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la propria innocenza rammentava, la moglie ed i figliuoli, e diceva le più commoventi cose del mondo. Il genio, colla sciabola sempre alzata, ebbe la pazienza di aspettare il fine delle sue lamentazioni, ma non ne fu guari commosso. — Tutti questi piagnistei sono inutili,» sclamò egli; «quand’anche le tue lagrime fossero sangue, non mi tratterrebbero dall’ucciderti nel modo stesso onde tu hai ucciso mio figlio. — E che?» disse il mercadante, «nulla può impietosirvi? Siete deciso di togliere la vita ad un povero innocente? — Sì,» rispose il genio, «vi son deciso.» E sì dicendo...»

A tal punto, Scheherazade accortasi che albeggiava, e sapendo che il sultano alzavasi di buon mattino per far la preghiera e tener consiglio, cessò dal parlare. — Buon Dio! sorella,» disse allora Dinarzade, «quant’è maraviglioso il tuo racconto! — Il seguito n’è ancora più sorprendente,» rispose Scheherazade, « e tu ne sarai persuasa, se il sultano volesse lasciarmi vivere oggi ancora, e permettermi di narrartela la successiva notte.» Schahriar, il quale aveva preso piacere ad ascoltarla, disse tra sè: «Aspetterò fino a domani; potrò pur sempre farla morire, quando avrò udito la fine del suo racconto.» Avendo dunque deliberato di non togliere la vita a Scheherazade in quel giorno, alzossi per fare la sua preghiera e recarsi al consiglio.

Intanto il gran visir stava in una mortale perplessità. Invece di gustare le dolcezze del sonno, aveva passato la notte a sospirare e piangere sulla sorte della figlia, di cui doveva essere il carnefice. Ma se in sì trista aspettativa temeva l’aspetto del sultano, ei fu gradevolmente sorpreso quando vide il principe entrar nel consiglio senza dargli l’ordine funesto che aspettavasi.

Il sultano, secondo il suo costume, passò il giorno a regolare gli affari del suo impero, e fattosi notte,