La stazione estiva di Montepiano/XVII
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§ 17. — La Chiesa
La chiesa dedicata a Maria SS. è, come l’Abbazia, su un ripiano assai vasto, circondata da prati e castagneti. A fianco havvi l’antico cimitero, ove dormono il sonno eterno i passati all’altra vita, all’ombra del tempio ove furon battezzati in Cristo, ove fu loro implorata l’eterna requie.
Le mura esterne della Chiesa mostrano la sua vetustà, portan l’impronta dei secoli. Non è troppo in buono stato. È desiderabile che il R. Governo, l’Economato, che il Soprintendente alla conservazione delle opere artistiche, qualcuno insomma, prenda cura di questo che è un monumento non ispregevole della storia dell’arte Italiana.
E l’arte è il più caro patrimonio che ci lasciarono gli avi.
Colla colonia estiva infantile e per ragione di questa, in modo speciale, vennero a Montepiano personaggi distinti che posero mente a quanto c’era di pregevole nella vetusta chiesa dei monaci Vallombrosani e vi richiamarono l’attenzione delle autorità competenti. Queste, accolte le giuste osservazioni, posero cura si notasse diligentemente quanto vi fosse degno di merito, almeno per la storia dell’arte, ed il Cav. Guido Carocci, adempì da par suo il nobile ufficio. Così avvenga che la chiesa sia dichiarata, per quel tanto che vi ha di pregevole, monumento nazionale, e convenientemente restaurata! I vispi fanciulli fiorentini, avranno recato, un’altra buona fortuna all’ospitale Montepiano.
Le mura della chiesa, vuolsi fossero dipinte per mano del Cimabue e di Giotto, se non che, per la solita sapienza, furon tutte rese d’un colore uniforme. Solo era stata risparmiata un’immagine di S. Cristoforo, ai cui piedi è un’iscrizione in caratteri longobardici. Sulla parete sinistra si vede un bassorilievo in terracotta, (ne abbiamo già parlato) che rappresenta uno dei miracoli di B. Pietro, con, al disotto, un ricordo esplicativo. In tanto miserando stato era tenuta la chiesa (del resto la prebenda ammessa alla parrocchia è cosa meschinissima), che l’intonaco cadeva a brani staccandosi dal muro e lasciava veder tratti di figure dipinte, cosa che faceva veramente male all’occhio, apparendo que’ tratti, come membra di persone mutilate.
Finalmente per opera delle Autorità governative competenti, sapendosi che i dipinti manifestantisi man mano, erano di buon pennello e appartenenti in parte all’epoca degli incunabuli dell’arte, furon prese per questa Chiesa, come già per molte altre, le disposizioni opportune.
Fu raschiato accuratamente il muro ed apparvero molte antiche figure delle quali alcune assai belle.
Non poche di queste però, son guaste dal tempo, o per la ninna cura con la quale furon tenute.
Ecco ciò che la commissione per la conservazione delle opere artistiche ha notato di ragguardevole nella chiesa.
L’affresco occupa in tutta l’altezza, un tratto della parete a destra, entrando in chiesa, fra la balza, o zoccolo e la linea delle mensole della tettoia.
La figura di S. Cristoforo fa parte degli affreschi della stessa mano che adornavano anche tutto il rimanente delle pareti ed era l’unico frammento rimasto scoperto, mentre al resto era stato dato di bianco. È alquanto decolorito e qua e là anche scrostato, ma in complesso, se si tien conto della sua grande antichità, non può dirsi in cattive condizioni. È antica e comunemente ripetuta l’attribuzione di questi affreschi a Cimabue. Essa è anche ripetuta in una iscrizione, apposta nel 1780, sulla parete a sinistra al disotto d’un rozzo e goffo bassorilievo di terracotta, nel quale si è cercato d’imitare una delle antiche storie.
Certo se non può aversi la certezza che questi affreschi siano di Cimabue, non si può negare che essi appartengano presso a poco al tempo nel quale Cimabue operava. Il S. Cristoforo, per il disegno, per il partito e per la tecnica delle pieghe, risente del carattere dell’arte bizantina, pur rivelando le tracce d’un sentimento nuovo, più vero, più umano.
In basso del dipinto è in lettere gotiche, malamente leggibili, scolpita questa iscrizione:
donº. SohBS . mº. T. |
Quest’affresco è dipinto nella parete a sinistra, entrando in chiesa, presso l’angolo formato dal tergo della facciata. È probabile che raffresco oggi visibile sia stato sovrapposto agli affreschi più antichi dei quali vedonsi le tracce sulle mura interne della Chiesa.
In generale il colore è assai offuscato; la parte inferiore delle figure appare molto danneggiata.
Anche questi affreschi sono stati giudicati da taluno cosa molto più antica di quel che non siano effettivamente. Non solo non appartengono al tempo della prima decorazione della Chiesa: ma, pur risentendo l’origine della scuola Giottesca, son tarde ispirazioni della memoria di Agnolo Gaddi. Debbono essere state eseguite sullo scorcio del XIV o nel primo quarto del XV secolo.
Come è stato detto di sopra, è questo affresco che adorna la lunetta, alla porta dal lato esterno della Chiesa.
È alquanto deperito e decolorato.
È stato attribuito a Cimabue, al pari degli affreschi, parte scoperti, parte celati sotto lo scialbo delle pareti interne della Chiesa; ma il sentimento gentile che appare nella testa della Vergine, la maniera più larga di disegnare e di colorire, la dimostrano di epoca posteriore e di maniera Giottesca.
Nel fondo sono i nomi dei vari personaggi, abbreviati e scritti in lettere gotiche.
Altre iscrizioni sono nello sguancio della cornice e nella facciata esterna superiore.
Questo grandioso bassorilievo scolpito sopra un solo pezzo di pietra, forma il tergo dell’altar maggiore e serve al tempo stesso da arca funeraria alle ceneri di B. Pietro.
Se si eccettuano delle scalfitture ed alcune corrosioni prodotte dall" umido, il bassorilievo può dirsi abbastanza conservato.
Ritenuta generalmente opera di scuola pisana questa scultura assai caratteristica è, invece, opera d’un maestro Comacino del quale si può rilevare il nome inciso nel bordo della cornice, nome che era finora nascosto dall’intonaco.
Giroldo fece. Di questo Giroldo da Como non è fatta menzione nemmeno alla splendida opera di Merzario sui: «Maestri Comacini». Altro e più importante lavoro di Giroldo è il bellissimo fonte battesimale della Cattedrale di Massa Marittima. In esso infatti si legge: Anno Domini MCCLXVII. Hoc opus sculptum est a Magistro Giroldo quondam Iacobi de Cumo.
Michele Caffi, dottissimo studioso, oggi defunto, scrive che Giroldo figurava tra i maestri di pietra che lavoravano alla costruzione del Duomo di Milano.
Il bassorilievo di Montepiano dev’essere anch’esso, lavoro della metà del XIII secolo.
La figura del Redentore è eseguita con minuziosa ricerca delle parti anatomiche e con molta finezza. È stata erroneamente attribuita a Donatello. Il Crocifisso vien tenuto costantemente sopra l’altar maggiore della Chiesa. Tale ubicazione potrebbe essere anche originaria. Ha ambe le braccia staccate nettamente dal corpo; in complesso però è ben conservato.
L’attribuzione di questo oggetto a Donatello, che si va ripetendo, non si sa come, tantochè taluno ha finito collo stamparlo, non ha ombra di fondamento. Basta una occhiata solamente, per giudicare che si tratta d’un opera scadente, non anteriore ai primi del XVII secolo: la figura è tozza di proporzioni, barocca, e se può dirsi, molto accurata e fine d’esecuzione, non può certo considerarsi cosa superiore alla mediocrità.1Francesco Bettini.
Note
- ↑ Il Soldani D. Fedele nel suo: Ristretto della Vita del Patriarca S. Giov. Gualberto: dedicato a P. Leopoldo Granduca allora di Toscana, assicura che i Monasteri del suo ordine erano 155, compresi quelli della diocesi di Pistoia che sono S. Maria di Montepiano — S. Maria di Pacciano — S. Michele di Pistoia — S. Salvatore di Fonte Taona — S. Salvatore a Vaiano — S. Fabiano di Prato — S. Maria di Grignano — S. Mercuriale — Monache S. Maria de’ Mario.
Espone nel Catalogo dei 58, tra Santi e Beati del medesimo ordine anche i tre seguenti, cioè:
Beato Pietro da Montepiano.
S. Atto Abate generale.
Beato Giovanni da Montepiano.