La stazione estiva di Montepiano/XVIII
Questo testo è completo. |
◄ | XVII | XIX | ► |
§ 18. — Cenni sulla Geologia
di Val di Bisenzio.
1. La vallata del Bisenzio è una delle nostre vallate più caratteristiche sotto il lato geologico; eppure è pochissimo studiata: tanto poco che è difficile, anzi impossibile, trovare riunito insieme tutto ciò che vi si riferisce.
Le montagne che la circondano ad Est, Ovest e Settentrione, nonchè quei piccoli sproni che la tagliano in tutte le direzioni, non sono catene di sollevamento; ma la vallata si è formata fra esse per avvallamento e per erosione. Originariamente un grande altipiano inclinato a Sud-Est doveva stendersi dai monti della Scoperta (1350m) e di Bucciano (1250m) a quelli di Mezzana (980m) e della Golaia (777m). Stanno ad indicarlo, oltre il decrescere progressivo delle vette, gli strati terziarii e quaternarii che si corrispondono dall’una e dall’altra parte e gli ammassi sedimentari che dai lati sono discesi e quasi sdrucciolati verso il centro della valle a formare le continue ondulazioni plioceniche, marnose alla base, sabbiose alla sommità.
Non tutti saranno in ciò d’accordo con me, meno di tutti lo Stoppani, esimio nostro geologo da poco rapito all’Italia ed alla scienza; ma sembrami difficile il poterlo ragionevolmente negare dopo gli accurati studi e le giuste osservazioni del Bombicci.
Secondo la teoria qui da me accettata, nell’epoca eocenica tutta la regione italica si sarebbe sollevata dal seno del Mediterraneo sotto forma di un piano unito ed inclinato più che altro a Sud-est, interrotto solo dalla cresta appenninica pochissimo pronunciata. Le prime erosioni dell’epoca terziaria e, molto più, le successive dell’epoche dei terrazzi e quaternaria vi avrebbero scavate le varie valli, che serbarono dapprima l’aspetto di mari terziari, simili nella forma, ma meno estesi, all’Adriatico, per poi assumere tutte o quasi tutte quella di laghi quaternari ed infine passare alla forma moderna di terreni scavati, disseminati di alluvioni e solcati dai fiumi.
Tale è la storia delle nostre valli toscane, per le quali non si può ricorrere all’azione dei ghiacciai: così nacquero la Val d’Arno, quelle del Casentino, della Chiana, del Reno, della Setta, del Santerno; così anche la Valle del Bisenzio.
Ciò ci porta ad asserire, e l’osservazione lo confermerà, che il terreno debba essere in massima parte terziario con poco estese soprammessioni di quaternario.
Discendendo infatti da Montepiano per la strada di S. Quirico, e più oltre verso Prato lungo il Bisenzio, si può osservare la seguente successione di strati e di sedimenti:
Il Sahariano, come terreno di trasporto, è sviluppatissimo ed è facile osservarlo della potenza di varii metri lungo il corso del Bisenzio, in corrispondenza con altri fiumi della valle pratese e col Reno, la Setta e le tre Limentre. Sono gli avanzi sminuzzati e più o meno rimpastasti di un mare pliocenico, simili in gran parte a quelli che s’incontrano nelle gole di Monte Mario a Roma, che io studiai con amore nei sette anni da me passati nell’eterna città.
Anche frequente nella bassa valle del Bisenzio, al disotto di Vernio e su per le coste dei monti, è la successione seguente, con passaggio dal Quaternario all’Eocene:
2. Degni di osservazione in tutta la vallata sono i varii calcari, le arenarie, i granitoni ed i diaspri.
Molto sparso è anche l’Alberese, calcare marnoso, compatto, spesse volte venato, scaglioso e contenente alghe o fuchi marini (Calcare alberese a fucoidi). Ha 2,65 di densità media, appartiene al cretaceo superiore ed è di formazione interamente marina.
Alcune volte si colora in rosso, in verde od in violetto, per infiltrazioni argillose, silicose o bituminose. È usato come pietra da calce: spezzato e poi risaldato insieme da paste eterogenee, forma delle breccie bizzarre anche lavorabili. Alcune volte è forato da geodi contenenti bellissimi cristalli romboedrici di calcite pura (CaCo.3).
Non è difficile vedere bellissimi esemplari di alberese nei quali la faccia di frattura rappresenta, quasi sino all’evidenza, o una selva, o un paesaggio, o un cielo nuvoloso, o un pavimento, od i finissimi caratteri di un manoscritto.
Il Macigno è un miscuglio di particelle argillose, calcari e quarzose e di pagliette di mica. Di colore grigiastro, o azzurognolo, diviene gialliccio sotto l’azione dell’aria e della luce: spesso vi si trovano disseminati cristalli di quarzo (SiO2), anche di quelli famosi per le loro isoorientazioni e chiamati distorti, aeroidi, a tremìe, in camicia.
Come l’Alberese anche il Macigno è povero di fossili, e se qualcuno vi se ne è trovato, come Echini, Foraminifere, Lutraria, Lucina, Tapes, Venus, ciò si è avverato nel macigno del territorio bolognese. Siccome però la formazione è identica, la presenza di tali fossili ed alcune minutissime carbonizzazioni che vi si incontrano, ci dànno il diritto di ascrivere il Macigno all’Eocene, all’Oligocene ed al Miocene, come anche in parte al Cretaceo superiore.
Sottoposte all’azione degli acidi, alcune qualità del macigno toscano, rendono le reazioni del carbonato di calcio e dell’ossido idrato di ferro (CaCO3 ed H6Fe4O9.); segno evidente che il cemento che unisce insieme le varie particelle non è in essi solamente calcareo, come in quasi tutti i macigni, ma anche ferroso. Come ogni altro macigno, anche quello toscano presenta varietà diverse dipendenti dalla qualità del cemento, dalla natura, dalla grossezza e dalle proporzioni mutue dei granuli componenti cementati insieme.
Si debbono forse ad eruzioni eoceniche e plioceniche che spinsero i loro prodotti, più che altro, in filoni ed in piccoli estendimenti sopra i terreni terziarii; quantunque molti geologi, dietro il De Lapparent, esitino ad assegnare a simili eruzioni una precisa epoca geologica.
Secondo la maggioranza dei geologi nell’epoca eocenica si decise la grande lotta tra la terraferma e l’oceano. I continenti si sollevano sempre più dal seno delle acque, le creste appenniniche, come anche le alpine e le pirenaiche, acquistano rilievo maggiore. Un ultimo sforzo delle acque arriva a ricoprire quasi tutta l’Europa; un clima africano domina da Malta all’Inghilterra, dalla Spagna ai Carpazi; dovunque prosperano sui terreni impaludati le palme, le felci arborescenti, le piante tutte a foglie sessili e caduche; dovunque pascolano i grandi ruminanti propri delle regioni torride. In questo periodo caratteristico si formano gli estesi calcari mummulitici; l’attività interna si risveglia, ed attraverso alle grandi masse di sedimento affiorano, spinte in alto da una forza interna, le eruzioni serpentinose che accompagnano il sollevamento definitivo dell’appennino; sorgenti sulfuree e ferruginose appariscono in questo periodo di attività interna e lasciano traccia debole di sè attraverso le roccie: unica fra tutte è ora rimasta, che io sappia, la fonte di Picchioni, anticamente dei Tozzi, a Mercatale, le cui acque fredde contengono il 12% di acido solfidrico (H2S).
Testimoni di questa lotta formidabile tra la terra ed il mare pochi ne restano nella nostra Toscana, pochissimi nella Valle del Bisenzio; ma ogni scarso pezzetto di torba, ogni frammento di macigno, di serpentino e di granitone, che il passeggiero incontri sulla sua strada, porta scritta in sè stesso la sua storia e la sua origine, in parte idromeccanica, in parte idroplutonica.
Sono selci gelatinose di sedimento della densità media 2-2.7, di colore nero o livido, giallastro o grigio, spesse volte a tinte sfumate ed indecise, qualcosa di mezzo tra le selci semplici e le agate, le calcedonie e le opali che tanto belle abbondano nel territorio non lontano di Montecatini e Castel Martini.
Tagliate in lamine sottili ed esaminate al microscopio presentano strati di corpuscoli calcari di origine animale, impastati, sotto l’azione dell’acqua, da una gelatina o magma siliceo.
Appartenenti a questo gruppo e sparsi in tutto il territorio sono: la selce piromaca, nera, chiamata anche pietra focaia; la selce molare, porosa, ineguale, bianco-gialliccia con macchie ocracee; il diaspro rosso, compenetrazione intima di silice con argille ocracee di perossido rosso e di ossido giallo di ferro (Fe2O3; H6Fe4O9), sostituiti spesso da ossidi di Manganese.
Bellissimo esempio di minerale silicoso insieme e calcareo è la terra gialla chiamata Tripoli, che, per quanto io sappia, non si trova in Val di Bisenzio, quantunque sia abbondante in terreni simili, per esempio presso la confluenza della Setta col Reno e vicino ai monti Parioli a Roma.
Secondo un’ipotesi plausibile, dovuta al Negri ed accettata da molti, debbono essere gli avanzi di eruzioni fangose, simili a quelle che ancora esistono nell’Emilia, ed a quelle che hanno esistito, con fenomeni presso a poco simili, nella regione Caspiana.
3. Non sarebbe difficile il ricollegare le vallate appenniniche del Bisenzio, della Setta, del Brasimone e del Reno, alle grandi vallate della Chiana e dell’Arno sopra e sotto Arezzo, ed ammettere anche in quelle, come in queste, lo stesso sistema lacustre che tanto chiaramente si scopre a S. Giovanni di Val d’Arno, sotto Bibbiena e Poppi in Casentino, ed alle falde di Montepulciano, di Chianciano e di Cortona in Val di Chiana.
Basta uno sguardo di occhio intelligente ed esercitato per convincersi come si dovesse a ciò prestare la conformazione del terreno, avvallato fra catene piuttosto alte di monti che concorrono a chiudersi quasi e ricongiungersi in un punto.
Così dove, nell’epoca terziaria, si era disteso il mare pliocenico, nell’epoca quaternaria avrebbero invaso laghi tranquilli di acqua dolce, sinchè il franamento o l’abbassarsi successivo per l’erosione delle gole di uscita rendesse possibile il completo scolo delle acque. Certamente alcune sabbie rossastre, il Loess con frustoli calcarizzati e silificati di pianticelle, la torba che s’incontra di frequente, quantunque in piccola quantità, lungo la Limentra ed il Bisenzio, le varie specie di selce stratificata, indicano la permanenza, durante un corso peraltro breve di tempo, di grandi estensioni di acqua dolce. Anzi nel territorio di Migliana, Comune di Cantagallo, in quella specie di penisola formata dalla gran voluta del Bisenzio, si crede esistano depositi più importanti di torba, e si son fatti saggi ed esperimenti per vedere se l’estrazione ne fosse remunerativa.
Se però vi fu sistema lacustre, non esisteva più quando si formavano gli immensi strati di torba ed i giacimenti ossiferi della valle dell’Arno; prima che si fosse aperto lo sbocco della Gonfolina, il Bisenzio ed il Reno avevano rotte le loro dighe.
Comunque sia, un periodo lacustre, dovuto a fenomeni locali ed indipendenti da cause geologiche, è impossibile negarlo alla regione che circonda Montepiano a Sud-Ovest di Castiglion dei Pepoli. La frana che prima racchiuse le acque e poi ne determinò lo scolo fu sotto Rasora dove parte del Monte Barbabianca precipitò nella valle. Rovinati dalle alte vette giacciono ancora fra la fanghiglia disseccata ed incastrati fra enormi massi, abeti colossali e centenari; farebbero buona prova anche in lavori da costruzione e di lusso, se l’escavazione ed il lavoro di quei tronchi semi-silificati non richiedesse troppa spesa. Si veda del resto quello che su questo argomento è stato scritto più addietro.
4. Importanti filoni metalliferi non si trovano nella valle del Bisenzio, se si faccia eccezione del M. Ferrato, che qui è fuor d’opera il nominare. Ciò non ostante, disseminati in varie parti, non è difficile ritrovare minerali di rame e di ferro, incrostazioni e depositi di zolfo, blenda, manganese e baritina. Anche dai calcari e dalle marne si trae poco profitto, ed io non saprei indicare in proposito che poche cave ed una fornace di calce e laterizi a S. Quirico di Vernio.