La umanità del figliuolo di Dio/Libro quarto

Libro quarto

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LIBRO QUARTO

1
Voi, sacrosante muse di Giordano,
ch’or sotto a questa palma or su quel sasso
poetando chiamaste di lontano,
si ch’a voi giunser l’altre del Parnasso,
se coronossi mai di vostra mano
quel re che ’n lodar Dio non fu mai lasso,
prego siami concesso di quest’onde
tanto che ’l mio vecchi’ uom si lavi e monde.
2
Lavisi non del sangue, ch’or scrivendo
la vista mi spruzzò, le man, il petto;
di quel non dico, no, né dire intendo,
però che ’l sozzo re Io sparse netto:
ma di mie colpe il male odor ch’io rendo,
l’esser d’essempi un pessimo suggetto,
la gola, il sonno e l’ociose piume
bisognoso mi fan del vostro fiume.
3
Da voi mi vien risposto forse, o dive,
che Giambattista, sorto agli trent’anni
e posto ad abitar su queste rive,
coperto d’irti e dispettosi panni,
sol cura tiene di quest’acque vive
lavar, ma non purgar, de l’alma i danni:
però mi laverò; ma voi, che siete
le grazie , so che poi mi purgherete.

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4
11 quintodecim’anno de l’imperio
del successor d’Ottavio era fugito:
parlo del d’ogni fezza pien Tiberio,
ch’ai suo sfrenato e lubrico appetito
diede per norma il vino e l’adulterio,
in vagito vi si, che, fastidito,
non piú sentia piacer qual che si fusse
di quanti esso novelli al mondo indusse.
5
Starne, lepri, faggiani, tordi ed apri
con grechi, còrsi, albani e malvagie
fór gli atti suoi ne l’insula di Capri,
furon gli stupri, incesti e sodomie.
Ingrato sol, e perché ’l giorno ci apri
ed occhi hai da veder quanto si crie
d’offese al tuo gran fabro ed a natura
in quei c’han de l’ umane genti cura?
6
Ma voi, alme devote, a cui l’intento
sta sol de’ libri dentro al paradiso,
so che di nostra fede un argomento
v’avete in core fra’ maggior diviso:
che, essendo infino al termin d’ogni vento
piú che mai grande il roman fasto assiso,
ecco ne venne a terra e d’uno infante
lui tenne povertá sotto le piante.
7
Chi romperá l’adamantina siepe
ove quest’orto incircoscritto cape?
Ecco Chi nudo in su le paglie repe;
la gloria, quanto il mondo n’ha, si rape:
ma di cotal misterio il gran del pepe,
se intiero sta, mai non odora o sape,
che pur si vede aperto in ogni lato:
sol per Iesú cangiata è legge e stato.

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8
Ma d’Aristotil s’alza un campione
e vienimi armato contra d’un problema,
interrogando: qual sia la cagione
eh’ Europa, sola ornai, di popol scema
stia del Vangelo sotto al confalone,
né manca chi lei sempre affanni e prema?
e se potenzia prima in Cristo fue,
perché non ha de le tre parti due?
9
Io, perché a porci non vorrei le gemme
né ’l pane de’ figliuo’ proporre a cani,
acciò la semplicetta Bettelemme
preda non vada de l’ungiute mani
a quei c’ han soli in man Gerusalemme
(o s’avisan d’aver) dottor soprani,
dimetto l’arguir, s’han pur scienzia
di diffinir materia, forma, essenzia.
10
Pur, come villanel ch’alcune spiche
vommi cogliendo de’ messori a tergo,
e che sotto le mense altrui di miche
sol mi nudrisco in questo e in quello albergo,
e che, per non caparmi ne le triche
di Scoto, sol di Paolo il fascio vergo,
quello risponderò mi detta Euterpe
con stil però ch’umilemente serpe.
11
Se l’uom, eh’ è picciol mondo, in sé disciolto
e liber’ ha l’arbitrio ne l’oprare,
perché r m crederò che ’l maggior molto
piú Tabi a di sue brame puoter fare?
Qual intelletto si deliro e stolto
non conosce eh’ Europa singolare
madonna sia del mondo, a cui le stelle
dat’ hanno l’altre due per vili ancelle?

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12
Non scioccamente il greco finse lei
aver solcato il mar sul dosso a Giove,
e i figli suoi, non pur quai re, ma dèi
per lor virtú fúr adorati altrove:
stan de l’ insegne ancor, stan de’ trofei
gl’impressi lor vestigi e le gran prove.
Tu, Atlante, giá; tu, Caucaso, passaste
di questa gran guerrera sotto l’aste!
13
Deh! perché dunque in Alcoran bugiardo,
licenzioso e brutto di costumi,
deh! perché un turco ed asian codardo
passa nostr’alti monti e larghi fiumi?
deh ! perché de la luna il fier stendardo
spegner vuol de la croce i chiari lumi?
Rispondo, e sol rispondo tre parole
scolpite in ferro: — Europa cosi vuole! —

  • 4

Ché, mentre la superba ed incostante
or l’aquila dispenna or sfronda il giglio,
mentre talor si dan le chiave sante
piú per uman che per divin consiglio,
mentr’un leone tien le asciutte piante
e l’alta impresa lascia del naviglio,
vien quel nostro vasallo effeminato
per far stupro di lei tant’onorato !

  • 5

Ché se piú a cor Milano giá mill’anni
non stato fosse di Belgrado e Rodi,
dubbio non è che’ franchi ed alemanni
e quei di Spagna e quei d’Italia prodi
avrian, com’ebber sempre, sparsi i vanni
de la lor fama e di lor tante lodi
sopra ogni nazion di parti, sciti,
tartari, mori e popoli infiniti!

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16
E tu, Roma, del mondo imperadrice,
d’alti trionfi e d’arme e lettre ornata,
or t’assomigli a l’empia tua nutrice,
lupa da cani e porci ornai stuprata;
tu, di cotanti eroi la produtrice,
verso te stessa fosti sempre ingrata!
Non fia che ’n fede adunque dia di cozzo,
ch’ogn’argomento fuor di questo è mozzo.
>7
Ma del Battista fulmina la voce
che mi si fa sentir dal gran deserto.
Altro d’essa non ho ch’un angue atroce
di dentro al sino e l ’Acheronte aperto.
Non è si forte cor, non si feroce
ch’udendo lei non tremi e creda certo
dover perire allor, s’esso medesmo
di pianto non si lava e di battesmo.
18
Piú schietto d’òr, piú di bilancia giusto,
esso le sozze mende altrui castiga:
parla scoperto quel eh’ è male, ingiusto;
di che rancor s’ha mosso contra e briga.
Ma ’l forte campion del dritto e giusto
non a rispetto libertade obliga,
rinforza il petto a la sua chiara tromba,
che ne le conscienze altrui rimbomba.
19
La porpora non piú del rozzo panno,
l’oro non stima piú del fango e loto;
tutti ad un segno senza parte vanno,
e nel biasmar gli errori è scoglio immoto.
Qualora i sacerdoti a udirlo stanno
od altri egregi e fuor del volgo ignoto:
— Schiatta — dice — di vipere, qual fia
ch’inségnavi campar da morte ria?

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20
Seme d’Àbramo, voi? seme d’Isacco?
ahi quanto l’opre vostre a Dio son cónte!
Miseri voi ch’avete colmo il sacco
di mille vostre offese, di mill’onte,
ch’opran l’ira del ciel, il qual è stracco
di tolerare ornai si dura fronte!
Non popol voi di Dio, non vigna eletta,
anzi di Canaan malvagia setta! —
21
Per tali ed altre ancor parole acerbe
sdegnati sono i principa’ giudei ;
mandáro alcune fronti a lui superbe
de’ sacerdoti suoi da quattro o sei;
ed un piú reo degli altri, vecchio imberbe,
a prima giunta disse: — Tu chi sei? —
Il santo, che nel cor l’ha me’ prò visto
che ’n gli occhi, gli risponde: — I’ non son Cristo
22
Soggiunge il sacerdote: — Or se’ tu Elia? —
ed egli: — Non son desso! — Sei profeta? —
Men tengo dignitá di profezia ! —
Chi se’ tu dunque? dillo, acciò l’inqueta
e sollevata plebe ornai sen stia. —
Parlò Giovanni allor con fronte lieta:
— Quel che cercate voi non son per certo,
ma voce di chi chiama nel deserto.
23
Chiama la voce mia, né vien mai lassa
di dir che del Signor la via drizzate:
ché se qual ombra e fumo il tempo passa,
nel smarrito carnin giamai tornate.
Cosi facendo, voi ciascuna bassa
ed umil valle in monte sublimate,
e qual si sia montagna e scoglio alpestro
non men vi si fará pian, concio e destro. —

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24
Cosi dicea Battista, e pur non vale
spetrare i cuor piú de l’azaio duri;
ché ad essi par ribaldo l’uomo, il quale
del viver lor (qual che si sia) procuri,
anzi non esser dicon peggior male
che se profani e secolari impuri
osano e’ sacerdoti giudicare,
dicendo non puoter la Chiesa errare.
25
Di che gonfiati, gli addomandon anco:
— Or, se né Cristo né esso Elia se’ tu,
se spirto di profeta tieni manco,
perché batteggi dunque? giá non dé’ tu
ciò far senza voler del savio banco
o del collegio, perché non di que’ tu
fosti né sei né d’esser unqua spera,
c’hai lingua piú mordace che severa! —
26
A questo con modestia gli risponde:
— I’ non per mio, ma per lo Dio volere
fo bagno non inutil di quest’onde:
non che le conscienze brutte e nere
vengan per loro al tutto .bianche e monde;
però che a questo far sol è ’n puotere
di Tal, cui sono indegno, ed anco voi,
li nodi sciòr de’ calziamenti suoi.
27
Questi vive fra voi né fino ad ora
qual è né donde vien notizia avete:
verrammi appresso, né fia gran dimora
ch’aperto e manifesto il vederete.
Innanzi a me fu fatto; e chi l’onora
fa, in parte, quel che far non voi vorete,
che fosti sempre, come ognor si dice,
popol rubello e duro di cervice. —

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28
Sdegnati a ta’ parole, se ne vanno
da lui mal paghi e peggio risoluti,
però che’ lor cecati cuor non hanno
capacitá piú d’animali bruti.
Cosi Dio li castiga, perché stanno
in questa lor gloria, eh ’essi arguti
sian baccalari e precettor di legge,
e pazzo e temerar chi lor corregge.
29
Pur sta Battista né timor gl’ invola
dramma di libertá per lor minacce.
La molta sua constanzia in Cristo è sola:
però non è risguardo che ’l discacce
da l’alta dignitá d’essa parola,
che non sia vera e ch’egli non l’abbracce
per quella donde l’alma può destarsi
fuor d’ignoranzia ed a virtú levarsi.
3 °
Senza cagion non parlo, ché i satrapi
di sinagoga a lui son importuni
or con le code or con le bocche d’Api
tentar se forse agli usi lor s’aduni.
Ma non è fraude alcuna ch’entre o capi
nel costui petto e macola ch’imbruni
senno si bianco e vita si perfetta,
arco di veritá, di fé saetta.
31
Non meno un strano assalto gli vien fatto
da l’altro Erode, di Giudea tetrarca,
che del fratei la moglie contra ’l patto
divino abbraccia, e ’l del di stupri carca.
Questo si lordo e abominevol atto
sente Giovanni e, sceso in picciol barca,
l’onde del mar di Galilea tragitta
e’ nanzi a lui queste parole gitta:

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32
— E1 non ti lece, o tu che per oggetto
derresti aver giusticcia ed onorarla,
tener del frate tuo la moglie in letto !
I’ ti protesto che non dé’ toccarla
e, se ben tosto d’un si rio diffetto
non ti sciorrai, giá ’l mar, la terra parla
e grida contra te vendetta al cielo,
che vogliati levar da sé col telo. —
33
Cosi poi ch’ebbe detto, ad Enno riede
né lui di poca tèma colmo il lascia;
non ch’esso tema Dio, ché ’n Dio non crede,
né mai ben visse da la prima fascia;
sol che Cesar il ponga giú di sede
per l’essecrabil merto, ha grave ambascia;
e scrive a Gianbattista or lusingando
ch’oltra di ciò non parli, or minacciando.
34
Il santo a lui riscrive che non debbia
odiar chi l’util suo gli mette inanti,
perche non v’ha si folta e scura nebbia
eh’ un tal delitto al Re del cielo ammanti,
e che, qualor dissopre a lui s’annebbia,
sempre tèma che ’l folgor non lo schianti,
ché pur devria nel core aver l’essempio
del pravo antecessore ingiusto ed empio.
35
Era giá ’l freddo borea divenuto
al fin di sua stagion di fronde priva;
veste la terra un manto che tessuto
di ghiaccio e neve a pena tienla viva.
Ma puoco spazio andrá che sia soluto
dal gelo il monte, il piano ed ogni riva,
ed al tornar di zefiro e suoi fiori
rinvestirassi a mille bei colori.

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36
Segue Battista e su la ripa alzato,
con gridi spaventosi e di minaccia,
piú d’un cor predicando avea gelato
e fatta impallidir piú d’una faccia.
Eravi Andrea col suo germano a lato,
smarrito a tanto dir che sol minaccia
ira di Dio turbato, e chiama e grida
guai, penitenzia e dolorose strida.
37
Pur agli orribil venti, agli alti tuoni
di sue parole, ch’agghiacciáro i petti
per la tèma ch’avean de’ ner demoni
e d’ir con quegli a’ lacrimosi tetti,
successe l’aurea etá, gli tempi buoni,
ché gl’inasprati sensi e ’n gelo astretti,
giá sciolti a l’aura dolce, al nuovo sole,
rose corrán d’amor, di fé viole.
38
Dico che non si tosto il gran profeta
fu per dar fine a la sonora voce,
quando con vista grave, onesta e lieta
vide apparir l’oggetto de la Croce
che rasserena il ciel, che ’l mare acqueta,
che noi d’amor non consumante coce:
venia su’ passi numerosi e tardi
calcando co’ piè nudi e vepri e cardi.
39
Esser da ventott’anni si ’l dichiara
de l’oro schietto il pel eh ’adorna il mento
la chioma similmente d’oro e rara,
cui reverente aspira e trema il vento,
sugli omeri gli cade (onde s’impara
di sua beltá celeste un argomento),
va dritta giú fin dove il collo asconde,
indi se ’ncrespa e muove a guisa d’onde.

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40
Sotto l’arcate ciglia duoi ch’umani
non vo’ dir occhi no, ma de’ piú eletti
celesti rai, s’avea con proprie mani
formati ad esser lume d’intelletti,
ch’ovunque si volgean, i duri e insani
ed arroganti cuori eran costretti
depor durezza, insania ed arroganza,
per darsi a lui ch’ogni modestia avanza.
45
Ché se quell’alma bella sommamente
fu di qual esser può virtude intègra,
se cosi onesta, se cosi prudente
né d’un sol picciol nèvo tinta e negra,
volse ragion che ’l Padre suo potente
le diesse un corpo tal che men allegra
fosse allegrezza e men bella beltade
a quella allegra e bella maiestade.
42
Disacerbossi allora il duro aspetto
con Putii minacciar del precorsore,
quando vi apparse il principale oggetto
de l’amorosa fede e fido amore;
come fa ’l ciel quando da’ venti astretto
s’offosca intorno, muggia e dá terrore,
poi di ponente uscita un’aura dolce
tutto s’abbella ed Orion si molce.
43
Distende il dito verso il poggio donde
Iesú discende al fin del basso rio;
e, vólto il viso a quelle turbe immonde,
parlò suave: — Ecco l’Agnel di Dio!
l’Agnel celeste a voi non si nasconde,
che toglie ogni peccato al mondo rio:
quest’ è l’alto Figliuolo, il qual né buono
fui di scalzarlo mai né fia né sono !

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44
10 di quest’acque umane sol batteggio
e per mondarvi a penitenzia lavo:
Esso, ch’egual col Padre in ciel ha ’l seggio,
perdona sol ciascun vostr’atto pravo.
E s’io pur con terror vi favoleggio,
s’io porto in bocca il fele, a lui di favo
le labra stillan, come Salomone
predisse in l’amorosa sua canzone.
45
11 suo battesmo fia di fuoco santo,
ch’egual fiammeggia tra ’l Figliuolo e ’l Padre;
quelle minacce, quel terror, quel pianto,
ch’apporto in queste selve orrende ed adre,
costui tramuta in pace, amor e canto,
con dolci modi e grazie in sé leggiadre.
Spirto, di tèma dunque ornai ti leva,
poi ch’amor vien, che ’n vita ne riceva! —
46
Cosi parlò Giovanni, ed al vicino
celeste aspetto scese da la rupe;
e giunto a lui con riverente chino,
la turba di lontan mirando stupe.
Ride la terra e da lo stil ferino
cadon le tigri ed affamate lupe;
Fonde per mirar lui non piú oltra vanno,
s’addossan tutte e stupefatte stanno;
47
quelle piú di lontan fanno querela,
ch’anch’esse travenir vorrian al grande
mar de le grazie, ove sicur la vela
buon nocchier sempre a la dolce aura spande.
Corre quivi Natura né si cela
che l’opre sue sublimi ed ammirande
tanto minori a quel bel corpo sono
quant’è minore il mal dal sommo bono.

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48
Or Iesú dunque, poi risalutato
ch’ebbe ’l maggior di quanti uscir di donna,
disse: — Vuol l’alto Padre che spogliato
sia l’uomo mio tre volte d’esta gonna:
una, mentr’or da te sia batteggiato;
l ’altre, quando ’l darò de la colonna
a li flagelli e de la croce a’ chiodi;
e chi sciorrá la fé di questi nodi ? —
49
Risponde a lui Giovanni : — Me del vostro
bel fonte, Signor mio, bagnar dovete.
Salute il vostro fa; cotesto nostro
non purga macchia né racqueta sete.
Sol io del vostro campo il frutto mostro
come chi ’l seme sparge ed altri il miete;
lavo la carne sol, voi sol la mente;
chiamo gli ebrei, voi l’una e l’altra gente.
50
— No, no — disse ’l Signor — anzi ch’io prima
far voglio che mostrar giusticcia e legge! —
Cosi parlando sceser giú ne l’ima
falda tra croste e marmoricce schegge:
ivi riman del fiume un’acqua illima
u’ van scherzando le squamose gregge,
luogo d’ombre adornato e chiare linfe,
che ’l manto van diria «casa di Ninfe».
51
Qui grossa ed alta pietra fassi scudo
tra loro e ’l popol che lontano aspetta.
Con temorose man quel corpo nudo
lava Battista, e l’onda vien piú netta.
Stavvi Natura e vuol con ogni studo
essempio trar di forma si perfetta.
Come pittor che, mentre pinge, invidia
qualch’opera d’Apelle o Zeusi o Fidia
T. Folengo, Opere italiane - n.
8

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52
se mille volte or egli col compasso
or con lo stile ad imitar s’accinge,
mille volte con spongia d’alto a basso
annulla ciò che, oprando l’arte, finge;
ma, disperando, alfin butta in conquasso
tutt’i stromenti, ed oltra non dipinge:
cosi Natura, poi ch’alfin comprese
ciò fare indarno, il van desio riprese.
53
Ed in quel punto che ’l pennel di mano
le cadde, un gran splendore appar dissopre,
il qual d’una colomba a man a mano
fra mille rai bella sembianza scopre.
Quella giú d’alto calasi pian piano
e ’l capo di Iesu con l’ale copre;
Giovanni chino stassi e reverente,
fin ch’una voce gl’ intronò la mente:
54
voce del Padre eterno, in quel che ’l volo
cessò de l’almo Spirto sopra ’l Figlio,
tonò: — Quest’ è ’l diletto mio Figliuolo
cui si ripone ogn’alto mio consiglio!
i’ mi compiaccio in esso, i’ mi consolo,
né senza lui mai cose a far m’appiglio.
Conosco, e d’essa mia cognizione
nasce l’amor d’un Dio c’ha tre persone. —
55
P’inito ciò, da l’angel ricoperto
de l’inconsutil manto, ove la bella
colomba l’adducea, per un deserto
venne ad entrar, sin che disparve quella:
luoco di serpi e fiere sol referto,
ove di rado il sole e la sorella
possion guardar: tant’aspri e folti stanno
quei boschi, e le montagne al ciel ne vanno

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56
Qui si contien piú giorni, or giú ne l’ima
valle solingo, or sopra un gran rivaggio.
Ed ecco s’era imposto a l’alta cima
d’un monte ancor piú orribil e selvaggio
un di que’ spirti neri, cui da prima
fu per lor boria spento il santo raggio,
e vide andar Iesú spedito e franco
da’ lacci suoi, ma per gran fame stanco.
57
Come l’astuta insidiosa aragna,
ch’abbia di lunghe corde in mille nodi
tessuta sottil rete a la campagna,
ove la sua nemica forse annodi,
sta su l’aviso e alfin s’attrista e lagna
ch’effetto ancor non abbian le sue frodi;
cosi l’angel cornuto indarno tese
avea sue trame e le fatiche spese.
58
Tremò Lupaccio (ché Lupaccio detto
era quel spirto) e s’ammantò d’un sasso:
— Se non me ’nganna — disse — lo ’ntelletto,
colui eh ’altiero vien di lá sul passo
sará quel giá cresciuto pargoletto,
che far debbe di noi si gran conquasso
quando muorendo anciderá la Morte
e de l’inferno romperá le porte,
59
e ne trará quel carco, quella preda,
quell’uman seme a noi tanto odioso,
perch’al Tonante piace ch’egli seda
nel ben da noi perduto si gioioso.
Esser può dunque ch’un fral uom posseda,
tutto ch’ai viver dritto sia ritroso,
quella suave eternamente gioia,
quei piacer manchi di gravezza e noia?

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60
ch’un uom se l’abbia, ed io sia vilipeso,
né mi succeda almen vendetta farne?
Tu, Dio, m’hai solo il mio valor conteso
ch’io non tenti le forze di sua carne!
Lascia ch’un poco (perche ’l nieghi?) al teso
mio laccio riconduca le tue starne !
Vedrai s’esse di noi piú fían, o manco,
degne di starti o a l’un o a l’altro fianco! —
61
Cosi volgea nel cor tutto infiammato
quel superbo, maligno e al ciel rubello.
Poi, toltosi sul voi, qual affamato
falcon rapace o simil altro augello
ch’abbia per far presaglia assai tardato
e poi si parte disdegnoso e fello,
tal, visto il suo dissegno andar fallito,
fugge Lupaccio e va trovar Cocito.
62
Qui, mentre di Plutone il consistoro
sedeva in lunghi e vari parlamenti,
che tosto ad esser ha l’etá de l’oro
donde salve ne fien tutte le genti,
entra l’orribil mostro, che di toro
le corna ed ha di porco fuora i denti,
ed ivi afferma, come tutti sanno,
esser giá presso del lor regno il danno.
63
— Io — disse — fermamente creder voglio
(se le fattezze, i modi e l’altre note
discerno si come discerner soglio)
d’Arabia nei deserti per ignote
balze vedute averlo, ed ho cordoglio
che fien le posse nostre casse e vote
contra le sue, perch’esso è quel gigante
ch’eguará i monti e svellerá le piante. —

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64
A tanto annunzio piú d’un cor s’aggela
e piú d’un volto di que’ nigri imbianca;
perde ogni senso, perde la loquela
il re che sopra gli altri siede in banca.
Ma Satanaso, a cui la barba cela
e copre il petto sanguinosa e bianca,
scosse l’ orrende corna, e ’n piede surto,
disse: — Perché tardiam se ’l tempo è curto?
65
Piacendo a Lucifèr (so ben che multi
di me piú dotti a ciò sarian eletti),
vorei provar lo sforzo di tre insulti,
co’ quai de’ mille i novecento petti
degli uomini ch’abbiamo qui sepulti
giá ruppi, e tuttavia ve n’empio i tetti;
e se da Dio vien ’st’uomo o da Natura,
che non minaccia e giá vi fa paura.
66
La gola, la superbia e l’idolátria
fóron quel precipizio, dove l’uomo
dal nostro antico albergo e dolce patria
fece nel centro de la terra un tomo
tal ch’esso fino ad or non vi ripatria,
ché men di Dio gli calse che d’un pomo,
e successivamente poi vedete
il maggior numer vólto in questa rete.
67
In questa rete, in questa pania, in questo
laccio d’ogni altro laccio di piú acquisto
tanti n’ avinsi giá nel career mesto,
ch’ai numer de’ prigioni non resisto.
A che parlarne piú? spedito e presto
son io, di mille fraudi ornai provisto.
Stativi pur sicuri ch’ad un cenno
quel tordo invesco, e tutto vel dispenno! —

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68
Piacque l’ardir de l’arrogante cane
a l’invido senato del ben nostro:
corre la fama per spelonche e tane
del doloroso e miserabil chiostro.
Frattanto d’un agnel sotto le lane
a l’alma luce venne il falso mostro,
cerca ogni macchia e buco di que’ monti:
luoco non è ch’or non discenda or monti.
69
Stava l’empireo e vago dongelletto
leggiadramente allor s’un ceppo assiso:
non ha pur dove ’l capo acchini, un tetto
Chi a noi fa del suo regno un paradiso;
da cibi astiensi, come che ristretto
sia da la fame che gl’ imbianca il viso:
era di di quaranta il fine allora
che cosa non avea gustato ancora.
70
Ecco ’l malvagio cane si gli affaccia,
ed ha colme di sassi ambe le spanne:
— Ho pur — disse — tenuta si la traccia
per questi boschi e paludose canne,
ch’ornai ti veggo; e, acciò non ti disfaccia
la fame, ecco le pietre, tu pan fanne:
qual altro di te meglio far può questo,
che sei di Dio figliuolo manifesto? —
71
Sorrise Dio verace a quella finta
bontá di chi nel mal peggio si porta;
poi gli risponde che non vien estinta
la fame col pan solo, ma ch’importa
via piú la vita umana star succinta
e pronta nel pigliar ciò che gli apporta
la bocca del Signor, che come figli
tutti ci pasce e campa degli artigli.

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72
L’infernal bestia, allora che ’1 primiero
colpo di tre si vide andar fallito,
presto al secondo rivocò ’l pensiero,
nel qual piú spera, ché piu v’è perito.
Toglielsi fra le braccia (tale impero
Dio dá sovente a l’ombre ^el Cocito)
e fin sotto le nebbie solevollo
si come augel rapace fa d’un pollo.
73
Quel puro, schietto e candido armelino
d’un lordo ciacco il puzzo non aborre,
portar si lascia nel velluto fino
e molto spazio fra le nebbie scorre,
tanto che del bel tempio marmorino
vengon poggiarsi al sommo de la torre,
ove ’l demòn l’attenta se giú d’alto
spiccar volea non so eh’ inutil salto.
74
— Se pur tal sei qual dissi e credol io,
che de l’inferno vieni aprir la porta,
di questa altezza per consiglio mio
col capo inanti scenderai. Ch’importa?
Di te fu profetato giá che Dio
gli angeli suoi ti die’ per fida scorta,
che ’n le man lor ti porteranno a basso
acciò che ’l piede non offendi al sasso. —
75
Cotai parole, tutto versipelle,
movea d’ogni maliccia l’inventore:
credette forse che de l’alte stelle
e d’ogni senso il gran conoscitore
non penetrasse a l’uscio donde quelle
non sue parole uscian di gran valore,
il qual, da le Scritture giá ferito,
di quelle s’arma e torna in campo ardito.

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76
Ma, qual buon schermitore, il gioven santo
de l’aversario i colpi e l’arte intende:
qui, de le sacre lettre sotto ’l manto,
d’eretici la peste giá comprende
e di coloro ch’oggi si dan vanto
sapere e dire ad altri ove si stende,
qual termine si sia d’essa Scrittura
fatta da lor piú viluppata e scura.
77
Risponde: — La sentenzia è ben verace,
ma falso e mentitor chi proferilla,
si eh ’essa in guisa di preclara face
perdéo fra le tue labra ogni scintilla.
Savio chi, ’1 puzzo avendo in bocca, tace;
simil è ’l vino al vaso donde stilla.
Va’ ché gli è scritto il vero, e tu sol menti:
il tuo signor Iddio fa’ che non tenti! —
78
Allora, vinto nel secondo assalto,
d’ira negli occhi avampa e piú s’ indraga.
Portalo a Sina, ove mostrògli d’alto
quant’è di terra e quanto mar s’allaga.
— Or ecco — disse — il mondo! e s’io t’exalto
del tutto re come la mente ho vaga
di fare a chi piú ’l merta, che dirai?
ma, chino a’ piedi miei, m’adorerai! —
79
Non puote allor nel giovenetto umano
non mostrar sdegno la divina parte,
la quale il primo ed il secondo vano
argomento volpin mandò da parte,
né disdegnossi dare a quel profano
il testimon de le divine carte.
Sostenne ambe le sue, ma vede questa
esser del Padre ingiuria manifesta.

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50
Onde, quel viso e guance si leggiadre
del celeste dongello imporporarse
mirando, allor di sopersticcia il padre
temette una risposta per cui sparse
veggasi e rotte le sue astuccie ladre.
— Fuggi, malvagio lupo, a che ritrarse
dé’ l’uomo dal soggetto di Natura
per adorar te, sozza creatura?
51
«Sol un signor», è scritto, «adorerai
nel cui servigio sempre viver dèi»:
tu sei van spirto e van ne rimarrai
tra quei ch’eternalmente sono rei!
Troppo tiranneggiato nel mond’hai,
or a l’estremo del tuo regno sei.
Va’ ne l’inferno e stavvi giorni tanti,
fin che ti salvi ’l Santo de li santi! —
82
Al suon di tanta e tal sentenzia un grido
lascia col puzzo Satanaso e sgombra;
ma d’angeletti biondi un stolo fido
ecco a la mensa l’ invitar sott’ombra.
Quivi la fame su l’erboso lido,
che sol l’umanitá del Figlio ingombra,
distrutta fu dapò ’l digiun sofferto
per suo non giá, ma ben per nostro merto.
83
Quindi partendo poi di passo in passo
ebbe divino annunzio che ’l trombetta
suo Gian Battista in luogo scuro e basso
era in catene per la sovradetta
cagion, Ch’Erode il fier, d’ogni ben casso,
spesso ammonea che ’n matrimonio astretta
la moglie non toccasse del fratello
e fosse a Dio non ch’a natura fello.

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84
Però, cessando di chiamar la voce
che nel deserto predicar solea,
non perde il tempo troppo a gir veloce;
ma vien di Nazaretto in Galilea,
ove comincia fabbricar la croce
e sua la legge far non piú Mosèa,
che, predicando pace, amor e fede,
rimosse l’ombra e gli occhi a’ ciechi diede.
85
Ma, come quel ch’a tutti venne e nacque
e del suo sangue a tutti è per far bagno,
in quella impresa altissima gli piacque
aver presso di sé piú d’un compagno.
— Lasciate gli ami al padre, i pesci a Tacque,
ché gli uomini pescar è piú guadagno! —
cosi disse al buon Pietro ed al fratello,
che quasi nudi corser dietro a quello.
86
Tanto fu lor abbandonar le nasse,
le reti col battello e ’l bianco padre,
s’un Creso, s’un Tiberio si privasse
de’ suoi tesori, o Cesar di sue squadre.
Poscia di Zebedeo gli figli trasse
dal mare istesso, a cui fu quella madre,
che por lor volse l’uno a la man destra
nel suo regnarne e l’altro a la sinestra.
87
Con questi ed altri quel Signor verace
di Galilea scorre ciascun confine,
predica il regno eterno ed il tenace
amor del sommo ben, del mondo il fine.
Oh quanto gli atti, oh quanto l’arte piace
non che la bella faccia ed aureo crine!
Giá non chiedea di quella nobil salma
se non somma bellezza a si bell’alma.

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88
Ma sopra tutto gli amorosi detti,
l’increpar dolce e l’ammonir suo grave
rempiea gli spirti di non so ch’affetti,
di non so ch’alto senno e amor sua ve;
donde gli uomini allor scuotean da’ petti
le mende lor quantunque antiche e prave,
perché non cerca il signoril dottore
trarli con tèma no, ma con amore.
89
Qual rozzo e ingrato mai, qual stato fora
inseguir lui diffícile o ritroso?
Però l’ama ciascun, ciascun l’onora
né vuol che per sue lode stia nascoso:
nessun dal zelo suo vien spinto fuora,
sia putta, ladro od altro piú famoso;
ché se curare i corpi gli gradia,
studio maggior assai de Palme avia;
90
anzi l’accorto medico celeste
pone piú d’arte, diligenzia e studo
dove sente regnar maggior la peste.
Contra l’uso giudaico acerbo e crudo
a le buon’opre cónte e manifeste,
al favellar di sogni e ciance nudo
qualunque vede, quelle e questo ascolta:
cosi gli dona fede aperta e sciolta.
91
Fu del Battista per deserti luoghi
orrendo il predicar, severo e grave:
ma ’1 successore a lui piú dolci gioghi
usò di porre in ragionar suave,
e d’Acheronte i minacciati fuoghi
temprò mostrando a lor del ciel la chiave;
ché Dio da’ suoi seguaci non pur chiede
sempre timor, ma caritá con fede.

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92
Non si sceglie del mondo gente alcuna,
né piú né men gli ebrei degli altri attende;
ogni sesso, ogni etá, ogni fortuna,
quel nemico di parte avere intende:
poi de la molta turba che s’aduna
tutti l’ infermi a la salute rende,
al lume il cieco, al dritto lo sciancato,
al dire il muto, al senso l’insensato.
93
Ma ’nanti che ’l rumor, la fama, il suono
di Galilea rempiesse ogni confine,
’nanti ch’ancor di sua virtude il duono
e l’uscio di sue prove alte divine
(ch’a noverarle fuor di numer sono)
s’aprisse a genti note e pelegrine,
diede principio a Cana, ove gli piacque
in vino tramutar le frigid’acque.
94
È Cana un castelletto in Galilea,
dove si fean allora alcune nozze.
Ei fu chiamato da chi le facea,
né di soperchio ricche né anco rozze:
eravi ancor la madre che ponea
l’ordine al tutto, acciò che non s’accozze,
come colei eh’ è savia, eh’ è cortese,
che vale in questa ed in maggior imprese.
95
Or qui ’l celeste sposo e mansueto
con umiltá presso al terren discombe.
Procede il bel convivio acconcio e lieto,
lieto non giá perché vi sonan trombe,
non perché corteggiani inanti e drieto
scorrano l’ampie sale, o che rimbombe
rumor di danze, o dir canzoni ed inni
o per buffoni o feminil cachinni.

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96
La benigna Madonna che, succinta
modestamente, e qua e lá provede,
ode ch’ogn’urna è giá di vino estinta
e che non sa lo scalco u’ tenga ’l piede.
Vien tutta in viso di roscior dipinta:
roscior, che o per vergogna altrui procede
o per gran zelo, e come stella al sole
ricorre a tór del lume ch’aver suole.
97
Ricorre al suo Figliuol per ornai darne
principio a la cagion di sua venuta:
sa che per altro in lei non prese carne
l’alta bontá divina e vi è cresciuta,
che per mostrar sua luce e d’essa farne
con segni fede, ch’esso non rifiuta
qual che si sia d’ogn’arte, gente e stato,
femina, maschio, sciolto e maritato.
98
Chinossi dunque a la divina orecchia
l’unica donna, e disse: — Figliuol mio,
non hanno piú che bere: or s’apparecchia
di far quel voi farete, or s’apra il rio
de le vostre virtú ver’ l’uom ch’invecchia
ornai nel fallo, ed havvi del restio. —
Stette Iesú come chi ferma il ciglio
su qualche aviso, e cercavi consiglio;
99
non ch’abbia a su pensarvi il Dio de’ dèi,
ma volse gravitade in ciò mostrare.
Poi similmente ne l’orecchio a lei
rispose: — Ch’abbiam noi di questo a fare?
Di quanto al sommo Padre attien non dèi,
o donna, in l’opre mie cura pigliare:
esso prefisse il che, il come, il quando
esequir s’abbia sotto al suo commando. —

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100
La madre che sa Torme del suo Figlio,
che dove occorra il principale ogetto
del Padre non vi cape uman consiglio,
partesi pur con speme ch’ad effetto
vada la sua richiesta: ed al famiglio,
ch’ivi di coppa serve a lui rimpetto,
cornette non sia tardo in far quel solo
gli venga commandato dal Figliuolo.
101
E mentre la Signora ciò procura,
come del primo segno ornai presaga,
Iesu che non l’udir, che non rattura
gli occhi a chi spera, e piú di fé s’appaga
che di quant’opre in vista pon Natura,
la mente ha ben di sodisfarla vaga;
ma differisce il savio a farlo, dopo
che veda esser di vino il maggior vuopo.
102
Stanno gli convitati, giá di sete
in colmo, ad aspettar che ne riesca;
e ’n quella il Pescator buttò la rete
a la gran copia che si vede a l’esca:
con quel di sue parole mansuete
amo amoroso ch’alme e cuori pesca,
impone a quel coppier che d’acqua piene
le idrie, eh ’erano sei, gli arrechi o mene.
i°3
L’accorto fante non vi fa intervallo;
ma, carco di quell’orne assai capaci,
vola ad un fonte del cui bel cristallo
piú ruscelletti errando van seguaci:
empiene i vasi si, che senza fallo
può spegner una e forse piú fornaci,
e con l’aiuto altrui le riconduce
al Re del mar, del centro e de la luce.

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104
Qui l’aspra sete in lor, ch’eran pasciuti,
a quel dover ber acque ancor piú langue.
Ed ecco a ’n batter d’occhio fór veduti
quasi non esser piú di carne e sangue,
ma ben confitti legni o sassi muti:
tant’ han per lo stupore il volto exangue,
mercé quell’acque, ch’acque non piú sono,
ma vin del pria bevuto assai piú buono !
105
Il coppier a lo scalco, esso a lo sposo
mostra palese l’alta meraviglia:
vedesi a pieno il fatto, e quell’ascoso
non stette qua, né altrove, a la famiglia:
ciascuno è sbigotito e pensieroso
e piú si pensa, piú si meraviglia.
Cosi de’ segni di Iesú fu questo
il primo, che si ’l fece manifesto.
106
D’un si gran fatto il grido non pervenne
ad altre orecchie allor che di sua gente,
la quale invidiosa non sostenne
ch’un citadino avesse, ch’eccellente
portasse lei di Fama in su le penne
da donde il sol s’aggira in occidente.
Or ascoltate s’atto piú villano
esce d’un turco o d’altrotal pagano!
107
Un chiaro e assai lodevole costume
fu de gli ebrei quasi eh ’allora spento,
perché la gola e l’ociose piume
fan l’uomo a l’opre giuste infermo e lento.
Era nel tempio il principal volume
che diede a’ padri Dio per testamento,
dove solean col popolo i primieri
unirsi a ragionar di que’ mistieri.

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108
Di que’ mistieri e sacrosanti oracli
si disputava, e del futur Messia;
qua Cristo dopo molti suoi miracli
con Pietro e suoi fratelli divertia;
nei templi, ne le scole, nei cenacli,
e dove molta gente usar solia
quel provido maestro spesso viene,
aprendo a lor del fonte suo le vene.
109
A l’apparir, che fece entrando, a quelli,
tacquero tutti e ’n piede si leváro:
quegli occhi, quella fronte, que’ capelli
subito il senso loro abbarbagliáro !
Non gesti mai, non modi mai si belli,
non vider volto mai si onesto e raro:
però da non so qual cagione astretti
son d’onorario e grandi e parvoletti.
HO
Qui senz’indugio in mezzo a tutti loro
gli fu promosso il piú levato seggio;
e, fattogli dintorno un consistoro,
ei cominciò: — Con util vostro i’ deggio,
miei frati, a voi scoprire un bel lavoro,
dove col meglio il bene, il mal col peggio
veder potrá l’uom giusto, e darsi a l’uno,
de l’altro star, quanto mai può, digiuno.
111
Ma inanzi a la dottrina error sarebbe
celarvi la persona del dottore.
Né Abramo né Moisé né David ebbe
grazia di veder mai quel Salvatore,
promesso tante volte, il qual sciorebbe
i popol tutti, non ch’un sol, d’errore,
come puotete or voi vederlo, e appresso
viver nel grembo al Padre suo con esso.

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112
Si che, dapoi che del maestro il luoco
non senza divin cenno m’assignate,
datemi le Scritture, dove roco
è di chiamare ogn’ infiammato vate
di quell’eterno ed amoroso fuoco
che sparger deve in questa ultim’etate
l’aspettato Re vostro, donde pende
quanto lá sii, qua giú, si mira e ’ntende! —
113
Cosi parlando, il chiesto libro toglie
ch’un di quei sacerdoti gli ’l porgea,
sfibbialo istesso, e quel che ’n gli occhi accoglie
nel primo aprir, perch’odano, leggea,
ove simil parole, non giá in foglie
mandate da cumana od eritrea,
per lo divino spirto alzar solia
l’ardente amor, con voce d’Esaia:
114
«Lo spirto del Signor mi sta dissopra
ch’elessemi per Figlio, per re m’unse:
da lui discesi acciò da me si scopra
l’alta cagion che l’universo aggiunse.
Vo predicando il ben, ma non senz’opra
di fé, d’amor, di ciò che mi trapunse
il cor d’un si suave ardente strale,
ch’amo ’l nemico e rendo bene per male».
115
Questo suggetto in stil d’altre parole,
oscure a chi non ama, Cristo lesse:
poi serrò il libro, come chi sol vuole
le occulte cose aprir, chiuder l’espresse:
— Oggi — disse — fra questa nostra prole
compito è quanto il Padre mio promesse ! —
Dapoi su ciò, con dire accorto e intiero,
riconoscer lor fece il gran mistiero.
T. Folengo, Opere italiane -11.
9

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116
Tal ch’essi, di stupor si come insani,
dicevan l’uno a l’altro: — E donde nasce
tanto sapere? e donde tanto sani
ragionamenti? Chi è costui? chi ’l pasce,
se non d’un fabro l’operose mani?
Avemo pur di lui fin da le fasce
notizia, che mai lettra non imprese:
or quando d’idiota si alto ascese? —
117
Ma perché de’ suoi gesti la virtute
nei propri men eh ’altrove usar volea,
l’han per profeta si, ma qual rifiute
la patria sua cui l ’altre preponeva.
Per tanto, acciò da quegli non s’impute
ch’esso sia parteggiano, rispondea:
— Voi mi direte: — O medico, procura
aver di te, poi degli strani, cura!
118
Dinne, pregamo, qual rancor ti move
o pur s’egli è cagion di piú momento
qui non oprar fra tuoi com’opri altrove!
Né ti cal punto darne un tal contento?
a’ che parteggi tu? perché a le prove,
a segni tanti mostri un argomento
d’aver Cafarnao sol per tuo diletto
e di sprezzar tua patria Nazareno? —
119
Ed io, com’uom d’ogni maliccia franco,
venuto a mondar tutti di lor scabbia,
v’annunzio ch’ad un popol di fé manco
van è far segni ed un fondare in sabbia,
perché non è, si come non fu unquanco,
patria che ’l suo profeta a grado s’abbia,
e di quel che per me da voi si chiede
dramma non trovo in voi: parlo di fede.

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120
Qual medico, degli altri non secondo
d’arte, d’antiveder, d’isperienza,
sanar si mette infermo, s’esser mondo
quel si dispera e andar di febre senza?
Né qui vai lunga prova né profondo
saper s’egli non presta ubidienza,
perché di duo’ sconvien la voluntade
che, unita, cagionar può sanitade.
121
Troppo dal mio voler lontana il vostro,
si che ’l mi’ oprar non v’apre il cor a fede.
Spetratel, mentre l’arte vi dimostro,
rompete il grosso scoglio che ’n voi siede!
ché, come il pelican col forte rostro
svenando il proprio petto indi provede
di sangue a vita degl’infermi polli,
cosi farvi convien del mio satolli.
122
Ma dicoti di certo, o popol reo,
che, essendo non men oggi tu frontoso
che fosti a’ di d’ Elia e d’ Eliseo,
mai sempre a Putii tuo perfidioso,
salute al Siro fia piú ch’a l’Ebreo,
al Siro ed a qualunque stai ritroso
d’usar con sé per lo perpuccio loro;
e pur sarai la scorza, ed essi l’oro!
123
Una di molte antiche vedovelle
sola per man d’ Elia fu risanata,
non de le vostre figlie di Rachelle,
ma sola strania, sola in Tiro nata;
e di molti lebrosi un sol la pelle
per Eliseo videsi mondata
ché ’l Soriano (non l’abbiate a male)
fu maggior del Giudeo, non pur eguale. —

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124
Al morso di quel dir senz’ombra e schietto,
le conscienze lor sfrenaron l’ira,
ira di rabbia, che l’ultrice Aletto
negli aspri cuori lor travolve e gira.
Ecco gli dan le audaci man nel petto;
ma quel, eh ’onestamente si ritira
del tempio fuor, giamai non vi fa motto
fin che d’un monte in cima l’han condotto.
125
Quindi giú d’alta roccia minarlo,
senza ch’un solo il nieghi, fan consiglio;
corron gli ungiati lupi per gittarlo.
Ma piacque a lui sottrarsi a quel periglio:
non era ordito in ciel che dispolparlo
s’avesse giú di balze, ché ’l suo Figlio
l’alto celeste Padre in sacrificcio
di croce elesse, e non di precipiccio !
126
Ahi citadin malvagi, a quanta insania
sospingevi la vostra innata asprezza !
Non per Cafarnao sol, non per Bettania
il Verbo eterno scese di su’ altezza,
ma perché piú di voi la gente strania
il dottor vostro si gentile apprezza:
fatt’è piú degna non pur la virtute
d’esso veder, ma di provar salute.
127
Andate, brutti porci, al fango lordo
ché di tal gemma in voi non cape il pregio
Vii popolazzo e di tua fece ingordo,
eh ’esser poi detto vuoi «legnaggio regio»,
gridan le pietre, i legni, e tu stai sordo
né riconosci lui, che ’l privilegio
ti fece ad esser suo figliuol diletto,
ch’or perché vuol sanarti n’hai dispetto!

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128
Neghittoso che sei, beffato e stolto,
a che chiamar tu ’l medico, se poscia
non vuoi che del tuo morbo t’abbia sciolto?
Credi tu forse che da te si poscia
l’invecchiato veleno esser distolto
senza l’amaro assaggi e n’abbi angoscia?
Brami tu di veder sanare i corpi
e, che sian l’alme sane, indugi e torpi?
129
La veritá fu sempre a’ pravi acerba
né di lor altro s’ha che ’nvidia e sdegno:
di che l’enfiata mente, che non serba
né modo al suo rancor né al duol ritegno,
muta la serpe in sino e la riserba
in cibo d’ira e di vendetta in pegno,
fin che poi le succeda puoter forse
succiare il sangue a chi ’l ben suo le porse.
130
Ma, lasso! che si può parlar di noi,
che, tolto il vel dagli occhi, a Dio parliamo,
se, de le’ grazie sante e duoni suoi
perfidi e sconoscenti, ognor peccamo?
Padre del ciel, ti cheggio, affrena i tuoi
strali, ché morte eterna meritiamo
e, piú che ’l fallir nostro a noi ti toglie,
piú tua bontá di salvar noi t’invoglie!

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