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sbattè furiosamente contro la palizzata. La vittima orribilmente schiacciata, precipitò inerte al suolo insanguinando le sabbie.
— Kuàie! Kuàies-ktir! strepitarono i guerrieri.
Il bufalo fu tosto preso al laccio dai baggàra che si tenevano a cavalcioni della palizzata. Il cadavere dell’egiziano, deformato, sventrato, fu trascinato via per essere dato a pasto delle belve delle foreste e vennero precipitati giù gli altri due egiziani, uno dei quali, spezzatosi una gamba, rimase disteso a terra strillando e invocando Allàh e il Profeta.
Altri due bufali furono fatti entrare e il sanguinoso spettacolo ricominciò. Fu breve: il primo egiziano venne sventrato al primo urto, e il secondo arrampicatosi sulla palizzata, venne ucciso da una lancia scagliatagli da un Abù-Ròf.
Non restava che Abd-el-Kerim, il quale aveva assistito impassibile alla sventurata fine dei suoi compagni d’armi. Egli discese nell’arena colla scimitarra in pugno, lo sguardo sfavillante d’ardire, attendendo con calma straordinaria la comparsa del leone che doveva attaccarlo.
Uno dei dervis, per ordine di Ahmed intimò alla tumultuante folla il più profondo silenzio, dopo di che venne fatto entrare il re delle foreste africane. Era un vecchio leone, lungo due metri, alto più di uno dalla maestosa figura, dal portamento ancora fiero, che ruggiva orribilmente scuotendo la villosa giubba.
Un fremito di spavento corse per le membra dei guerrieri del Mahdi alla vista di quell’animale che gode un terribile fama appo tutte le popolazioni africane. Ognuno ammutolì e guardò quasi con terrore l’arabo che non si era nemmeno mosso dall’apparire di quel formidabile campione.
Per alcuni istanti il leone si accontentò di far udire la sua voce, battendosi i fianchi colla coda, un colpo della quale è bastante per rompere le gambe ad un uomo, poi si mise a ronzare attorno all’arabo che presentavagli la fronte riparandosi dietro la scimitarra come dietro ad uno scudo.