La sottana del Diavolo/Viaggio di istruzione
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Viaggio di istruzione.
Dal momento che Filarete Assioli ebbe licenziato per le stampe il suo romanzo «Inesorabilmente», non ebbe più pace nè di giorno nè di notte. Di giorno appostava il procaccia, ansioso di ricevere dal suo editore una lettera che gli annunciasse l’edizione esaurita; di notte non vedeva che donne ideali curve sulle nitide pagine dove egli aveva posto tanta parte di sè stesso, dove palpitava la sua anima di giovane entusiasta confinata nelle anguste pareti notarili di uno studiolo da villaggio. Ma la lettera dell’editore non veniva e nessuna fra le celesti creature dei suoi sogni si decideva a prendere veste mortale per cingergli la chioma coll’alloro del vincitore.
Il maggior cruccio di Filarete era quello di doversene stare neghittoso colle mani in mano mentre l’opera sua correva il mondo a briglia sciolta. Egli numerava tutte le città d’Italia, i borghi dove il suo libro sarebbe apparso e le belle vetrine rilucenti dei librai, immaginandosi le persone che si fermavano di botto colpite dalla tinta signorile della copertina sulla quale spiccava in caratteri bizzarri quel titolo enigmatico: «Inesorabilmente». Quante città, quanti borghi, quante vetrine, quante persone! A non contare l’estero, dove pure il suo editore gli aveva promesso di mandarne qualche copia, quanti occhi si erano già posati sulle parole scritte da lui, sui suoi pensieri, sulle belle fantasie della sua mente così a lungo carezzate e che dovevano portare a’ suoi fratelli il saluto di un cuore vergine assetato di bellezza ideale.
E dunque perchè sì eterno silenzio?... Gli avevano detto (era questo forse il più sottile e il più celato dei suoi desideri) che gli autori ricevono talvolta graziose letterine di ignoti; specie di sorrisi, specie di baci, specie di fiori che la platea lancia all’artista preferito e che trasporta d’anima ad anima nel mistero della lontananza il calore benefico di una simpatia ricambiata. Oh! una forte e leale mano virile che a traverso poche parole di approvazione fosse venuta a stringere la sua in quel momento di battaglia! Oh! una manina lieve, graziosa, un po’ tremante, che gli avesse scritto.... Che cosa? Non sapeva, non voleva pensarlo, non toccava a lui; ma che qualcuno avesse risposto a tutti i gridi d’amore e di dolore che aveva messo nel suo libro come un disperato appello alla umanità, questo!
La provincia, si sa, è goffa. Non si aspettava nulla dal nucleo di piccoli possidenti fossilizzati in farmacia attorno ai barattoli della cassia, nè dalle beghine che facevano la spola fra la casa e la chiesa intente a scacciare, peggio che mosche a luglio, ogni parvenza di idee nuove che ronzasse loro attorno. Nè il suo patrono, il notaio, avrebbe permesso che gli si parlasse di libri all’infuori dei classici; nè il dottore per la sua professione assorbente, nè il segretario per la sua poca cultura, nè il maestro per la sua dura cervice, nè don Anselmo per i suoi pregiudizi, nessuno, nessuno poteva intendere, amare, proteggere il suo libro.
In famiglia subivano il contraccolpo della prostrazione che finalmente aveva invaso l’anima candida di Filarete. La sua buona mamma che aveva più di ogni altro sognato e palpitato insieme con lui, senza chiedere nemmeno che cosa fosse quel sogno, lo guardava di sottecchi sospirando e raccomandandolo al Signore come fosse in pericolo di vita; ma il padre crollando la testa forte e dura di lavoratore sembrava appoggiare ad ogni colpo i pronostici già fatti sul cattivo esito della speculazione. Non sapeva chiamare con altra parola la follia di suo figlio che aveva ridotto in carta inutile le poche economie raggranellate a stento: cattiva speculazione. Le sorelle non fiatavano.
— Ouf! — fece una mattina Filarete tendendo i pugni al cielo, — se continua questa epidemia di silenzio, mi suicido.
Intanto leggeva nelle gazzette cittadine il fervore di vita pulsante più che mai verso la fine dell’anno; i teatri aperti, i negozi riforniti, il fiotto di persone che si riversava per le vie attardandosi fin sotto i riverberi della luce elettrica davanti alle bacheche seducenti. Il mio libro è là — pensava Filarete — tutti lo hanno visto, molti senza dubbio lo hanno comperato; lo si discute, lo si loda, lo si attacca forse.... e quel cane di editore non mi dice nulla!
Correva con ansia febbrile alla pagina delle recensioni sempre sperando di trovare un articolo e l’articolo non c’era. Si era preparato da tanto tempo a ricevere il trionfo con modestia, l’attacco con fermezza, lo scherno, se per disgrazia fosse venuto, con dignità; e tutti gli accordi presi con sè stesso riuscivano vani perchè non era nè ammirato, nè attaccato, nè schernito.
Rifaceva allora nella sua mente tutto il romanzo: come era nato, come si era svolto nel più grande ardore della ispirazione, come lo aveva curato per farlo mondo da ogni improprietà, con quale coraggio si era posto a sfrondarlo in diversi punti per renderlo più snello, più agile, più alato, più degno di quel pubblico intellettuale al quale lo dedicava con un atto profondo di umiltà e di fede. Egli scrivendolo aveva pianto, aveva riso, si era innalzato al vertice del lirismo ed era sceso nei più torbidi recessi del cuore umano. Tutta la vita colle sue passioni, coi suoi eroismi, colle sue viltà si agitava là dentro e c’era tanto pensiero da interessare il filosofo, tanto movimento da tener desta l’attenzione dell’uomo di mondo, tanto amore tanto entusiasmo da cattivarsi ogni cuore femminile. Oh! la donna intellettuale come doveva comprenderlo! Egli l’aveva veduta nei ritratti delle Riviste alla moda, nelle descrizioni di romanzi, nei cenni suggestivi dei giornali all’indomani di una première o di una conferenza celebre e l’aveva amata per la sua bellezza fatta di intelligenza, per la sua eleganza composta nei filtri più misteriosi della grazia e della sovranità. Era lei che voleva commuovere, perchè alle perle che cingevano il suo collo leggiadro egli, Filarete, aveva sognato di aggiungere la perla viva di una lagrima strappata ai bellissimi occhi.
— Addio mamma, vado. Non ne posso più.
Così il giovane autore si accomiatò dalla sua famiglia in un mattino di dicembre lasciandosi dietro quella fredda casa, quel freddo borgo che gli gelavano il cuore e corse alla voragine ardente della grande città.
Bisogna vedere, bisogna muoversi, bisogna imparare — pensava Filarete facendosi strada in mezzo alla folla della capitale e porgendo un orecchio attento ai discorsi che udiva colla vaga speranza di afferrare idee nuove, magari qualche rivelazione. Le donne soprattutto lo interessavano nel loro numero stragrande, nella varietà delle loro acconciature, nella scioltezza delle movenze che era l’indice di una raffinatezza ignota alle donne del suo paese; ma fu poco fortunato perchè a farlo apposta tutte quelle che seguì per raccoglierne la voce e le idee non parlarono mai d’altro che di nastri e di stoffe.
Col cuore che gli batteva Filarete entrò nel negozio del suo editore che era anche libraio. Non si erano mai visti, il contratto essendo stato fatto per lettera, e lo scrittore novellino si apparecchiava ad un momento di grande commozione. Non ne fu nulla però. L’editore‐libraio stava ravvolgendo in un foglio di carta un libro sul quale Filarete fece scorrere l’occhio curioso. Era la Guida per Nizza e Montecarlo che un signore elegante prese, pagò e si pose sotto il braccio. Quando egli ebbe annunciato il proprio nome, il libraio che si era già rivolto da un’altra parte per sgridare un ragazzo che gli guastava il gomitolo della cordicella, lì per lì, o che non avesse inteso bene o che la sua mente fosse troppo lontana, non diede con nessun atto quella speciale dimostrazione di piacevole sorpresa che Filarete si aspettava da lui. Questo piccolo fatto bastò a sconcertarlo. Arrossì lievemente e ripetè con dolcezza: Filarete Assioli, l’autore di «Inesorabilmente».
— Ahan!... Piacere.
— Anzi, si figuri, il piacere è mio, — riprese Filarete con grande premura, sorridendo.
Stettero mezzo minuto a guardarsi nel bianco degli occhi. L’editore disse:
— E lei è venuto per le feste? Magnifica occasione; la città si trova nel suo momento migliore. Abbiamo uno spettacolo d’opera....
— Ma no, ma no. Io sono venuto per sapere come va il mio romanzo.
Pronunciando queste parole le guancie del giovane autore di rosa peonia che erano passarono al rosso fragola.
— Il suo romanzo? Non va niente affatto.
— Ni....en....te?
— Af‐fat‐to. Ne vuole la prova? Pietro (chiamò il commesso) quante copie hai venduto di «Inesorabilmente»?
— Neppur una, — rispose il commesso senza pietà.
E si ha compassione per quelli che si rompono una gamba! Quaranta giorni di letto fra morbidi guanciali, accarezzati dai parenti, visitati dagli amici che recano fiori, dolciumi, giornali illustrati.... Ah! veramente il cuore è fuori di posto.
Siccome Filarete brancicava il banco come uno che mal si regge in piedi, l’editore gli offerse una sedia con sufficiente cordialità.
— Prego, s’accomodi, non faccia complimenti. Un autore, qui, è un poco in casa sua. Certo occorre abituarsi all’ambiente; nel nostro mestiere non sono tutte rose, anzi, al contrario.... Pietro, hai mandato «Aphrodite» alla marchesa Luparelli?
Filarete si rimetteva a poco a poco. Sembrandogli che quel libraio in fondo non fosse un cattivo uomo si arrischiò a domandare:
— Leggono molto le signore dell’alta società?
— Romanzi francesi, sì, specie se sono di un certo genere.... Pare che sia alla moda perchè non domandano che quello.
— Ma vi saranno pure le intellettuali....
— Intellettuali?... Non saprei. Vi sono le vecchie intellettuali abbonate tutte alla «Revue des deux mondes» e quanto alle giovani si servono del gabinetto di lettura dove si trova un po’ di tutto.
— Il gabinetto di lettura? Libri in prestito?
— Sì. Due e cinquanta al mese: tre volumi per settimana.
— Ma questo è buono per le cameriere! — esclamò Filarete.
— Pare che vi trovino il loro tornaconto anche le signore perchè serviamo a questo modo le migliori case. Duchessa Vallese, contessa di Sira, principi Belmondo, le signore Guttierez, Vicobelli, Altalena, della Buscaglia.... tutte clienti del gabinetto di lettura. Quanto vi ha di meglio in fatto di nobiltà e di finanza.
— Ma — tornò a dire Filarete del tutto disorientato — questi libri che vanno in mano di chiunque, del bottegaio unto, del giovinastro avvinazzato, di persone a cui quelle nobili dame non vorrebbero a niun prezzo toccare un dito.... e in case sudicie, in letti ignoti.... questi libri pieni di infezioni e di microbi.... sui quali il vizio e la malattia hanno posato misteriosamente le loro traccie invisibili.... questi libri della comunità e della miseria che non si sa di dove vengono, carichi di fiati e di sputi.... che non si sa dove andranno portando via l’effluvio del salotto elegante dove posarono un giorno tra gli oggetti più intimi e più cari.... no, questi libri non possono soddisfare il gusto raffinato di quella parte di femminilità che tutte le altre donne guardano con invidia e che noi poeti collochiamo così alto nel nostro ideale.
Il libraio si strinse nelle spalle e rispose con finta bonomia:
— Che vuole, la vita è cara. I guanti devono essere freschi tutti i giorni al pari dei fiori, i nastri si gualciscono, le trine si stracciano, i cappelli si sformano prima che finisca la stagione. Un abito appena appena decente costa due o trecento lire, le mantelline duecento, trecento, cinquecento, ottocento a seconda dei ricami. Converrà che una signora vestita a questo modo non può portare scarpe scalcagnate e che se versa una goccia di profumo sul suo fazzoletto non può essere che una essenza da quindici lire la boccetta. Allora è naturale che per fare un po’ di economia si permetta solo due e cinquanta al mese di intellettualità.
Caso singolarissimo in dicembre, Filarete si sentiva la fronte madida di sudore. Egli seguiva ora col pensiero la corsa misteriosa e fatale di quei libri e gli sembrava di scorgere i bacilli del tifo annidati tra le pagine sorgere e rampare lungo gli abiti eleganti di due o trecento lire, sulla bianca mano, nelle morbide chiome che in sogno aveva tante volte baciate. E dietro quei microbi da ospedale quanti altri microbi ancora non catalogati, microbi di cancrene morali e di inaudite volgarità non vedeva egli corrompere le più pure sorgenti delle sue illusioni! Stette così qualche tempo assorto, dimenticato dal libraio che si affaccendava intorno a clienti migliori, finchè approfittando di una sosta nel negozio arrischiò timidamente un’altra osservazione:
— E gli scrittori? Essi sono una falange. Questi uomini intelligenti non comperano mantelli da cinquecento lire nè profumi rari. Si interessano ben essi all’opera letteraria dei confratelli.
— Ah! caro signore, gli scrittori non leggono che sè stessi. È il magro compenso che loro resta.
Filarete ammutolì. Inchiodato sulla sedia, in mezzo alle piramidi di libri che coprivano le pareti egli ne leggeva macchinalmente i titoli come si leggono in un cimitero le epigrafi delle lapidi. Tutti morti — pensava — eppure qualcuno deve pur vendersi poichè il libraio vive.
Quasi gli avesse divinato il pensiero, l’editore‐libraio prese l’iniziativa di altre spiegazioni e pigliando dallo scaffale or l’uno or l’altro volume venne commentando:
— Ogni tanto capita un successo. Questo per esempio: «Mémoires d’une femme de chambre». Non una delle mie clienti se ne è privata perchè le due copie circolanti del gabinetto di lettura non bastavano a soddisfare la curiosità di tutte.
— Anche «Quo Vadis» ha avuto a suo tempo un bel successo però.
— Sì, anche quello. Vede, o preti o.... Ci vogliono questi due argomenti per far fortuna. Ognuno ha il suo pubblico speciale e in giornata si specializza tutto. Se lei scriverà un altro romanzo ci pensi prima: o preti o....
Filarete abbassò il capo. Le ombre del crepuscolo invernale oscuravano già la soglia del negozio; altre ombre si addensavano nell’anima sua. Era dunque stato inutile tanto amore e tanto ardore?
A un tratto l’ombra sulla soglia apparve più cupa; una persona l’aveva ostruita in parte. Il commesso si affrettò ad accendere la luce elettrica facendosi innanzi ad un giovane che si avanzava timidamente sbirciando la fila dei libri schierati sul banco.
— In che cosa posso servirla?
L’incognito, portava un pastrano nero con bavero di velluto piuttosto usato e cappello a cencio schiacciato sull’occhio, mostrò un leggero imbarazzo continuando a guardare furtivamente le copertine. Finalmente disse a voce bassa, quella voce che tradisce immancabilmente lo stato della scarsella:
— Vorrei vedere il nuovo romanzo uscito: «Inesorabilmente» di Filarete Assioli.
Come mai non si accorse del giovine che diede un balzo sulla sedia a due passi da lui? Il commesso strizzò l’occhio da quella parte col fare di chi la sa lunga e porse il volume richiesto. Allora si vide una pantomima curiosa. Il nuovo arrivato, in piedi sotto la lampadina elettrica, sfogliava adagino le pagine introducendo il dito nei fogli ancora congiunti per tentare di allargare lo spiraglio, dando segni di interesse, di curiosità, di piacere; e Filarete dall’angolo semibuio dove si trovava abbandonato sulla sedia seguiva con ansia ogni movimento, ogni piega della fronte o delle labbra e cercava a sua volta di indovinare approssimativamente quale era il capitolo o il periodo che quello stava leggendo; quando lo vedeva sorridere si sentiva invaso da una straordinaria letizia e quando facevasi serio e attento tutta la sua anima trasmigrava nel corpo dello sconosciuto per scrutarne le sensazioni. A un certo punto il foglio chiuso da tutti i lati accrebbe la curiosità del lettore e diede a Filarete un brivido di febbre.
— Ebbene, quanto costa? — disse l’uomo dal pastrano nero; e prima ancora che il commesso potesse rispondere, avendo gettato uno sguardo sul dorso del volume, esclamò terrorizzato: — Quattro lire!
— Il volume ha quattrocento sessanta pagine, — si affrettò a dire il commesso, — l’edizione è elegante, caratteri nuovi....
Una viva contrarietà si era diffusa intanto sul volto dello sconosciuto; la sua tasca, quella tasca che aveva già dato il tono alla sua voce e che andava ora palpando malinconicamente modificò d’un tratto i guizzi lieti della sua fisionomia. Depose il volume sul banco mormorando:
— Ci penserò.
La sua voce era umile, scorata, mentre a passi incerti si avviava fuori della soglia.
Filarete non fece che un salto. Lo afferrò per la manica del nero pastrano e con voce ancora più umile, ancora più scorata, gli pose nelle mani il suo romanzo sospirando lieve:
— Lo accetti, la prego, lo accetti in omaggio.... Sono l’autore.