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Sezione quinta - Capitolo secondo - Le repubbliche tutte son nate da certi principi eterni de' feudi

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Sezione quinta - Capitolo secondo - Le repubbliche tutte son nate da certi principi eterni de' feudi
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[CAPITOLO SECONDO]

le repubbliche tutte son nate da certi princípi eterni
de’ feudi

599In cotal guisa, per la natura de’ forti di conservare gli acquisti e per l’altra de’ benefizi che si possono sperare nella vita civile, sopra le quali due nature di cose umane dicemmo nelle Degnitá esser fondati i principi eterni de’ feudi, nacquero al mondo le repubbliche con tre spezie di domini per tre spezie di feudi, che tre spezie di persone ebbero sopra tre spezie di cose.

600Il primo fu dominio bonitario di feudi rustici ovvero umani, che gli «uomini», i quali nelle leggi de’ feudi, al ritornare della barbarie, si maraviglia Ottomano dirsi i «vassalli», cioè i plebei, ebbero de’ frutti sopra i poderi de’ lor eroi.

601Il secondo fu dominio quiritario di feudi nobili, o sia eroici, ovvero armati, oggi detti «militari», ché gli eroi, in unirsi in ordini armati, si conservarono sovrani sopra i loro poderi; che, nello stato di natura, era stato il dominio ottimo che Cicerone, come altra volta si è detto, nell’orazione De aruspicum responsis riconosce d’alquante case ch’erano a’ suoi tempi restate in Roma, e ’l diffinisce «dominio di roba stabile, libera d’ogni peso reale, non solo privato, ma anche pubblico». Di che vi ha un luogo d’oro ne’ cinque libri sagri, ove Mosè narra ch’a’ tempi di Giuseffo i sacerdoti egizi non pagavano al re il tributo de’ loro campi; e noi abbiamo poco sopra dimostro che tutti i regni eroici furono di sacerdoti, e appresso dimostreremo che da prima i patrizi romani non pagaron all’erario il tributo nemmeno dei loro. I quali feudi sovrani privati, nel formarsi delle repubbliche eroiche, si assoggettirono naturalmente alla maggiore sovranitá di essi ordini eroici regnanti (ciascun comune de’ quali si disse «patria», sottointesovi «res», cioè [p. 283 modifica] «interesse di padri»), a doverla difendere e mantenere, perch’ella aveva conservato loro gl’imperi sovrani famigliari, e questi stessi tutti eguali tra lor medesimi; lo che unicamente fa la libertá signorile.

602Il terzo, con tutta la propietá detto «dominio civile», che esse cittá eroiche, compostesi sul principio di soli eroi, avevano de’ fondi, per certi feudi divini ch’essi padri di famiglia avevano innanzi ricevuto da essa divinitá provvedente, com’abbiamo sopra dimostro (onde si erano truovati sovrani nello stato delle famiglie, e si composero in ordini regnanti nello stato delle cittá); e si divennero regni civili sovrani, soggetti al solo sommo sovrano Dio, in cui tutte le civili sovrane potestá riconoscono provvidenza. Lo che ben per sensi umani si professa dalle sovrane potenze, ch’a’ lor maestosi titoli aggiugnono quello «per la divina provvedenza» ovvero quello «per la grazia di Dio», dalla quale devono pubblicamente professare di aver ricevuto i regni; talché, se ne proibissero l’adorazione, esse anderebbero naturalmente a cadérne, perché nazione di fatisti o casisti o d’atei non fu al mondo giammai, e ne vedemmo sopra tutte le nazioni del mondo, per quattro religioni primarie e non piú, credere in una divinitá provvedente. Perciò i plebei giuravano per gli eroi (di che sonci rimasti i giuramenti «mehercules!», «mecastor!», «aedepol!» e «mediusfidius!», «per lo dio Fidio!», che, come vedremo, fu l’Ercole de’ romani), altronde gli eroi giuravan per Giove: perché i plebei furono dapprima in forza degli eroi (come i nobili romani, fin al CCCCXIX di Roma, esercitarono la ragione del carcere privato sopra i plebei debitori); gli eroi, che formarono gli ordini loro regnanti, eran in forza di Giove, per la ragion degli auspici: i quali se loro sembravano di permetterlo, davano i maestrati, comandavan le leggi ed esercitavano altri sovrani diritti; se parevano di vietarlo, se n’astenevano. Lo che tutto è quella «fides deorum et hominum», a cuí s’appartengono quell’espressioni latine «implorare fidem», «implorar soccorso ed aiuto»; «recipere in fidem», «ricevere sotto la protezione o l’imperio»; e quella esclamazione «proh deum [p. 284 modifica] atque hominum fidem imploro!», con la quale gli oppressi imploravano a lor favore la «forza degli dèi e degli uomini», che, con esso senso umano, gl’italiani voltarono «poter del mondo!». Perché questo potere, onde le somme civili potestá sono dette «potenze»; questa forza, questa fede, di cui i giuramenti testé osservati attestano l’ossequio de’ soggetti; e questa protezione, ch’i potenti debbono avere de’ deboli (nelle quali due cose consiste tutta l’essenza de’ feudi), è quella forza che sostiene e regge questo mondo civile. Il cui centro fu sentito, se non ragionato, da’ greci (come l’abbiamo sopra avvertito nelle medaglie delle loro repubbliche) e da’ latini (come l’abbiamo osservato nelle loro frasi eroiche) esser il fondo di ciascun orbe civile: com’oggi le sovranitá sulle loro corone sostengono un orbe ov’è innalberata la divinitá della croce; il qual orbe sopra abbiamo dimostrato esser il pomo d’oro, il quale significa il dominio alto che le sovranitá hanno delle terre da essoloro signoreggiate, e perciò traile maggiori solennitá delle loro incoronazioni si pone nella loro sinistra mano. Laonde hassi a dire che le civili potestá sono signore della sostanza de’ popoli, la qual sostiene, contiene e mantiene tutto ciò che vi è sopra e s’appoggia. Per cagione d’una cui parte, «pro indiviso», per dirla alla scolastica, per una distinzion di ragione, nelle romane leggi il patrimonio di ciascun padre di famiglia vien detto «patris» o «paterna substantia»; ch’è la profonda ragione per che le civili sovrane potestá possono disporre di tutto l’aggiunto a cotal subbietto, cosí nelle persone, come negli acquisti, opere e lavori, ed imporvi tributi e dazi, ov’abbian da esercitar esso dominio de’ fondi, ch’ora per un riguardo opposto (il quale significa in sostanza lo stesso) i teologi morali e gli scrittori de iure publico chiamano «dominio eminente», siccome le leggi, che tal dominio riguardano, dicono pur ora «fondamentali» de’ regni. Il qual dominio, perch’è di essi fondi, da’ sovrani naturalmente non si può esercitare che per conservare la sostanza de’ loro Stati, allo stare de’ quali stanno, al rovinare rovinano tutte le cose particolari de’ popoli.

603Che i romani avessero sentito, se non inteso, questa [p. 285 modifica] generazione di repubbliche sopra tali principi eterni de’ feudi, ci si dimostra nella formola che ci han lasciato della revindicazione, cosí conceputa: «Aio hunc fundum meum esse ex iure quiritium», nella qual attaccarono cotal azione civile al dominio del fondo, ch’è di essa cittá e proviene da essa forza, per cosí dire, centrale, per la qual ogni cittadino romano è certo signore di ciascun suo podere, con un dominio «pro indiviso » che uno scolastico direbbe, per una mera distinzion di ragione, e perciò detta «ex iure quiritium», i quali, per mille pruove fatte e da farsi, furono dapprima i romani armati d’aste in pubblica ragunanza, che facevan essa cittá. Tanto che questa è la profonda ragione ch’i fondi e tutti i beni (i quali tutti da essi fondi provengono), ove sono vacanti, ricadono al fisco: perché ogni patrimonio privato pro indiviso è patrimonio pubblico, onde, in mancanza de’ privati padroni, perdono la disegnazione di parte e restano con quella di tutto. Che dee essere la cagione di quella elegante frase legale: ch’i retaggi, particolarmente legittimi, si dicono «redire agli eredi», a’ quali, in veritá, vengono una sol volta, perché da’ fondatori del diritto romano, ch’essi fondarono nel fondare della romana repubblica, tutti i patrimoni privati si ordinarono feudi, quali da’ feudisti si dicono «ex pacto et providentia», che tutti escono dal patrimonio pubblico e, per patto e provvedenza delle civili leggi, girano sotto certe solennitá da privati in privati, in difetto de’ quali debbano ritornare al lor principio, dond’essi eran usciti. Tutto lo che qui detto ad evidenza vien confermato dalla legge papia poppea d’intorno a’ caduci. La quale puniva i celibi con la giusta pena: ch’i cittadini i quali avevano traccurato di propagare co’ matrimoni il loro nome romano, s’avessero fatto testamenti, questi si rendessero inefficaci, ed altronde si stimassero non avere congionti che loro succedessero ab intestato , e sí, né per l’una né per l’altra via, avessero eredi, i quali conservassero i nomi loro; e i patrimoni ricadessero al fisco, con qualitá non di retaggi ma di peculi, e, per dirla con Tacito, andassero al popolo, «tamquam omnium parentem ». Ove il profondo scrittore richiama la ragione delle pene [p. 286 modifica] caducarle fino dagli antichissimi tempi ch’i primi padri del gener umano occuparono le prime terre vacue, la qual occupazione è ’l fonte originario di tutti i domini del mondo; i quali padri poi, unendosi in cittá, delle loro potestá paterne fecero la potestá civile, e de’ loro privati patrimoni fecero il patrimonio pubblico, il quale s’appella «erario»; e che i patrimoni de’ cittadini vadano di privato in privato con qualitá di retaggi, ma, ricadendo al fisco, riprendano l’antichissima prima qualitá di peculi.

604Qui, nella generazione delle loro repubbliche eroiche, fantasticarono i poeti eroi l’undecima divinitá maggiore, che fu Mercurio. Il quale porta a’ famoli ammutinati la legge nella verga divina (parola reale degli auspici), ch’è la verga con cui Mercurio richiama l’anime dall’Orco, come narra Virgilio (richiama a vita socievole i clienti, che, usciti dalla protezione degli eroi, erano tornati a disperdersi nello stato eslege, ch’è l’Orco de’ poeti, il quale divoravasi il tutto degli uomini, come appresso si spiegherá). Tal verga ci vien descritta con una o due serpi avvoltevi (che dovetter esser spoglie di serpi, significanti il dominio bonitario che si rillasciava lor dagli eroi, e ’l dominio quiritario che questi si riserbavano), con due ali in capo alla verga (per significar il dominio eminente degli ordini) e con un cappello pur alato (per raffermarne l’alta ragione sovrana libera, come il cappello restò geroglifico di libertá); oltre di ciò, con l’ali a’ talloni (in significazione che ’l dominio de’ fondi era de’ senati regnanti), e tutto il rimanente si porta nudo (perché portava loro un dominio nudo di civile solennitá, e che tutto consisteva nel pudor degli eroi, appunto quali nude vedemmo sopra essere state finte Venere con le Grazie). Talché dall’uccello d’Idantura, col quale voleva dir a Dario ch’esso era sovrano signor della Scizia per gli auspíci che vi aveva, i greci ne spiccarono l’ali, per significare ragioni eroiche; e finalmente, con lingua articolata, i romani in astratto dissero «auspicia esse sua», per gli quali volevano dimostrar alla plebe ch’erano propie loro tutte le civili eroiche ragioni e diritti. Sicché questa verga alata di [p. 287 modifica] Mercurio de’ greci, toltane la serpe, è l’aquila sullo scettro degli egizi, de’ toscani, romani e, per ultimo, degl’inghilesi, che sopra abbiam detto. La qual da’ greci si chiamò κηρύκειον, perché portò tal legge agraria a’ famoli degli eroi, i quali da Omero sono κήρυκες; appellati; portò l’agraria di Servio Tullio, con la quale ordinò il censo, per lo quale i contadini con tal qualitá dalle leggi romane sono detti «censiti»; portò in queste serpi il dominio bonitario de’ campi, per lo quale da ὠφέλεια (che viene da ὄφις, «serpe») fu detto il terratico, il quale, come sopra abbiam dimostrato, da’ plebei si pagava agli eroi; portò finalmente il famoso nodo erculeo, per lo quale gli uomini pagavano agli eroi la decima d’Ercole, e i romani debitori plebei fin alla legge petelia furono «nessi» o vassalli ligi de’ nobili: delle quali cose tutte abbiamo appresso molto da ragionare.

605Quindi ha a dirsi che questo Mercurio de’ greci fu il Theut o Mercurio che dá le leggi agli egizi, significato nel geroglifico dello Cnefo: descritto serpente, per dinotare la terra colta; col capo di sparviere o d’aquila, come gli sparvieri di Romolo poi divennero l’aquile de’ romani, con che intendevano gli auspíci eroici; stretto da un cinto, segno del nodo erculeo; con in mano uno scettro, che voleva dire il regno de’ sacerdoti egizi; con un cappello pur alato, che additava il loro alto dominio de’ fondi; e alfin con un uovo in bocca, che dava ad intendere l’orbe egiziaco, se non è forse il pomo d’oro, che sopra abbiamo dimostrato significare il dominio alto ch’i sacerdoti avevano delle terre d’Egitto. Dentro il qual geroglifico Maneto ficcò la generazione dell’universo mondano; e giunse tanto ad impazzare la boria de’ dotti, ch’Atanagio Kirchero nell’Obelisco panfilio dice significare la santissima Trinitá.

606Qui incominciarono i primi commerzi nel mondo, ond’ebbe il nome esso Mercurio, e poi funne tenuto dio delle mercatanzie; come da questa prima imbasciata fu lo stesso creduto dio degli ambasciadori, e, con veritá di sensi, fu detto dagli dèi (che noi sopra truovammo essersi appellati gli eroi delle prime cittá) esser mandato agli uomini (qual’Ottomano avverte con maraviglia essersi detti dalla ricorsa barbarie i vassalli); e le [p. 288 modifica] ali, che qui abbiam veduto significare ragioni eroiche, furono poi credute usarsi da Mercurio per volare da cielo in terra, e quinci rivolare da terra in cielo. Ma, per ritornar a’ commerzi, eglino incominciarono d’intorno a queste spezie di beni stabili; e la prima mercede fu, come dovett’essere, la piú semplice e naturale, qual è de’ frutti che si raccogliono dalla terra; la qual mercede, sia o di fatighe o di robe, si costuma tuttavia ne’ commerzi de’ contadini.

607Tutta questa istoria conservarono i greci nella voce νόμος, con la quale significano e «legge» e «pasco»; perché la prima legge fu quest’agraria, per la quale gli re eroici furono detti «pastori de’ popoli», come qui si è accennato e piú appresso si spiegherá.

608Cosí i plebei delle prime barbare nazioni (appunto come Tacito gli narra appresso i Germani antichi, ove, con errore, gli crede servi, perché, come si è dimostro, i soci eroici erano come servi) si dovettero dagli eroi sparger per le campagne, e ivi soggiornare con le lor case ne’ campi assegnati loro e, co’ frutti delle ville, contribuire quanto faceva d’uopo al sostentamento de’ lor signori. Con le quali condizioni si congiugna il giuramento che pur da Tacito udimmo sopra, di dover essi e guardargli e difendergli e servir alla loro gloria, e tal spezie di diritti si pensi di diffinirsi con un nome di legge: che si vedrá con evidenza che non può convenir loro altro nome che di questi i quali da noi si dicono «feudi».

609Di tal maniera si truovarono le prime cittá fondate sopra ordini di nobili e caterve di plebei, con due contrarie eterne propietá, le quali escono da questa natura di cose umane civili che si è qui da noi ragionata: de’ plebei di voler sempre mutar gli Stati, come sempre essi gli mutano; e de’ nobili, sempre di conservargli. Onde, nelle mosse de’ civili governi, se ne dicono «ottimati» tutti coloro che si adoperano per mantenere gli Stati, ch’ebbero tal nome da questa propietá di star fermi ed in piedi.

610Quivi nacquero le due divisioni: una di sappienti e di volgo, perocché gli eroi fondavano i loro regni nella sapienza [p. 289 modifica] degli auspici, come si è detto nelle Degnitá e molto sopra si è ragionato. In séguito di questa divisione, restò al volgo raggiunto perpetuo di «profano»; perché gli eroi, ovvero i nobili, furono i sacerdoti dell’eroiche cittá, come certamente lo furono tra’ romani fin a cent’anni dopo la legge delle XII Tavole, come sopra si è detto; onde i primi popoli, con certa spezie di scomunica, toglievano la cittadinanza, qual fu tra’ romani l’interdetto dell’acqua e fuoco, come appresso si mostrerá. Perciò le prime plebi delle nazioni si tennero per istranieri, come or ora vedremo (e ne restò propietá eterna che non si dá la cittadinanza ad un uomo di diversa religione); e da tal «volgo» restaron detti «vulgo quaesiti» i figliuoli fatti nel chiasso, per ciò che sopra abbiam ragionato, che le plebi nelle prime cittá, perocché non vi avevano la comunanza delle cose sagre o divine, per molti secoli non contrassero matrimoni solenni.

611L’altra divisione fu di «civis» e «hostis». E «hostis» significò «ospite o straniero» e «nimico», perché le prime cittá si composero di eroi e di ricevuti a’ di lor asili (nel qual senso s’hanno a prendere tutti gli ospizi eroici); come, da’ tempi barbari ritornati, agl’italiani restò «oste» per «albergatore» e per gli «alloggiamenti di guerra», e «ostello» dicesi per «albergo». Cosí Paride fu ospite della real casa d’Argo, cioè nimico, che rapiva donzelle nobili argive, rappresentate col carattere d’Elena. Cosí Teseo fu ospite d’Arianna, Giasone di Medea, che poi abbandonano e non vi contraggono matrimoni: ch’erano riputate azioni eroiche, che, co’ sensi nostri presenti, sembrano, come lo sono, azioni d’uomini scellerati. Cosí hassi a difendere la pietá d’Enea, ch’abbandona Didone ch’aveva stuprato (oltre a’ grandissimi benefici che n’avea ricevuti, e la magnanima profferta che quella gli aveva fatto del regno di Cartagine in dote delle sue nozze), per ubbidir a’ fati, i quali, benché fusse straniera anch’essa, gli avevano destinata Lavinia moglie in Italia. Il qual eroico costume serbò Omero nella persona d’Achille, il massimo degli eroi della Grecia, il quale rifiuta qualunque delle tre figliuole ch’Agamennone gli offre in moglie con la regal dote di sette terre ben popolate [p. 290 modifica] di bifolchi e pastori, rispondendo di voler prender in moglie quella che nella sua padria gli darebbe Peleo, suo padre. Insomma, i plebei eran «ospiti» delle cittá eroiche, contro i quali udimmo piú volte Aristotile che «gli eroi giuravano d’esser eterni nimici». Questa stessa divisione ci è dimostrata con quelli estremi di «civis» e «peregrinus», preso il «peregrino» con la sua natia propietá d’«uomo che divaga per la campagna», detta «ager» in significazione di «territorio» o «distretto» (come «ager neapolitanus», «ager nolanus»), detto cosí quasi «peragrinus», perocché gli stranieri che viaggiano per lo mondo non divagano por gli campi, ma tengon dritto per le vie pubbliche.

612Tali origini ragionate degli ospiti eroici dánno un gran lume alla storia greca ove narra de’ sami, sibariti, trezeni, anfiboliti, calcidoni, gnidi e scii, che dagli stranieri vi furono cangiate le repubbliche da aristocratiche in popolari; e dánno l’ultimo lustro a ciò ch’abbiamo pubblicato molti anni fa con le stampe, ne’ Principi del Diritto universale, d’intorno alla favola delle leggi delle XII Tavole venute da Atene in Roma; ch’è un de’ due luoghi per gli quali stimiamo non esser inutile affatto quell’opera. Ché nel capo De forti sanate nexo soluto, che noi pruovammo essere stato il subbietto di tutta quella contesa, per ciò che vi han detto i latini filologi che ’l «forte sanate» era lo straniero ridutto all’ubbidienza, ella fu la plebe romana, la quale si era rivoltata perché non poteva da’ nobili riportar il dominio certo de’ campi; che certo non poteva durare, se non ne fusse stata fissa eternalmente la legge in una pubblica tavola, con la quale determinatosi il gius incerto, manifestatosi il gius nascosto, fusse legata a’ nobili la mano regia di ripigliarglisi: ch’è ’l vero di ciò che ne racconta Pomponio. Per lo che fece tanti romori che fu bisogno criare i decemviri, i quali diedero altra forma allo Stato e ridussero la plebe sollevata all’ubbidienza, con dichiararla, con questo capo, prosciolta dal nodo vero del dominio bonitario, per lo quale erano stati «glebae addicti» o «adscriptitii» o «censiti» del censo di Servio Tullio, come sopra si è dimostrato, e restasse obbligata col [p. 291 modifica] nodo finto del dominio quiritario: ma se ne serbò un vestigio fin alla legge petelia nel diritto, ch’avevano i nobili, della prigion privata sopra i plebei debitori. I quali stranieri, con le «tentazioni tribunizie» ch’elegantemente dice Livio (e noi l’abbiamo noverate, nell’annotazione alla legge publilia, sopra, nella Tavola cronologica ), lo stato di Roma da aristocratico finalmente cangiarono in popolare.

613Non essersi Roma fondata sopra le prime rivolte agrarie, egli ci dimostra essere stata una cittá nuova, come canta la storia. Fu ella bensí fondata sopra l’asilo, dove, durando ancora dappertutto le violenze, avevano dovuto prima farsi forti Romolo e i suoi compagni, e poi ricevervi i rifuggiti, e quivi fondare le clientele, quali sono state sopra da noi spiegate. Onde dovette passare un dugento anni perch’i clienti s’attediassero di quello stato: quanto tempo vi corse appunto perché il re Servio Tullio vi portasse la prima agraria. Il qual tempo aveva dovuto correre nelle antiche cittá per un cinquecento anni, per quest’istesso: che quelle si composero d’uomini piú semplici, questa di piú scaltriti; ch’è la cagione perché i romani manomisero il Lazio, quindi Italia, e poi il mondo, perché piú degli altri latini ebbero giovine l’eroismo. La qual istessa è la ragione piú propia (la qual si disse nelle Degnitá ) ch’i romani scrissero in lingua volgare la loro storia eroica, ch’i greci avevano scritta con favole.

614Tutto ciò ch’abbiamo meditato de’ princípi della politica poetica e veduto nella romana storia, a maraviglia ci è confermato da questi quattro caratteri eroici: primo, dalla lira d’Orfeo ovvero d’Apollo; secondo, dal teschio di Medusa; terzo, da’ fasci romani; quarto ed ultimo, dalla lutta d’Ercole con Anteo.

615E, primieramente, la lira fu ritruovata dal Mercurio de’ greci, quale da Mercurio egizio fu ritruovata la legge. E tal lira gli fu data da Apollo, dio della luce civile o sia della nobiltá, perché nelle repubbliche eroiche i nobili comandavan le leggi, e con tal lira Orfeo, Anfione ed altri poeti teologi, che professavano scienza di leggi, fondarono e stabilirono l’umanitá della Grecia, come piú spiegatamente diremo appresso. Talché [p. 292 modifica] la lira fu l’unione delle corde o forze de’ padri, onde si compose la forza pubblica, che si dice «imperio civile», che fece cessare finalmente tutte le forze e violenze private. Onde la legge con tutta propietá restò a’ poeti diffinita «lyra regnorum», nella quale s’accordarono i regni famigliari de’ padri, i quali stati erano innanzi scordati, perché tutti soli e divisi tra loro nello stato delle famiglie, come diceva Polifemo ad Ulisse. E la gloriosa storia nel segno di essa lira fu poi con le stelle descritta in cielo, e ’l regno d’Irlanda nell’arme degli re d’Inghilterra ne carica lo scudo d’un’arpa. Ma, appresso, i filosofi ne fecero l’armonia delle sfere, la qual è accordata dal sole; ma Apollo suonò in terra quella la quale, nonché potè, dovett’udire, anzi esso stesso suonare Pittagora, preso per poeta teologo e fondatore di nazione, il quale finora n’è stato d’impostura accusato.

616Le serpi unite nel teschio di Medusa, caricato d’ale nelle tempia, son i domini alti famigliari ch’avevano i padri nello stato delle famiglie, ch’andarono a comporre il dominio eminente civile. E tal teschio fu inchiovato allo scudo di Perseo, ch’è lo stesso del qual è armata Minerva, che tra l’armi, o sia nelle adunanze armate delle prime nazioni, tralle quali truovammo ancor la romana, detta le spaventose pene ch’insassiscono i riguardanti. Una delle quali serpi sopra dicemmo essere stato Dragone, il quale fu detto scriver le leggi col sangue, perché se n’era armata quell’Atene (qual si disse Minerva Ἀθηνᾶ) nel tempo ch’era occupata dagli ottimati, come pur sopra si è detto. E ’l dragone appo i chinesi, i quali ancora scrivono per geroglifici, egli, com’anco sopra si è veduto, è l’insegna dell’imperio civile.

617I fasci romani sono i litui de’ padri nello stato delle famiglie. Una qual si fatta verga in mano d’uno di essi Omero con peso di parole chiama «scettro», ed esso padre appella «re», nello scudo ch’egli descrive d’Achille, nel quale si contiene la storia del mondo; e in tal luogo è fissata l’epoca delle famiglie innanzi a quella delle cittá, come appresso sará pienamente spiegato. Perché, con tali litui presi gli auspíci che le [p. 293 modifica] comandassero, i padri dettavano le pene de’ loro figliuoli, come nella legge delle XII Tavole ne passò quella del figliuol empio ch’abbiamo sopra veduto. Onde l’unione di tali verghe o litui significa la generazione dell’imperio civile, la quale si è qui ragionata.

618Finalmente Ercole (carattere degli Eraclidi ovvero nobili dell’eroiche cittá) lutta con Anteo (carattere de’ famoli ammutinati) e, innalzandolo in cielo (rimenandoli nelle prime cittá poste in alto), il vince e l’annoda a terra. Di che restò un giuoco a’ greci detto del «nodo»; ch’è ’l nodo erculeo, col qual Ercole fondò le nazioni eroiche, e per lo quale da’ plebei si pagava agli eroi la decima d’Ercole, che dovett’esser il censo pianta delle repubbliche aristocratiche. Ond’i plebei romani per lo censo di Servio Tullio furono nexi de’ nobili e, per lo giuramento che narra Tacito darsi da’ Germani antichi a’ loro principi, dovevano lor servire come vassalli perangari a propie spese nelle guerre: di che la plebe romana si lamenta dentro cotesta stessa sognata libertá popolare. Che dovetter esser i primi assidui, che «suis assibus militabant»: però soldati non di ventura, ma di dura necessitá.