La scienza nuova - Volume I/Libro II/Introduzione/Capitolo III
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[CAPITOLO TERZO] DEL DILUVIO UNIVERSALE E DE’ GIGANTI
[La terra appena sgombra dalle acque del Diluvio e i giganti sono la scena e gli attori da cui si sviluppò il dramma grandioso deU’ antica Sapienza poetica. Con una lunga discussione sui dati dell’erudizione dei suoi tempi, il V. fin dal Z>C7, per orientarsi nella storia del tempo oscuro, aveva stabilito: la dispersione del genere umano nella selva della terra,— il diluvio antecedente, — l’esistenza dei giganti dimostrata dalla storia civile e naturale,— la Provvidenza che conserva la specie umana coU’ingigantire gli uomini dispersi,— il vero senso della tradizione che i giganti sono figli della terra, — le lavande e il timore dei padri, che al cominciai-e dell’umanità riconducono gli uomini aUe giuste stature {CD, e. 9).— Nella SN^ questi risultamenti erano uno dei dati a cui appoggiavasi la nuova arte critica per risalire alla formazione delle società primitive (67^, II, e. 12).— In questo luogo gli stessi risultamenti escono dimostrativamente dalle premesse del libro primo, e si agglomerano e afforzano colla storia delle lustrazioni romane e con altre testimonianze.]
(a) Gli autori dell’umanità gentilesca dovetter essere uomini delle razze di Cam che molto prestamente, di Giafet che alquanto dopo, e finalmente (h) di Sem; ch’altri dopo altri tratto tratto rinnunziarono alla vera religione del loro comun padre Noè, la qual sola nello stato delle famiglie poteva tenergli in umana società con la società de’ matrimoni, e quindi di esse famiglie medesime. E perciò dovetter andar a dissolver i matrimoni e disperdere le famiglie coi concubiti incerti; e con un ferino error divagando per la gran selva della terra (quella di Cam per l’Asia (e) meridionale, per l’Egitto e ’1 rimanente dell’Affrica; quella di Giafet per l’Asia settentrionale, ch’è la Scizia, e di là per r Europa; quella di Sera per tutta l’Asia di mezzo ad esso Oriente), per campar dalle fiere, delle quali la gran selva ben doveva abbondare, e per inseguire le donne, ch’in tale stato
(a) [CMA^] Alla quale [alla storia universale] dando incominciamento, diciam.o che gli autori^ ecc. {b) molti fZi, ecc. (e) orientale, per V Egitto, ecc. DET, DILUVIO UNIVERSALK E De’ (4IGANTI 205
dovevan esser selvagge, ritrose {a) e schive, e si, sbandati per truovare pascolo ed acqua, le madri abbandonando i loro figliuoli, questi dovettero tratto tratto crescere senza udir voce umana nonché apprender uman costume, onde andarono in uno stato affatto bestiale e ferino. Nel quale le madri, come bestie, dovettero lattare solamente i bambini e lasciargli nudi rotolare dentro le fecce loro propie, ed appena spoppati abbandonargli per sempre; e questi — dovendosi rotolare dentro le loro fecce i, le quali co’ sali nitri maravigliosamente ingrassano i campi; — e sforzarsi per penetrare la gran selva, che per lo fresco Diluvio doveva esser foltissima, per gli quali sforzi dovevano dilatar altri muscoli per tenderne altri, onde i sali nitri in maggior copia s’insinuavano ne’ loro corpi; — e senza alcun timore di dèi, di padri, di maestri, il qual assidera il più rigoglioso dell’età fanciullesca; — dovettero a dismisura ingrandire le carni e l’ossa, e crescere vigorosamente robusti, e si provenire giganti. Ch’è la ferina educazione, ed in grado più fiera di quella nella quale, come nelle Degnità^ si è sopra avvisato. Cesare e Tacito rifondono la cagione della gigantesca statura degli antichi Germani, onde fu quella de’ Goti che dice Procopio 3, e qual oggi è quella de los Patacones che si credono presso lo stretto di MagagUanes; d’intorno alla quale han detto tante inezie i filosofi in fisica (6), raccolte dal Cassanione che scrisse De gigantihus ^. De’ quali
(a) affin di sfogar in esse la bestiale libidine,.... e quivi, dovendo spesso gli uomini abbandonare le donne, le donne gli uomini, e le madri, ecc.
(6) Perchè furon i giganti de’ poeti tanti e tali, cioè di grandi corpi e goffissimi, quali los Patacones, de’ quali, ecc.
1 II V. s’ispira qui a un pregiudizio ancor oggi diffuso nel popolino napoletano, vale a dire che abbia grande efficacia sullo sviluppo fisico dei lattanti il lasciarli a lungo bagnati nelle fasce.
2 Degn. XXVI.
^ Nel De bello goth. non trovo alcun passo che corrisponda, anche approssimativamente, a ciò che dice il V.; nemmeno quello additato a q. 1. dal Weber, e cioè Hist^ lib. V, p. 92 dell’ediz. Hoeschel. Credo invece che il V. abbia voluto alludere a Iornandes, De reb. get., I, 3, ove, per altro, parlandosi in generale degli abitanti della Scandinavia, si dice semplicemente che sono «■ Romnnis corpnre et aninio i/randiores i.
- Si veda p. 129, nota 1. 206 LIBRO SECONDO — PROLEGOMENI CAPITOLO TERZO
giganti si sono traevate e tuttavia si truovano, per lo più sopra i monti (la qual particolarità molto rileva per le cose ch’appresso se n’hanno a dire), i vasti teschi e le ossa d’una sformata grandezza; la quale poi con le volgari tradizioni si alterò all’eccesso, per ciò che a suo luogo diremo.
Di giganti cosi fatti fu sparsa la terra dopo il Diluvio; poiché, come gli abbiamo veduti sulla storia favolosa de’ Greci, cosi i filologi latini, senza avvedersene, gli ci hanno uarrati sulla vecchia storia d’Italia, ov’essi dicono che gli antichissimi popoli dell’Italia detti «Aborigini» si dissero «àu-cóxOovsg», che tanto suona quanto «figliuoli della Terra», ch’a’ Greci e Latini significano «nobili» ^. E con tutta propietà i figliuoli della Terra da’ Greci furon detti «giganti», onde madre de’ giganti dalle favole ci è narrata la Terra; e «àuxóxOovsg» de’ Greci si devono voltare in latino «indigence», che sono propiamente i natii d’una terra, siccome gli dèi natii d’un popolo o nazione si dissero «dii indigetes» 2, quasi «indi geniti», ed oggi più speditamente si direbbono «ingeniti». Perocché la sillaba «de» qui è una deUe ridondanti delle prime lingue de’ popoli, le quali qui appresso ragionei’emo; come ne giunsero de’ Latini quella «induperator» per «imperator», e nelle Leggi delie XII Tavole quella «endoiacito» ^ per «iniicito» (onde forse rimasero dette «inducice» gli armistizi, quasi «iniicìce», perché debbon essere state cosi dette da «icere foedus», «far patto di pace»). Siccome, al nostro proposito, dagl’«indigeni» ch’or ragioniamo restarono detti «ingenui», i quali, prima e propiamente, significarono «nobili» 4 (onde restarono dette «artes ingenuce», «arti nobili»), e finalmente restarono a significar «liberi» (ma pur
- artes liberales» restaron a significar «arti nobili»); perchè
di soli nobili, come appresso sarà dimostro, si composero le prime città, nelle qual’i plebei furono schiavi abbozzi di schiavi.
- Tutto ciò è congettura del V. senza alcun riscontro nelle fonti classiche: cfr.
Garofalo, p. 131.
2 Allusione a Liv., I, 2, a proposito di Enea, chiamato «lupiter indigetis».
- I, 2: «Si calvitdr pedemve strdit, manum endo iacito>, in due parole.
- Allusione a Cic, Phil., Ili, 11: <i Nihil apparet in eo [Antonio] ingenuutn,
nihil moderatinn j, ecc. Ma «ingeTìuum» Sta qui per «civile», non per «nobile». Cfr. Garofalo, 1. e. DEL DILUVIO UNIVERSALE E DE’ GIGANTI 207
CtU stessi latini filologi osservano che tutti gli antichi popoli furon detti «Aborigini», e la sagra storia ci narra esserne stati intieri popoli, che si dissero Emmei e Zanzummei i, ch’i dotti della lingua santa ^ spiegano «giganti», uno de’ quali fu Nebrot; e ne’ giganti innanzi il Diluvio, la stessa storia sagra gli diffinisce «uomini forti, famosi, potenti del secolo» ^. Perchè gli Ebrei con la pulita educazione e col timore di Dio e de’ padri durarono nella giusta statura, nella qual Iddio aveva criato Adamo, e Noè aveva procriato i suoi tre figliuoli; onde, forse in abbominazione di ciò, gli Ebrei ebbero tante leggi cerimoniali, che s’appartenevano alla pulizia de’ lor corpi. E ne serbarono un gran vestigio i Romani nel pubblico sagrifizio con cui credevano purgare la città da tutte le colpe de’ cittadini, ii quale facevano con l’a e qu a e ’1 fuoco; con le quali due cose essi celebravano altresì le nozze solenni, e nella comunanza delle stesse due cose riponevano di più la cittadinanza, la cui privazione perciò dissero «interdidmn aqua et igni», E tal sagrifizio chiamavano «lustrum», che, perchè dentro tanto tempo si ritornava a fare, significò lo spazio di cinque anni, come l’olimpiade a’ Greci significò quel di quattro *. E «instrum» appo i medesimi significò «covile di fiere», ond’è «lustravi» che significa egualmente e «spiare» e «purgare», che dovette significar dapprima spiare si fatti lustri e purgargli dalle fiere ivi dentro intanate; e «aqua lustralis» restò detta
^ Deut., II, 10-11: ’ Emim primi fuerunt habitatores eius [di kv],populus magnus et validus et tam excelaus, ut de Enacim stirpe quasi gigantes crederentur, et essent similes filiorum Enacim. Denique Moabitce appellant eos Emim >-. — Ibid., 20-1: " Terra gigantum reputata est: et in ipsa olim habitaverunt Zomzommim,, populus ■magnus et multus et procerce longittidinis, sicut Enacim, quos delevit Dominus a facie eoruìn -.
’ Si allude aU’op. del Boulduc cit. più oltre a p. 212, nota 1; il quale, come vedremo, sostiene proprio il contrario di ciò che gli attribuisce il V.
’ Oen., VI, 4: ’ Gigantes autem, erant super terram in diebus illis. Postquam enim ingressi sunt filii Dei adfiliashominum,illcequegenuerunt,istisuntpotentes a sceculo viri famosi ".
- Oltre all’evidente confusione che il V. fa tra la lustrazione simbolica e la lavanda
materiale dei corpi, si noti che la prima presso i Romani «non si faceva con le lavande o la benedizione dell’acqua lustrale, sì veramente col sacrifizio di un porco, di una pecora e di un toro: il primo della specie fu celebrato nel Campo marzio (Liv. I. 44) «. Ciò «si vede altresì dalla definizione.... di Varrone (De l L, VI, 11): ". Lustrum noininatum tempus quinquennale a luendo, id est solvendo, quod quinto quoque anno vectigalia et ultra tributa per eensores persolvebantur >. — Garofalo, p. 135. 208 LIBRO SECONDO — PROLEGOMENI CAPITOLO TERZO
quella ch’abbisognava ne’ sagrifizi. E i Romani, con più accorgimento forse che i Grreci, che incominciarono a noverare gli anni dal fuoco che attaccò Ercole alla selva nemea per seminarvi il frumento (ond’esso, come accennammo neìl’Jdea dell’opera e appieno vedremo appresso, ne fondò l’olimpiadi i); con più accorgimento, diciamo, i Romani dall’acque delle sagre lavande cominciarono a noverare i tempi per lustri; perocché dall’acqua, la cui necessità s’intese prima del fuoco (come nelle nozze e nelr interdetto dissero prima «aqtia» e poi a igni»), avesse incominciato l’umanità (a). E questa è l’origine delle sagre lavande, che deono precedere a’ sagrifizi, il qual costume fu ed è comune di tutte le nazioni. Con tal pulizia de’ corpi e col timore degli dèi e de’ padri, il quale si troverà, e degli uni e degli altri, essere ne’ primi tempi stato spaventosissimo, avvenne che i giganti degradarono alle nostre giuste stature; il perchè forse 2 da «TzoXiz&icx.»j ch’appo i Greci vuol dir «governo civile», venne a’ Latini detto «polittis», «nettato» e «mondo».
Tal degradamento dovette durar a farsi fin a’ tempi umani delle nazioni, come il dimostravano le smisurate armi de’ vecchi eroi, le quali, insieme con l’ossa e i teschi degli antichi giganti. Augusto, al riferire di Suetonio 3, conservava nel suo museo.
(a) [CMA^] come appresso sarà dimostro; siccome viaggiatori riferiscono esservi ancor oggi nazioni selvagge che non hanno ancor inteso la necessità del fuoco. E questa, ecc.
1 Si veda p. 18. Non a Ercole, ma a Ifito la tradizione attribuisce l’origine delle olimpiadi.
2 Questo «forse» mostra che in fondo neppure il V. credeva troppo alla curiosa derivazione di «^oK^ms» da «TtoXtxeta», anch’essa indicata inesorabilmente dal Garofalo, p. 136, come uno degli errori commessi dal filosofo napoletano. Ma le strane e arbitrarie etimologie vichìane sono così frequenti e manifeste che è davvero puerile prendersi la briga di avvertirne il lettore. Ciò che piuttosto era da ricercare sono le cause (molto più profonde di quel che si soglia credere) che spinsero il V. a fantasticare il romanzo, mirabile per ingenuità, contenuto in questo capitolo, con cui egli dà inizio alla sua trattazione della «storia universale». E ciò ha fatto da par suo Benedetto Croce nella cit. monografia sul V., cap. XIII.
8 SvET., Oct., e. 7, dice che Augusto adornò il suo museo di cose notevoli per antichità e rarità, «guaita sunt Capreis iìtmanium b elluarum ferarumque [non si tratta quindi di sentitivi ìxm&ui] membra prcegrandia, quce dicuntur * gigantum ossa >’, el arma heroum». Cfr. le osservazioni del Corcia, riferite dal Garofalo, p. 136. DEL DILUVIO UNIVERSALE E De’ GIGANTI 209
Quindi, come si è nelle Degnità i divisato, di tutto il primo mondo degli uomini si devono fare due generi: cioè uno d’uomini di giusta corporatura, che furon i soli Ebrei, e l’altro di giganti, che furono gli autori delle nazioni gentili; e de’ giganti fare due spezie: una de’ figliuoli della Terra, ovvero nobili, che diedero il nome all’età de’ giganti, con tutta la propietà di tal voce, come si è detto (e la sagra storia gli ci ha diffiniti «uomini forti, famosi, potenti del secolo»); l’altra, meno propiamente detta, degli altri giganti signoreggiati.
Il tempo di venire gli autori delle nazioni gentili in si fatto stato si determina cento anni dal Diluvio per la razza di Sem, e duecento per quelle di Giafet e di Cam, come sopra ve n’ha un postulato 2; e quindi a poco se n’arrecherà la storia fisica,
1 Degn. XXVII.
2 Mi maraviglio come il Garofalo non si sia accorto della contradizione (che pure non sfuggi al Finetti, op.cit., p. 17) in cui cade il V. in questo stesso capitolo, che comincia con l’asserzione che la razza dì Cam abbandonò la religione noaica subito dopo il Diluvio, seguita a breve distanza da quella di Giafet e in ultimo da quella di Sem; e termina con l’altra asserzione che la prima a cadere nello stato ferino fu la razza di Sem, a cui tennero dietro, cento anni dopo, l’una insieme con l’altra, quelle di Cam e di lafet. Né credo che qui si possa trattare di semplice trascorso di penna, e cioè che il secondo passo si debba leggere: ’ si determina a due cento anni dal Diluvio per la razza di Sem e cento per quelle di Giafet e di Cam» (ipotesi che neppure eliminerebbe in tutto e per tutto l’antinomia). Anzitutto il passo è uno di quelli su cui il V. tojnò parecchie volte. Infatti se la dicitura di SN^ è in q. 1. identica a SN^, in SN^, come si desume dall’autografo, il V. aveva scritto originariamente; «dugento anni per la razza di Cam e lafet e cento per quella di Sem»; espressione a cui poi sostituì quella data sopra nel testo. Si potrà obiettare (cosa poco probabile) che il V., appunto perchè s’era accorto d’una contradizione, avesse voluto correggerla, salvo poi, per una delle sue solite distrazioni, a eseguire una semplice inversione, pur credendo dì fare una correzione. E sia pure. Ma ciò non toglie che il pensiero di lui su quest’argomento sia continuamente contradittorio. P. e. proprio nel «postulato» a cui egli rimanda, e cioè nella Degn. XLII, si dice che «dentro tal lunghissimo corso d’anni le razze empie dei tre figliuoli di Noè fussero andate in uno stato ferino;•; il qual «lunghissimo corso d’anni» nella Degnità precedente è portato né a cento né a dugento, ma a «p i ù centinaia d’anni». — Noto a questo proposito che in una prima fase del suo pensiero il V. aveva esplicitamente esclusa la razza di?em dalla caduta nello stato ferino. — ^ Semus — si dice nel CI^, e. 9 — inter suos posferos veram Dei creatoris religioneìn, vera; religionis culiu innocentiam, innocentia humanam societatem, socieiate linguaìn usque ad Babylonis confusionem servavit». L’esclusione è attenuata, ma ancora implicita, in SN^, II, e. 12, in cui si parla solamente «delle razze... di Cam e di Giafet... mandate da’ loro autori nell’empietà e quindi dopo qualche tempo [qui non si fissano né cento né dugento anni dopo il Diluvio] da sé stessi iti nella libertà bestiale»,
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narrataci bensì dalle greche favole, ma finora non avvertita, la quale nello stesso tempo ne darà un’altra storia fisica dell’universale Diluvio.
ossia nello stato ferino; e si soggiunge l’ipotesi che come, prima del Diluvio, «dalla confusione de’ semi j- dei discendenti di Set coi discendenti di Caino, cosi, dopo il Diluvio, dalla medesima confusione tra discendenti di Sem e discendenti di Cam e Jafet, erano nati i giganti. In •S’iV^, pur non essendovi più esclusione né esplicita né implicita, si fa tuttavia una piccola restrizione, e quindi passano attraverso lo stato ferino le razze di Cam, di lafet e «molti» della razza di Sem (cfr. più sopra p. 204, var. (6)); con che si escludono dall’imbestiamento alcuni pochi, e cioè il primo ceppo da cui in progresso di tempo derivarono gli Ebrei. In SN^, invece, sparisce anche il «molti» restrittivo, e dallo stato ferino non si salva proprio nessuno. — Come poi il V. riuscisse a mantenere in armonia con quest’ultima fase del suo pensiero il presupposto (enunciato, per colmo di contradizione, proprio nella Degn. C, in cui si parla delle «razze perdute degli tre figliuoli di Noè») di tutta la SN, cioè che vi fu un popolo, discendente per l’appunto da Sem, in cui per speciale privilegio di Dio, religione, morale, ecc., si formarono, a differenza degli altri popoli per rivelazione divina, e non naturalmente; tutto ciò né s’intende, né (ch’è quello che importa) si trova qualche frase che valga a indicarci come il V. si spiegasse la cosa. Si potrebbero a questo proposito fare parecchie ipotesi; ma esporle e discuterle eccederebbe di molto i confini di una nota.