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commedie borghesi 111

gli di pelle nera con gruppo di violette ricamate in seta, portamonete di madreperla con la sua brava iniziale, portafiammiferi di falso platino. D’estate la mazzetta in guttaperca, d’inverno un ombrello da chincagliere, seta pessima, manico e pomo favoloso; nel fazzoletto un forte e grossolano profumo, che si sentiva lontano un miglio. Insomma nella sua persona la dubbia eleganza del bazar, il lusso chiassoso e clamoroso: tutte cose che servivano ad abbagliare, ad affascinare le due fanciulle borghesi.

Del resto l’amichetto si procurava anche altre seduzioni. Parlava con orgoglio noncurante dei ricchi equipaggi che si fermavano dinnanzi al negozio, delle bellissime signore che ne scendevano, la duchessa tale che era venuta a prendere un servizio da thè per ventiquattro persone e si era rimessa al suo gusto, al gusto di lui, Arturo Pietraroia; la contessina tal’altra che era venuta a prendere un album da ritratti ed egli nel consegnarglielo le aveva stretto la punta delle dita e la contessina aveva lasciato fare, anzi aveva sorriso — e tutte le dame entrando in negozio si dirigevano a lui, volevano essere servite da lui, a preferenza degli altri tre commessi — e lui s’inchinava, parlava francese, riconduceva le signore sino allo sportello della carrozza.