La moglie di un grand'uomo ed altre novelle/Commedie borghesi

Commedie borghesi

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In provincia Alla decima Musa

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COMMEDIE BORGHESI.

Quando s’incontravano per via, le due fanciulle si baciucchiavano con grande chiasso, si squadravamo da capo a piedi per osservare le relative acconciature e farvi su dei commenti molto a parte, ma poco caritatevoli; alla chiesa della Madonna delle Grazie, dove ascoltavano la messa con le rispettive famiglie, scambiavano di lontano un amabilissimo sorriso, mentre l’una computava mentalmente il prezzo del cappello nuovo dell’altra e l’altra si consolava del dispetto dell’una; alla mattina, si salutavano dai loro balconi, che si prospettavano nella strada Speranzella: Pasqualina notando malignamente che Mariuccia si era alzata mezz’ora più tardi del solito, da vera infingarda qual’era — e Mariuccia dicendo a sè stessa, che Pasqualina aveva gli occhi pesti e il volto pallido quando [p. 108 modifica] si levava di letto, il che è segno di freschezza giovanile che se ne va; ai ballonzoli, convenzionalmente detti periodiche, stavano sempre daccanto: in apparenza perchè si volevano bene, ma in realtà per sorvegliarsi reciprocamente. Se Pasqualina cominciava un lavoro all’uncinetto, Mariuccia metteva subito in mezzo un ricamo in tappezzeria; se Mariuccia imparava a tormentare sul piano la Bellissima di Coop, Pasqualina adottava presto la tortura con la Povera dello stesso maestro. Pasqualina possedeva un medaglione d’oro con la parola Souvenir in ismalto nero, ma Mariuccia portava al dito mignolo un anello con su due perline ed una turchina; Mariuccia aveva un abito di seta grigia, guarnito di azzurro, e Pasqualina ne aveva uno verde guarnito di nero. Pasqualina era bionda e fingeva amare i capelli bruni, mentre in fondo li disprezzava; Mariuccia era bruna e si stemperava in elogi dei capelli biondi, mentre non li poteva soffrire. Insomma si correvano dietro, si perseguitavano, si spiavano, si raggiungevano, rimanevano un sol momento in equilibrio, si staccavano daccapo, ricominciavano la corsa, con un ardore concentrato e nascosto. Così a prima vista, all’interesse che l’una portava all’altra, pareva che si volessero un bene dell’anima e [p. 109 modifica] la gente lo credeva; ma in sostanza erano rivali, rivali accanite, di quella rivalità soffocata, gretta, energica e crudele, di quella rivalità feroce che è uno de’ tanti drammi che si agitano nell’apparente placidità della vita borghese.

La causa fortunata di questo contrasto era rappresentata da Arturo Pietraroia, giovanotto ventenne, molto lontano dall’essere un eroe da romanzo, ma che era diventato tale per le due fanciulle. Innanzi tutto si chiamava Arturo, il che è di grandissimo valore poetico, in mezzo a persone che rispondevano ai rispettabili sì, ma prosaici nomi di Bartolomeo, Bernardo, Gaetano, Rocco, Donato e via via. Poi la sua condizione di figliuolo legittimo di Roberto Pietraroia, negoziante in chincaglieria, con grande bazar a quattro porte in via Roma, gli dava un carattere profondamente eroico ed interessante. Il giovanotto affettava un lieve disprezzo pei negozianti d’olio come il padre di Pasqualina, per quelli di cuoio come il padre di Mariuccia, per quelli di baccalà, di farina, di zucchero, gente grossa che traffica di cose ignobili; il commercio di suo papà era qualche cosa di fine, di distinto, ed egli portava in tutta la sua persona il riflesso di questa finezza, di questa distinzione. Le pose inclinate della sua testa somigliavano a [p. 110 modifica] quelle delle statuette in porcellana bianca che si vendevano in magazzino; egli s’inchinava come certi marchesi pompadour, dipinti sul raso dei ventagli da otto e cinquanta l’uno; sorrideva ironicamente, come un Mefistofele in bronzo fiorentino per candelabro, cui faceva da compagno un magro ed allampanato Don Chisciotte: un’aria svaporata, una andatura leggiera, la mano lieve e cauta di chi tocca sempre oggetti fragili. Sempre il goletto molto aperto, che è l’indizio del commesso di negozio; cravatte mirabili per assurdità di colori, per lo più di un rosso cupo, ed alla cravatta ogni due giorni uno spillo nuovo, d’oro falso, ma brevettato s.g.d.g. per la perfetta imitazione, spilli dalle forme più strane e più ridicole: una forchetta, una lucertola, uno schiaccianoci con la noce rappresentata da una perla falsa, un triangolo coi segni massonici, un grosso chiodo. La catenella dell’orologio, ora di acciaio martellato, ora di argento bruciato, ora di cuoio di Russia in treccia, ora in cordoncino di seta nera ritorto, ora la vera catenella di sicurtà contro i ladri: dei polsini ad imbuto che piovevano fin sopra le dita, chiuse da bottoni enormi, che seguivano le stesse variabilità dello spillo e della catenella. In tasca portasigari di paglia dipinta, portafo[p. 111 modifica]gli di pelle nera con gruppo di violette ricamate in seta, portamonete di madreperla con la sua brava iniziale, portafiammiferi di falso platino. D’estate la mazzetta in guttaperca, d’inverno un ombrello da chincagliere, seta pessima, manico e pomo favoloso; nel fazzoletto un forte e grossolano profumo, che si sentiva lontano un miglio. Insomma nella sua persona la dubbia eleganza del bazar, il lusso chiassoso e clamoroso: tutte cose che servivano ad abbagliare, ad affascinare le due fanciulle borghesi.

Del resto l’amichetto si procurava anche altre seduzioni. Parlava con orgoglio noncurante dei ricchi equipaggi che si fermavano dinnanzi al negozio, delle bellissime signore che ne scendevano, la duchessa tale che era venuta a prendere un servizio da thè per ventiquattro persone e si era rimessa al suo gusto, al gusto di lui, Arturo Pietraroia; la contessina tal’altra che era venuta a prendere un album da ritratti ed egli nel consegnarglielo le aveva stretto la punta delle dita e la contessina aveva lasciato fare, anzi aveva sorriso — e tutte le dame entrando in negozio si dirigevano a lui, volevano essere servite da lui, a preferenza degli altri tre commessi — e lui s’inchinava, parlava francese, riconduceva le signore sino allo sportello della carrozza. [p. 112 modifica] Il che faceva fremere di compiacenza Pasqualina e Mariuccia e nello stesso tempo le faceva arrovellare dalla gelosia. Arturo si atteggiava a don Giovanni, conosceva per nome tutte le fioraie più o meno brutte che sono in Napoli, urtava le sartine per la strada, dicendo loro la paroletta galante e lasciava intravvedere, sotto un velo modestamente trasparente, mille avventure amorose e misteriose: il che metteva in una continua ansietà le due fanciulle, timorose di vederselo rapire da un momento all’altro. Arturo, la domenica si agghindava, si faceva arricciare i capelli, metteva un fiore all’occhiello, infilava un paio di guanti color sangue di drago, e si faceva trasportare in una carrozzella alla Riviera di Chiaia. Arturo era il miglior direttore di quei giuochi eminentemente stupidi, che con frase espressiva si chiamano giuochi di penitenza, e vi faceva brillare il suo spirito, uno spirito bottegaio ed insolente che mandava in solluchero la società; egli era un abilissimo direttore di quadriglie famigliari il cui massimo è di otto coppie, e vi sfoggiava una pronuncia francese apertamente napoletana, ma la cui erre gutturale solleticava dolcemente le orecchie delle signorine danzanti. Per questi meriti e per molti altri ancora, che si tacciono per brevità, Arturo [p. 113 modifica] Pietraroia volgeva e rivolgeva le chiavi dei cuori di Pasqualina Rubinacci e Mariuccia Jandoli.

Ma se le due fanciulle erano innamorate di lui, questo signor lui di quale era innamorato? Di ambedue? O di nessuna? Silenzio! Mistero! — come nei libretti di opera. La condotta di Arturo con le due giovanette era così furbescamente equilibrata, così imparziale nella distribuzione delle sue grazie, che a voler vederci chiaro, ci si perdeva il latino — e quelle ci perdevano la testa. Ad esempio: una domenica, alla messa, egli andava nella navata dove era Pasqualina, e le rivolgeva occhiate lunghe e languide: Pasqualina trionfava e Mariuccia si rodeva dalla rabbia. Ma la sera, alla Villa, attorno alla Cassa armonica, dove suona la banda, sedeva nel gruppo della famiglia Jandoli, presso Mariuccia, facendole una corte chiara e manifesta. Per tutta la settimana andava a spasso col fratello della Pasqualina, dandogli del tu, trattandolo con confidenza, regalandogli i sigari ed il caffè, come se fosse proprio il suo futuro cognato: poi per quindici giorni lo si vedeva sempre con Don Bernardo Jandoli, parlandogli di cuoio, scrivendogli il reclamo contro la ricchezza mobile, chiedendogli come andasse la piazza, con altre simili graziosissime locuzioni commerciali. Una [p. 114 modifica] sera lodava i capelli biondi e guardava Pasqualina; un’altra magnificava gli occhi neri e fissava Mariuccia. Era un giuoco continuo di altalene, un succedersi e un alternarsi di periodi uguali e contrarii, una contraddizione regolare e costante. Appena una delle due credeva averlo acquistato, ecco che lo perdeva. Una vittoria aveva appena il tempo di affermarsi, che subito era seguita da una sconfitta. La certezza della conquista definitiva non durava più di un giorno, talvolta più di un’ora: dopo era immediatamente posta in dubbio da una nuova mossa del volubile chincagliere. In questo giuoco tormentoso, in questi colpi di sprone, in questi colpi di frusta, la rivalità delle due fanciulle diventava sempre più grande, il loro animo si aizzava, si esaltava alla lotta — ed il segreto che serbavano, serviva a dare un punto maggiore all’odio che all’amore. Dopo otto mesi nessuna delle due si era avanzata d’un passo; Arturo non si era compromesso con una parola soverchia — e le fanciulle erano arrivate ai rimedii estremi.

Rimedii estremi, ci s’intende: messe in moto tutte le piccole risorse della civetteria borghese, ricercati tutti i mezzi per giungere al cuore del chincagliere, per ottenere una decisione. Fu fatto un grande sciupìo di polvere di riso alla [p. 115 modifica] violetta, a cinquanta centesimi il pacchetto; i nastri vecchi dei capelli fuori uso, furono ridotti a nodi per i capelli, a fiocchi pel collo; Pasqualina lavorò un merletto all’uncinetto, in filo giallo, e ne ornò un abito. Mariuccia ricamò delle striscie di tela battista allo stesso scopo — e ambedue ci perdettero le notti a lavorare di nascosto, stimolate e sospinte da un pensiero fisso. Mariuccia si fece prestare qualche romanzo da Arturo: la Cieca di Sorrento del Mastriani, il Conte di Montecristo, per tentare qualche contrabbando fra le pagine, per poterne parlare con lui: Pasqualina sacrificò la sua frangia bionda sulla fronte, si acconciò i capelli alla foggia che si portava da sei mesi e comperò un pettine di tartaruga a palline. Il giorno dell’Assunzione, Mariuccia mandò una torta dolce, impastata con le sue mani, a donna Assunta Pietraroia, madre dell’eroe, per farle ammirare le sue virtù domestiche e culinarie; Pasqualina manovrò tanto bene per far sapere, indirettamente, a Roberto Pietraroia, padre dell’eroe, che essa era esperta nella contabilità e nella scrittura doppia. Ahimè! tutte premure senza risultato. L’eroe non si decideva, rimaneva freddo, compiacendosi forse dell’omaggio amoroso delle due fanciulle. Forse aveva uno scopo. [p. 116 modifica]

Infine, non sapendo più che cosa fare, Pasqualina versò le sue pene nel seno di donna Mariantonia Lomonaco, vedova per la terza volta, con un paio di baffi stupendi, grande confezionatrice di matrimoni, bestemmiata e maledetta da cinque o sei coppie infelici, ma che proseguiva con grande zelo la sua missione civilizzatrice.

E Mariuccia, giunta con le spalle al muro, si confidò a Carminella, una vecchia serva di casa, donna esperta, di fedeltà provata che le promise di condurre a termine questo delicato e pericoloso negozio.

— Ebbene, mia cara Pasqualina, — disse donna Mariantonia Lomonaco, in un colloquio solitario che si era procurato, invitando a pranzo la fanciulla, — sono andata alle informazioni e vi assicuro, figlia mia, che ce ne è voluta della pena. Finalmente ho potuto scovare una cognata — cugina di donna Assunta Pietraroia, ed ho finito per sapere tutto. Il partito è poco conveniente. Il bazar va male, molto male, tanto più che in via Roma, se ne sono aperti altri quattro. Si regge ancora pel credito che ha, guadagna alla giornata, ma non paga [p. 117 modifica] puntualmente le cambiali. Don Roberto e donna Assunta sperano che il figliuolo arrivi ad innamorare qualche figliuola di solido negoziante, che porti in dote, come fosse un cinque o sei mila ducati, che si metterebbero nel negozio e servirebbero a rialzare la fortuna. Il partito è un bel giovane, conosce le intenzioni dei suoi genitori e le approva. Se voi, figlia mia, volete mettere la vostra dote nella chincaglieria, se vi pare un buon impiego del denaro, fate voi. Se siete innamorata del giovane è un altro conto. Ho conosciuto anch’io l’amore, — soggiunse donna Mariantonia Lomonaco, sospirando come un mantice, — e so di che si tratta. Se no, ci sarebbe un altro solido partito, un giovane orefice, Vincenzino Scotti...

— Signorina mia, signorina mia, — cominciò a dire con enfasi e con molto accompagnamento di gesti Carminella, — per servirvi ho rivoltato mezzo mondo. Finalmente, per mezzo del mio confessore, un santo sacerdote, che confessa pure la portinaia di casa Pietraroia, ho potuto farmi amica di costei ed ora si può dire che ci dividiamo il sonno. Mi ha raccontato tutto da cima a fondo: tutte parole sincere, com’è vera [p. 118 modifica] la giornata d’oggi, del glorioso S. Nicola! Non è cosa per voi; date retta a me, lasciate stare. In casa Pietraroia ci è sempre guerra, litigano dalla mattina alla sera: donn’Assunta rinfaccia al marito la dote che egli ha rischiata nel bazar. Don Roberto ritorna a casa sempre ingrugnato, segno che al magazzino gli affari vanno male. Giorno per giorno si sciala, ma i negozianti di fuori pare che non vogliano più mandare la roba per vendere. Don Roberto e donn’Assunta mettono speranza solo in quel figliuolo, che faccia incapricciare qualche signorina con dote e così acconciarsi quattro uova nel piatto. Signorina mia, la Madonna benedetta, quella Vergine immacolata, vi deve illuminare e farvi levare dalla mente quel giovane. Non è partito per voi: con questa bella faccia, con la dote che portate, vi meritate miglior fortuna. Don Leonardo, il primo commesso di papà, ha avuto sempre un pensiero per voi....

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Pasqualina strinse le mani nel manicotto, con un leggiero brivido di freddo.

— Hai freddo? — chiese Mariuccia chinandosi premurosa verso di lei, [p. 119 modifica]

— Sì, un poco. Papà ha detto che questo freddo farà male al commercio.

— Anche papà mio. I magazzini speravano in queste feste di Natale e di Capodanno....

— Anche i Pietraroia speravano, — aggiunse Pasqualina con tono indifferente.

— Ho inteso dire che stanno molto giù, — disse Mariuccia sullo stesso tono.

— Molto. Cara mia, la chincaglieria non è un commercio sicuro. Si arrischia, si arrischia.... e poi! Ci si rimette il proprio.

— Già.

Seguì un silenzio. Mariuccia si fece coraggio e buttò giù la grande frase.

— Poi, quell’Arturo è uno scapestrato.

— A chi ne parli! Un bellimbusto sfaccendato.

— Va dietro ad ogni gonnella.

— Tutte le signore capitano in magazzino....

— Una povera ragazza, oltre al portargli la dote, che sarebbe stata in pericolo, dovrebbe anche temere....

— Figurati, bella mia! Per me compatisco la poverina che ci capiterà.

— Anche io.

— E.... dimmi, per te ci è niente? — chiese Mariuccia, sorridendo.

— Eh!... chi sa.... forse.... non ci è nulla di deciso. E tu che mi racconti? [p. 120 modifica]

— Nulla di certo... qualche cosa ci è...

— Speriamo presto.

— Speriamo. Roba solida, eh?

— Orefice e gioielliere. E tu?

— Nel cuoio, come papà.

— Buona sorte, bella mia. Ti ho sempre voluto bene!

— Ed io! come una sorella! Buona sorte.