La scienza nuova - Volume I/Libro II/Introduzione

Libro II - Introduzione

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Libro II - Prolegomeni Introduzione - Capitolo I

[p. 195 modifica][PROLEGOMENI] [INTEODUZIONE]

[L’antichissima sapienza non fu una filosofia ragionata, ma una poesia primitiva: l’esperienza civile nei primi abbozzi della socialità {DU, % 182-3; C/^, e. 13, § 16; SN^, III, e. 19). I filosofi sopravvenuti, all’occasione di quella poesia, meditarono la sapienza riposta (DU, § 185; SN’^, II, e. 65; III, e. 21) e spesso invilupparono la dottrina nel simbolo delle antiche favole {CI^, ce. 24, 25, 30 bis, §§ 17-20). Ne derivò, per un’illusione naturale dei dotti e per la dimenticanza delle origini, un alto rispetto al sapere dei primi poeti teologi.— Ora che il vasto tema dell’antichissima sapienza ricade nuovamente sotto la meditazione del Vico, egli richiama compendiosamente le cagioni per cui fu venerata come un sistema di dottrine combinato dalla ragione; e le trova nella boria delle nazioni e dei dotti, nella riverenza delle religioni, nelle occasioni che diedero le favole ai filosofi di meditare, nelle comodità di spiegarsi che offersero le favole ai filosofi, nelle opportunità che fornirono di avvalorare col voto dell’antichità le nuove dottrine de’ filosofi, e nel grande effetto indi seguito di questo mondo civile si sapientemente ordinato, giacché la sapienza volgare dei poeti è la regola con cui la Provvidenza ha mandato fuori il mondo delle nazioni {SN^, II, e. 2).]

Per (a) ciò che sopra si è detto nelle Degnità: che tutte le storie delle nazioni gentili hanno avuto favolosi prinoipii i, e che appo 1 Greci (da’ quali abbiamo tutto ciò ch’abbiamo dell’antichità gentilesche) i primi sappienti furon i poeti teologi, e la natura delle cose che sono mai nate o fatte porta che sieno rozze le lor origini; tali e non altrimenti si deono stimare quelle della sapienza poetica. E la somma e sovrana stima con la qual è fin a noi per (a) le sconcezze, errori, difetti e vanità d’intorno alle materie che si sono sopra apparecchiate a questa Scienza sulla Tavola cronologica, per le Degnità ch’ella si ha preso per suoi elementi co’ quali dee far i suoi lavori, per gli Principii che se n’ha stabilito, e per lo Metodo che si ha proposto di ragionare, l’origini della Sapienza poetica, conforme ad una Degnità che n’abbiamo proposta, debbon essere state rozzissime. E la somma, ecc.

> Degn. XLVI. [p. 196 modifica]1 96 IJBRO SECONDO PROLEGOMENI

venuta, ella è nata dalle due borie nelle Degnità i divisate: una delle nazioni, l’altra de’ dotti; e più che da quella delle nazioni, ella è nata dalla boria de’ dotti, per la quale, come Manetone sommo pontefice egizio portò tutta la storia favolosa egiziaca ad una sublime teologia naturale, come dicemmo nelle Degnità 2, cosi i filosofi greci (a) portarono la loro alla filosofia. Né già solamente per ciò perchè, come sopra pui’ vedemmo nelle Degnità ^, erano loro entrambe cotal’istorie pervenute laidissime, ma per queste cinque altre cagioni.

La prima fu la riverenza della religione, perchè con le favole furono le gentili nazioni dappertutto sulla religione fondate (&). La seconda fu il grande effetto indi seguito di questo mondo civile, sì sappientemente ordinato che non potè esser effetto che d’una sovraumana sapienza. La terza furono l’occasioni che, come qui dentro vedremo, esse favole, assistite dalla venerazione della religione e dal credito di tanta sapienza, dieder a’ filosofi di porsi in ricerca e di meditare altissime cose in filosofia. La quarta furono le comodità, come più* qui dentro farem conoscere, di spiegar essi le sublimi da lor meditate cose in filosofia con l’espressioni che loro n’avevano per ventura lasciato i poeti. La quinta ed ultima, che vai per tutte, per appruovar essi filosofi le cose da essolor meditate con l’autorità della religione e con la sapienza de’ poeti. Delle quali cinque cagioni le due prime contengono le lodi, r ultima le testimonianze, che dentro i lor errori medesimi dissero i filosofi della sapienza divina, la quale ordinò questo mondo di nazioni; la terza e quarta sono inganni permessi dalla divina Prowedenza ond’essi provenisser filosofi per intenderla e riconoscerla, qua! ella è veramente, attributo del vero Dio.

(o) [Ci¥4i] da Platone incominciando, avevan portato [SiV^] la loro storia favolosa alla filosofia, ecc.

(b) che con l’oscurezza di quelle si faceva più venerare. La seconda, ecc.

1 Degn. III-IV.

2 Degn. r.V. 8 negn. LIV.

I [p. 197 modifica]INTRODUZIONE 197

E per tutto questo libro si mostrerà che quanto prima avevano sentito d’intorno alla sapienza volgare i poeti, tanto intesero poi d’intorno alla sapienza riposta i filosofi; talché si possono quelli dire essere stati il senso e questi l’intelletto del gener umano. Di cui anco generalmente sia vero quello da Aristotile detto particolarmente di ciascun uomo: «NiMl est in intellecfu quin prius fuerit in sensu», cioè che la mente umana non intenda cosa della quale non abbia avuto alcun motivo (ch’i metafisici d’oggi dicono «occasione») da’ sensi, la quale allora usa l’intelletto quando da cosa che sente raccoglie cosa che non cade sotto de’ sensi; lo che propiamente a’ Latini vuol dir «intelligere» (a).

(a) [CMA^] Quindi esce questo gran corollario: che non sia materia della sapienza intiera, o sia universale, ciò di che la sapienza riposta [CMA*] de’ filosofi [Gif J.3] non n’ebbe l’occasioni dalla sapienza volgare [Cilf^*] de’ poeti; [C^ilf^S] onde l’ateismo, non già per sapienza, si ha a tenere per istoltezza e pazzia, poiché le prime nazioni, come dimostreremo, in tutte le cose oriate videro dèi, e poi i metafisici migliori, [CMA^] quali son i platonici, che ’n questa parte di filosofia furono gli più sublimi di tutti gli altri filosofi, [CW^^] da tutte le cose oriate intesero Dio.