La madre (Deledda)/Capitolo 21
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Egli sedeva di nuovo davanti alla sua mensa, nella stanzetta da pranzo rischiarata da un lume ad olio. La luna grande dorata saliva sul cielo pallido, sopra il ciglione che sullo sfondo del finestrino pareva una montagna.
Fino a quel momento alcuni paesani, il vecchio dalla barba bianca, il padrone del cavallo, ed altri, erano rimasti, invitati da lui, a fargli compagnia. Si beveva e si scherzava, si raccontavano storie di caccia. Il vecchio dalla barba bianca, cacciatore anche lui, criticava il Re Nicodemo, perchè, diceva lui, il vecchio solitario non esercitava la caccia secondo la legge di Dio.
— Non per offenderlo, nell’ora estrema, ma per la verità, dirò ch’egli esercitava la caccia per sola speculazione. Quest’inverno scorso, dalle sole pelli di martora ha ricavato migliaia di lire. E Dio permette si uccidano le bestie, ma non si disperdano. Egli le prendeva anche col laccio, e questo non è permesso, perchè le bestie soffrono come noi, e devono essere terribili le ore passate al laccio. Or dunque una volta io stesso con questi occhi ho veduto un laccio dove una lepre aveva lasciato la sua zampa. Capite? La lepre presa al laccio aveva rosicchiato la carne intorno alla sua zampa e se l’era strappata per potersi liberare. E poi, che ne faceva dei denari, Nicodemo? Li nascondeva. Adesso il nipote se li berrà in pochi giorni.
— I denari son fatti per essere spesi — disse il padrone del cavallo, ch’era un uomo vanitoso. — Io, per esempio, li ho sempre spesi, pur di divertirmi, senza far male a nessuno. Una volta, alla nostra festa, non sapendo cosa altro fare, fermo un mercante di setacci che passava col carico della sua merce. E compro tutti i setacci, e li metto a rotolare per la piazza e corro dietro dì essi spingendoli col piede. In un attimo tutta la gente fu dietro di me, ridendo e gridando. E i ragazzi e i giovani e poi anche qualche uomo serio si misero a imitarmi. Fu un gioco del quale tutti ancora si ricordano. Ogni volta che l’antico parroco mi vedeva, gridava di lontano: oh. Pasquale Masia, non c’è un setaccio da far correre?
Gl’invitati ridevano: solo il prete pareva distratto, ed era pallido e stanco. E il vecchio dalla barba bianca, che lo osservava con religione, ammiccò verso i compagni per invitarli ad andarsene. Era tempo di lasciare alla sua santa solitudine e al meritato riposo il servo di Dio.
Gli invitati si alzarono, tutti assieme, tirandosi un po’ indietro per salutare; poi Paulo sì trovò solo, tra la fiammella tremula del lume e la luna che guardava dal finestrino: fuori il rumore degli scarponi ferrati degli uomini che s’allontanavano risonava sul selciato della strada solitaria.
Era presto ancora per andare a letto; e sebbene si sentisse tutto indolenzito, col collo rotto dalla stanchezza come se tutto il giorno avesse portato un giogo, non pensava affatto a salire nella sua camera.
La madre stava ancora nella cucina egli non la vedeva, ma sentiva ch’ella vegliava come la notte prima.
Come la notte prima! Gli parve di aver dormito a lungo e di svegliarsi d’improvviso: e che l’ansia del ritorno dalla casa di Agnese, e i pensieri della notte, la lettera, la messa, il viaggio sull’altipiano, la dimostrazione dei paesani, tutto fosse stato un sogno. La vita vera ’ricominciavi adesso: egli usciva.... due passi, diec passi.... apriva la porta, tornava da lei... La vita vera ricominciava.
— Forse però non mi aspetta. Non aspetta più.
Allora sentì le sue ginocchia rammollirsi, piegarsi. Di nuovo il terrore lo assaliva, ma non più al pensiero di tornare da lei, sibbene al pensiero ch’ella avesse accettato la sorte e già cominciasse a dimenticarlo.
E si accorse che nel più profondo del suo cuore la pena maggiore, dopo il ritorno dall’altipiano, era stata questa: il non saper nulla di lei, il silenzio, la sparizione di lei.
Era questa la vera morte: ch’ella cessasse di amarlo.
Nascose il viso fra le mani, cercò di vederla, e cominciò a rinfacciarle tutte le cose ch’ella avrebbe dovuto rinfacciare a lui.
— Agnese, tu non puoi dimenticare le tue promesse. Come, come puoi dimenticarle? Tu mi stringevi i polsi con le tue forti mani e mi dicevi: siamo legati per la vita e per la morte. — È possibile che tu ti dimentichi? Tu dicevi: sai, sai....
Si passò un dito sulla nuca, intorno al collo; gli pareva di soffocare.
— È il demonio che mi ha preso col suo laccio.
E ripensò alla lepre che s’era rosicchiata la zampa.
Respirò profondamente, s’alzò, prese il lume; e voleva forzare la sua volontà, rodersi anche lui la carne pur di liberarsi. Decise di risalire nella sua camera, ma nel muoversi vide la madre, seduta al solito posto nella cucina silenziosa, e, accanto a lei, Antioco che s’era addormentato. Si accostò all’uscio.
— Che fa qui ancora quel ragazzo?
La madre si volse a guardare esitando; avrebbe voluto non parlare, nascondere Antioco col lembo della sua veste perchè Paulo non s’indugiasse, perchè Paulo si ritirasse nella sua camera. Aveva oramai una ferma fiducia in lui, ma pensava anche lei al demonio e al suo laccio.
Antioco però s’era già svegliato e ricordava bene lo scopo per cui, nonostante gl’inviti della donna ad andarsene, stava lì ad aspettare.
— Stavo qui perchè mia madre attende la sua visita.
— Ma è ora di visite questa? — protestò la madre. — Cammina, va; dille che Paulo è stanco e andrà domani.
Parlando al ragazzo guardava il figlio: e I lo vedeva fissare la lucerna con gli occhi vitrei, ma le sue ciglia sì sbattevano come le ali delle farfalle notturne accanto al lume.
Antioco si alzò con aria desolata.
— È che mia madre aspetta. E crede che sia cosa grave.
— S’era cosa grave glielo andava a dire subito. Va, cammina.
La voce di lei era aspra, e Paulo sollevò gli occhi, d’un tratto ridiventati ardenti: sentiva la paura della madre, che egli uscisse, e una cupa irritazione lo riprese.
Rimise la lucerna sulla tavola, sbattendola
con forza, e chiamò Antioco.
— Andiamo da tua madre.
Nel corridoio però si volse e aggiunse:
— Torno sùbito, mamma; lasciate aperto.
Ella non s’era mossa, ma dopo che i due furono usciti andò a spiare dalla porta socchiusa; li vide attraversare lo spiazzo bianco di luna, entrare nella bettola ancora illuminata: allora rientrò e ricominciò ad aspettare, come la notte prima.
Con meraviglia si accorgeva di non aver paura che l’antico parroco le riapparisse: tutto era stato un sogno; eppure in fondo non eia certa che il fantasma non ritornasse e le chiedesse conto delle calze rattoppate.
— Le ho rattoppate, sì — disse a voce alta pensando all’opera compiuta per suo figlio. E sentiva che se il fantasma tornava saprebbe tenergli testa e trovarsi d’accordo con lui.
Tutto era quieto, però, nel silenzio lunare: attraverso i vetri del finestrino si vedevano gli alberi del ciglione risplendere come se ogni foglia sprizzasse una scintilla d’argento: il cielo sembrava di latte e l’odore dei cespugli aromatici penetrava nella casa. E anche lei era quieta, e non sapeva perchè, pensando che il suo Paulo poteva soggiacere ancora al peccato, non ne provava più terrore. Vedeva ancora le ciglia di lui sbattersi come quelle di un bambino pronto a piangere: e il suo cuore di madre si scioglieva finalmente di pietà,
— Perchè, Signore, perchè?
Non osava finire la sua domanda, ma la domanda stava in fondo al suo cuore come una pietra in fondo al pozzo. Perchè, Signore, Paulo non poteva amare una donna? Tutti possono amare, anche i servi e i mandriani, anche i ciechi e i condannati al carcere; perchè il suo Paulo, la sua creatura, lui solo non poteva amare?
Di nuovo però il senso della realtà l'avvolse. Ricordò le parole d'Antioco ed ebbe vergogna di essere meno saggia di un ragazzo.
— Essi stessi, i preti più giovani, avevano chiesto di vivere liberi e casti, lontani dalla donna.
E il suo Paulo era forte; non era da meno dei suoi antichi predecessori: egli non avrebbe pianto, no; le sue palpebre si sarebbero fermate, aride come quelle dei morti. Egli era forte.
— Sono io che sono rimbambita.
Sì, le pareva di essere invecchiata di venti anni, in quella lunga giornata di emozioni: ogni ora le aveva dato un colpo alle reni, ogni minuto le aveva levigato l’anima come lo scalpello del tagliapietre levigava i massi aspri là dietro il ciglione. Tante cose le apparivano chiare, diverse dal giorno avanti; la figura di Agnese che la guardava fiera nascondendo entro di sè ogni sentimento, le balzava ogni tanto davanti.
— Anche lei è forte e saprà nascondere ogni cosa.
Lentamente coprì il fuoco, bene, che neppure una scintilla potesse sgorgare dalla cenere e attaccarsi a qualche oggetto vicino, poi andò a chiudere la porta, poichè sapeva ch’egli teneva sempre la chiave con sè; camminava forte, come per farsi sentire da lui sebbene lontano, e significargli col suo passo sicuro la sua sicurezza interna.
Eppure sentiva bene che questa sicurezza in fondo non era ferma; ma che cosa c’è di fermo nella nostra vita, Dio mio? Neppure le radici dei monti, neppure le fondamenta delle chiese, poichè un tremito della terra le può svellere: così lei era sicura ormai del suo Paulo, e sicura di sè, ma col trepido timore dell’ignoto che può sopravvenire. E si abbattè sulla sua sedia, nella sua camera, pensando che forse sarebbe stato meglio lasciare la porta aperta.
Poi si alzò e cominciò a slegarsi il cordoncino del grembiale: ma il nodo si era talmente intricato che finì con l’irritarla.
Bisognava tagliare il cordoncino, ed ella mosse un passo per cercare le forbici nel suo paniere da lavoro. Nel paniere da lavoro s’era accovacciato un gattino e al suo contatto i gomitoli s’erano scaldati; anche le forbici erano calde, ed ella la sentì come vive fra le sue dita; ma tosto le ripose; no, voleva disfare il nodo. E si riaccostò al lume e tirò il nodo del grembiale in avanti, e palpa e palpa, riuscì a scioglierlo. Diede un sospiro, poi continuò a togliersi piano piano le vesti, ripiegandole con cura sulla sedia dopo aver tratto dalla tasca della sottana le chiavi e averle messe in fila, come una buona famiglia in riposo, sul ripiano del tavolino da notte. Così le avevano insegnato i padroni: ordine e ordine; ed ella obbediva ancora agli antichi comandi.
Tornò a sedersi, con la camicia corta sulle gambe che parevano di legno; e sbadigliò: sbadigli di stanchezza e di rassegnazione.
No, che egli ritorni, e sulla porta chiusa legga la piena fiducia di sua madre. Bisognava prenderlo così, con la piena fiducia. Eppure ella tendeva l’orecchio: in modo diverso dalla notte avanti, ma tendeva l’orecchio.
Lasciò cadere le scarpe, le accostò l’una all’altra, da buone sorelle che devono tenersi compagnia anche la notte; e continuava a pregare e sbadigliare; sbadigli di stanchezza e di rassegnazione, ma anche di nervosità.
Che era andato a dire alla madre di Antioco? La donna non godeva buona riputazione: era usuraia e, si diceva, anche ruffiana. No, ella soffiò sulla candela, ne smorzò il lucignolo con le dita bagnate di saliva e montò sul letto: ma non potè stendersi.
Le parve di sentire un passo nella camera. Era il fantasma che tornava? Una paura terribile che egli salisse sul letto e la possedesse le ottenebrò la mente: il sangue le si gelò nelle vene, poi le corse tutto al cuore come una folla in sommossa per le vie di una città che affluisce tutta alla piazza. Pochi attimi e si riebbe, si vergognò della sua paura, prodotta certo dai dubbi impuri che ella aveva sul suo Paulo.
No, non voleva, non voleva più investigare la più piccola azione di lui. Doveva starsene quieta, al buio, così, nella sua cameretta di serva. Si stese, si coprì: si coprì anche le orecchie per non sentire s’egli tornava o no: ma dentro sentiva egualmente, sentiva ch’egli non tornava, che era portato via da qualcuno, contro sua volontà, come uno che viene trascinato riluttante al ballo.
Era però sicura di lui: prima o poi egli avrebbe saputo liberarsi; e d’altronde ella era lì, sotto le coperte, ma non dormiva; e aveva l’impressione di palpare ancora il nodo intricato del suo grembiale, decisa a scioglierlo.
Eppoi il ronzìo delle orecchie coperte le pareva il mormorio della folla giù nella piazza e più lontano ancora: un mormorio di gente che si lamentava, ma anche rideva e cantava e ballava. Il suo Paulo era in mezzo. E sopra, in un luogo alto, qualcuno suonava dolcemente un liuto. Forse Dio sopra il ballo degli uomini.