quelle delle statuette in porcellana bianca che si vendevano in magazzino; egli s’inchinava come certi marchesi pompadour, dipinti sul raso dei ventagli da otto e cinquanta l’uno; sorrideva ironicamente, come un Mefistofele in bronzo fiorentino per candelabro, cui faceva da compagno un magro ed allampanato Don Chisciotte: un’aria svaporata, una andatura leggiera, la mano lieve e cauta di chi tocca sempre oggetti fragili. Sempre il goletto molto aperto, che è l’indizio del commesso di negozio; cravatte mirabili per assurdità di colori, per lo più di un rosso cupo, ed alla cravatta ogni due giorni uno spillo nuovo, d’oro falso, ma brevettato s.g.d.g. per la perfetta imitazione, spilli dalle forme più strane e più ridicole: una forchetta, una lucertola, uno schiaccianoci con la noce rappresentata da una perla falsa, un triangolo coi segni massonici, un grosso chiodo. La catenella dell’orologio, ora di acciaio martellato, ora di argento bruciato, ora di cuoio di Russia in treccia, ora in cordoncino di seta nera ritorto, ora la vera catenella di sicurtà contro i ladri: dei polsini ad imbuto che piovevano fin sopra le dita, chiuse da bottoni enormi, che seguivano le stesse variabilità dello spillo e della catenella. In tasca portasigari di paglia dipinta, portafo-