e del genio; e Scheherazade, obbedendo, così continuò:
«Sire, mentre il mercadante ed il vecchio che conduceva la cervetta conversavano tra loro, sopraggiunse un vecchio seguito da due cani neri. Ei s’inoltrò a lor vicino, e salutandoli, chiese cosa facessero in quel luogo. Il vecchio della cerva gli narrò l’avventura del mercadante e del genio, ed il giuramento fatto dal primo. Aggiunse inoltre essere quello il giorno della parola data, e ch’egli era deliberato di trattenersi colà per vedere quanto sarebbe accaduto.
«Il secondo vecchio, trovando anch’egli la cosa degna di curiosità, entrò nella medesima risoluzione, e sedè presso gli altri due; erasi appena frammischiato ai loro discorsi, che capitò un terzo vecchio, il quale, voltosi ai due primi, chiese perchè il mercadante loro compagno sembrasse sì malinconico. A lui pure fu narrato il motivo, e sì straordinario gli parve, che bramò anch’egli d’assistere a quanto doveva accadere tra il genio ed il mercadante, al qual fine s’accomodò tra la compagnia.
«Poco dopo videro per la campagna un vapore denso come un turbine di polvere sollevato dal vento. Quel vapore s’inoltrò fin presso a loro, e sciogliendosi d’improvviso, lasciò vedere il genio, il quale, senza salutarli, avvicinossi al mercadante colla scimitarra impugnata, e pigliatolo pel braccio: — Alzati,» disse, «ch’io ti possa uccidere, come tu hai ucciso il figliuol mio.» Il mercadante ed i tre vecchi si misero a piangere ed empire l’aria di lamenti...» Scheherazade, scorgendo qui che facevasi giorno, cessò dal continuare la sua novella; e questa aveva destato tanta curiosità nel sultano, che il principe, volendo assolutamente saperne la fine, differì ancora al giorno dopo la morte della sultana.
Non è adirsi la gioia del gran visir, quando vide che il monarca non ordinavagli di far morire Scheherazade: la famiglia di lui, la corte, e tutti in somma ne furono universalmente maravigliati.
NOTTE IV
Verso la fine della notte susseguente, Scheherazade, con licenza del sultano, parlò in questi termini:
«Sire, quando il vecchio che conduceva la cerva vide che il genio erasi impadronito del mercadante, e stava per ucciderlo spietatamente, gettossi a’ piedi del mostro, e gli disse: — Principe dei genii, io vi supplico umilmente di sospendere la vostra collera, e degnarvi d’ascoltarmi. Io vi narrerò la mia storia e quella di questa cerva che vedete: ma se voi la trovaste più maravigliosa e sorprendente dell’avventura del mercadante, cui volete toglier la vita, poss’io sperare che voi rimettiate a questo povero infelice la terza parte del suo misfatto?» Il genio stette alcun tempo deliberando, infine rispose: — Orsù, acconsento.
Note
- ↑ L’abluzione avanti la preghiera è di precetto divino nella religione musulmana. «O voi credenti, quando vi disponete alla preghiera, lavatevi il volto e le mani fino ai gomiti, bagnatevi il capo ed i piedi fino alla caviglia».
Un musulmano deve fare la sua preghiera cinque volte al giorno: 1. Un’ora prima dell’alba; 2. a mezzodì; 3. a tre ore dopo mezzodì; 4. al tramonto; 5. un’ora e mezzo dopo il tramonto. Nel pregare il musulmano si volge sempre verso la Mecca.