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202 ATTO QUINTO
Fe’ sol, che mi celassi, di Fatima il consiglio.

Amo questo inimico ancor della mia pace,
Voglio morir per lui, se il viver mio gli spiace.
Eccomi; che pretendi? d’avermi in tua balìa?
No, non mi avrai, lo giuro, se val la destra mia.
Per non soffrir tuoi lacci, barbaro, al tuo cospetto,
Mi passerò io stessa con questo ferro il petto.
(tenta di uccidersi
Fatima. Ferma. (le trattiene il colpo
Osmano.   No, non mi curo d’averti viva o estinta,
Purché da lacci miei, perfida, tu sii cinta;
O si confessi almeno, che quel che chiedo e voglio,
È ragion, è dovere, non violenza o orgoglio.
Machmut. Niun ti negò, che Ircana a te non si dovesse;
Ma chi sapea, che in spoglia viril si nascondesse?
Prendila.
Ircana.   Io mi ferisco.
Fatima.   Fermati; e voi m’udite.
Uditemi, se in core pietade, amor sentite:
Io sono offesa, io sono, a cui sola si aspetta
D’una rivale ardita pretender la vendetta.
Non basta il suo rimorso, non basta il suo rossore.
Rapirmi dello sposo può un’altra volta il core.
Fra queste donne or speri di rimanere invano:
Ti ha Machmut venduta, e ti ha comprata Osmano.
Passar deve una schiava del suo primier signore
Dal poter rinunciato a quel del compratore.
E il compratore, in cui paterno amor consiglia,
Della comprata schiava faccia un dono alla figlia.
Sì, Machmut ti vende, Tamas ti lascia, e oblia;
Osmano a me ti dona; Ircana, ora sei mia.
Della signora tua la legge odi ed osserva:
Restar tu qui non devi schiava fra noi, né serva.
Vattene al tuo destino felice od infelice,
Libera torna in pace alla tua genitrice.