Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

La Baronessa, il Cavaliere e don Armidoro.

Armidoro. Mi rallegro, signori, di quel che ora mi dite;

Il cielo vi conceda felicità compite.
Come mai è accaduta tal cosa inaspettata?
Questa risoluzione da qual principio è nata?
Baronessa. Io non lo saprei dire.
Cavaliere.   È stato un caso tale.
Di cui difficilmente succederà l’eguale.
So ch’io son fortunato sposando una tal dama.
Baronessa. Umilissima serva. (inchinandosi)
Armidoro.   Questo piacer si chiama.
D’un reciproco amore bene maggior non stimo;
Ma di voi due chi è stato a innamorarsi il primo?

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Cavaliere. Guardate, caro amico, se fortunato io sono,

Se di quel cor gentile fu generoso il dono.
Io nemmen ci pensava, per dir la verità:
L’amarla avrei creduto una temerità.
Ella, non so dir come, tanto si accese e tanto,
Che per me fu veduta a distillarsi in pianto.
Baronessa. Come? che cosa dite? Io prima? signor no.
Primo fu il Cavaliere, me l’hanno detto, e il so.
Io non ho mai pensato a amare in vita mia:
Amor fino a quest’ora non so dir cosa sia.
Cavaliere. Come! non foste voi, signora Baronessa,
Che dirmi l’amor vostro pregato ha la Contessa?
Baronessa. Non è ver; la Contessa disse che il vostro core,
Appena mi vedeste, arse per me d’amore.
Io mi mostrai lontana da entrare in questi guai.
Ma tanto mi ha pregato, che alfin mi contentai.
Armidoro. La cosa, miei signori, per verità è curiosa.
La Contessa, il sapete, è donna capricciosa;
Avrà d’innamorarvi per questa via pensato.
Cavaliere. Vel protesto, signora, io son mortificato.
Ho di voi quella stima che meritate, è vero,
Ma il piacer ch’io sperava, per questa via non spero:
Se qual io vi credeva, accesa or non vi sento,
Non vorrei che s’avessimo a unir per complimento.
Baronessa. Se non vi piace, addio. (con disprezzo)
Cavaliere.   Se voi non ci pensate.
Dunque è sciolto l’impegno. Vi riverisco.
(in atto di partire)
Baronessa.   Andate. (come sopra)

SCENA II.

La Contessa e detti.

Contessa. Dove andate, signore? (al Cavaliere)

Cavaliere.   Dove mi pare e piace.
Contessa. Signor, dove apprendeste a favellar si audace?

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Cavaliere. Perdonate, Contessa, voi mi faceste un tratto,

Che non è da par vostro.
Contessa.   E ben, cosa vi ho fatto?
Cavaliere. La Baronessa il dica.
Baronessa.   Al certo, in queste porte
Soffrir non mi aspettava un tratto di tal sorte.
(alla Contessa)
Contessa. Ridere voi mi fate.
Armidoro.   L’affare è un po’ scabroso.
(alla Contessa)
Contessa. Davvero? esaminiamolo quest’affar sì serioso.
La verità non celo. Fissai nel mio pensiere
Di unir codesta dama a un gentil cavaliere:
So che di collocarla il genitor sospira,
So che la figlia anch’essa a maritarsi aspira.
Il cavaliere Ascanio parvemi un buon marito,
E stabilir mi piacque un simile partito.
Se per le strade solite l’avessi incamminato,
Chi sa quando potevasi concludere il trattato?
Il padre della giovane è un seccator, si sa:
Vi avrebbe ritrovato cento difficoltà.
E poi di due consorti non è contento il cuore,
Quando alle care nozze non li dispone amore.
Quest’amor non poteva nascere come un lampo:
Io gli ho aperta la strada, io gli ho spianato il campo.
Cupido in vari modi suole introdursi in petto,
Talor da inclinazione suol nascere l’affetto.
La servitù talora obbliga il cuore amato,
Il merito talora, talora un ciglio grato.
Ma forse più di tutto si calcola e si apprezza,
D’essere corrisposti la dolce sicurezza.
Il dir, so che la tale mi venera e mi adora,
È un’immagine forte, che incanta ed innamora.
Il dir sicuramente, so che quel core è mio,
Suole di conseguirlo accendere il desio.

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Ed ecco i vaticini in lor verificati:

Amare han principiato, credendo essere amati.
(accennando i due)
Se hanno per mia cagione sentito intenerirsi,
Avran di quest’amore motivo di pentirsi?
Degna non è tal dama di un cavalier gentile?
Avrà la Baronessa un tal consorte a vile?
Siete di pari sangue, siete di egual fortuna,
Ciascun nel proprio seno meriti grandi aduna.
Pare che l’un per l’altro siate nel mondo nati,
Meco non vi adirate, ma siatemi obbligati.
Di chi sia stato il primo non cagliavi l’onore;
Dee la ragion piegarvi, dee trionfar l’amore.
So che il mio stratagemma fu irregolare e audace.
Ma per mio mezzo un giorno voi viverete in pace.
E mi direte allora negli affetti amorosi:
Benedetta Contessa, per tua cagion siam sposi.
Armidoro. Se della sua condotta buona ragion vi rende,
Signori, approfittarvene solo da voi dipende.
Cavaliere. Quando la Baronessa non sprezzi l’amor mio,
S’ella è di me contenta, son di lei pago anch’io.
Contessa. Che rispondete, amica? (alla Baronessa)
Baronessa.   La prima io non son stata.
(con qualche forza)
Contessa. È ver, per questa parte la cosa è già svelata;
Ma sia prima, o sia dopo, nel vostro seno il foco
Nascer non vi sentiste?
Baronessa.   Ah! mi vergogno un poco.
Contessa. Fatele voi coraggio. (al Cavaliere)
Cavaliere.   Se gl’innocenti ardori
Nacquer nei nostri petti...

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SCENA III.

Il Barone, il Notaro e detti.

Barone.   Schiavo di lor signori.

Questo signor mi ha detto, che voi mi domandate.
(alla Contessa, accennando Armidoro)
Eccomi pontuale; cosa mi comandate?
Contessa. Concludere dobbiamo codesto matrimonio.
Potran questi signori servir per testimonio;
Ed eccovi il notaro, che stenderà il contratto.
Barone. A che serve il notaro? non l’ho io bell’e fatto?
Vi metterà due ore a fare un istrumento;
Ed io le cose mie le spiccio in un momento.
Contessa. Quand’è così, il notaro avrà un affar di meno,
Ma s’ei non lo distese, deve rogarlo almeno.
Fate ch’egli lo senta.
Barone.   Uditelo, e imparate (al Notaro)
Come si fan le scritte succinte ed abbreviate.
Notaro. Cos’è questo, signore?
(al Barone, Vedendo una scrittura lunghissima di più fogli)
Barone.   Bella caricatura!
Il contratto di nozze.
Notaro.   Sei carte di scrittura?
E poi per la lunghezza si lamenta di noi?
Barone. Udite, e poi parlate. Cosa sapete voi?
Quel che ho scritto in sei carte, io son di sentimento
Che voi non l’avereste scritto nemmeno in cento.
Notaro. Sentiam che cosa dice.
Contessa.   Sei carte di scrittura?
Signor, per quel ch’io vedo, sarà una seccatura.
Barone. Prima che la sentiste, voi vi lagnate invano.
Contessa. (Ah, non vorrei per questo stancare il capitano).
Barone. Addì nove d’Aprile... Se poi non si farà
Sotto di questa data, il dì si cambierà.
Il nobile signore Federico Nerbone,

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D’Altea giurisdicente e libero Barone,

Consigliere etecetera. Vedete? ho tralasciato
Altri dodici titoli, di cui son decorato.
Tutto per brevità.
Contessa.   Finiamola, signore. (al Barone)
Barone. Colla presente carta, che avrà forza e vigore,
E sarà calcolata di una scrittura al paro
Fatta di propria mano di un pubblico notaro.
Di Mantova e di Roma notaro collegiato,
A stendere contratti dal foro destinato.
Senza eccezione alcuna, senza difficoltà,
Col notariale impronto, con piena autorità,
Rogato e domandato....

Contessa.   Che diavolo d’istoria!
Barone. I termini del foro li so tutti a memoria.
Contessa. In verità, son stanca.
Barone.   Mi spiccio immantinente.
Terminato il preambolo, veniamo al concludente.
Promette dar in sposa, cioè dà la parola
Per sè solennemente, e per la sua figliuola
La Baronessa Amalia, nata nel giorno trenta
D’Ottobre l’anno mille e settecento e trenta
Nella città di Roma dalla nobil signora...

Contessa. Ma che seccata è questa?
Barone.   Ho terminato or ora.
Baronessa Carlotta, figlia del Colonnello....
Contessa. (Che ti venga la rabbia).
Barone.   Signor di Montebello....
Contessa. Tutto ciò non potrebbesi levar dall’istrumento?
Barone. Non vi è, ve lo protesto, da levare un accento.
Sentite...
Contessa.   Con licenza, ho sentito abbastanza:
A leggerlo potete passar nell’altra stanza.
Io non c’entro per niente, ed in una parola,
Ho un affar che mi preme, e vo’ restar qui sola.

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Barone. Andiam, signori miei; andiam, signor notaro.

Sentirete un contratto breve, succoso e chiaro, (parte)
Baronessa. Lo conoscete, amica, vi prego a perdonare.
(alla Contessa)
Contessa. Siete più meco in collera?
Baronessa.   Anzi vi vo’ baciare.
(dà un bacio alla Contessa, e parte)
Contessa. E voi siete sdegnato?
Cavaliere.   Sarò per voi felice,
Se una gentil consorte di conseguir mi lice, (parte)
Armidoro. Grazie al ciel, son partiti; or resterem da noi.
Contessa. Fatemi una finezza, andatene anche voi.
Armidoro. Ma perchè?
Contessa.   Perchè voglio star sola nel mio quarto.
Armidoro. Possibile...
Contessa.   Partite.
Armidoro.   Per obbedirvi io parto.
Gran disgrazia è la mia! maladetto demonio!
Dove dovrei andare?
Contessa.   A far da testimonio.
Armidoro. Io?
Contessa.   Sì, voi. La natura proprio vi ha fatto apposta.
Armidoro. Cospetto! un’altra volta vi darò la risposta, (parte)

SCENA IV.

La Contessa, poi Martorino.

Contessa. Son partiti alla fine. Che dirà il capitano?

Troppo aspettar lo feci. Il trattamento è strano.
Ma vuò fino all’estremo provar la fedeltà;
S’egli resiste ancora, se mi vuol ben, chi sa?
Martorino.
Martorino.   Comandi.
Contessa.   Il capitan dov’è?
Martorino. È stato fino ad ora a bestemmiar con me.

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Contessa. Bestemmiar? perchè mai?

Martorino.   Oh se l’aveste inteso!
Gli si vedeva il volto di mille fiamme acceso.
Dieci volte a sfogarsi saria da voi venuto,
Ma sempre colle buone di là l’ho trattenuto.
Sapea che qui con voi erano i suoi rivali,
E di loro, e di voi, dicea cose bestiali.
Contessa. Di me, che cosa ha detto?
Martorino.   Eh via, lasciamo andare.
Contessa. Voglio che tu mei dica.
Martorino.   Vi volete arrabbiare?
Contessa. No no, non vi è pericolo.
Martorino.   Riflettere conviene,
Ch’ei dice queste cose sol perchè vi vuol bene.
Ha detto che voi siete femmina lusinghiera.
Che siete ingannatrice, che siete menzognera;
Che fede, che costanza nel vostro cor non vi è...
Eccolo... se mi sente? oh poverino me!
(parte correndo)

SCENA V.

La Contessa, poi il Capitano.

Contessa. (Perfido! mi maltratta, m’insulta in guisa tale,

E fin coi servitori ardisce di dir male?
Che di me si lamenti gli do qualche ragione;
Ma pubblicar gli insulti è una pessima azione.
Venga, farò sentirmi, avea forse pensato...
Ma no, più non lo merita). Cavaliere malnato.
(verso la scena)
Capitano. A chi, signora? (entrando la sente)
Contessa.   A voi.
Capitano.   Codesta sì ch’è vaga1.
Chi ha da dare, ha d’avere.
Contessa.   Tal chi ha d’aver si paga.

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Capitano. Posso sapere almeno donde provien tal sdegno?

Contessa. Troppo i deliri vostri, troppo han passato il segno.
Che diceste al mio servo?
Capitano.   Dissi con mio rossore
Quel che mi spinse al labbro un disperato amore.
Veggo che ad ogni istante me lusingar cercate,
E le speranze alfine son di velen meschiate.
Veggo che tutti gli altri sono da voi graditi,
Ed aspettare io deggio fino che sian partiti.
Che trattamento è questo? Vi amo, sopporto e taccio,
E ho da vedervi un giorno a un mio rivale in braccio?
Contessa. Che favellare ardito? che tracotanza è questa?
In tal guisa si parla con una dama onesta?
Capitano. Non intendo di offendervi, se sposa un dì pavento
Vedervi di alcun altro, per mio eterno tormento.
Contessa. Di quanti che mi trattano nel vedovil mio stato,
Di nozze fino ad ora nessun non mi ha parlato. (sdegnosa)
Capitano. Ve ne averei parlato io forse in questa sera. (sdegnoso)
Contessa. Di coltivar tal brama è questa la maniera? (sdegnosa)
Capitano. Come volete voi ch’io pensi a una tal cosa.
Se meco vi mostrate nemica e disdegnosa? (con caldo)
Contessa. Come volete voi ch’io parlivi cortese,
Se altro voi non pensate, che a replicar le offese?
(come sopra)
Capitano. Se credessi... Ma temo. (calmandosi un poco)
Contessa.   Cosa vorreste dire?
(calmandosi un poco)
Capitano. Vorrei parlar; ma poi mi farete morire.
Contessa. Ho il veleno negli occhi? (adirala)
Capitano.   Sì, di veleno avete
Pieni gli occhi ed il labbro; tutta velen voi siete.
(adirato)
Contessa. Se son tutta veleno, perchè venirmi allato? (irata)
Capitano. Vengovi, perchè bramo morire avvelenato. (dolce)
Contessa. Pazzo.

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Capitano.   Ingrata.

Contessa.   Si vede l’amor che mi portate.
Capitano. Io? vi adoro, crudele; voi sì, che m’ingannate.

SCENA VI.

Don Armidoro e detti

Armidoro. Signora, vi domandano... (alla Contessa)

Contessa.   Andate via di qua;
Dove avete imparata questa temerità?
Non si va dalle dame con tanta confidenza.
In casa mia non voglio soffrire un’insolenza.
Armidoro. Oh cospetto di bacco, non sono un turlulù.
Non dubiti, signora, non ci verrò mai più.
Dei mali trattamenti, per dirla, io son satollo;
Se più vengo qua dentro, mi si scavezzi il collo.
(parte)

SCENA VII.

La Contessa ed il Capitano.

Contessa. Che mi caschi la testa, se me n’importa un fico;

Già fra quanti qui vengono, ninuo è mio vero amico.
(adirata)
Capitano. Ci sono io, signora. (con del caldo)
Contessa.   Su via, se tal voi siete,
Quale prova mi date? (altera)
Capitano.   Tutto quel che volete. (dolce)
Contessa. Finto.
Capitano.   Son uom sincero.
Contessa.   Bella sincerità.
Dir di me al servitore cotante iniquità!
Capitano. Ma volete capirla, che amor mi fe’ parlare? (adirato)
Contessa. Amor? che amore è questo? (sdegnosa)
Capitano.   Mi farei trucidare.
(arrabbiato)

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SCENA VIII.

Il Cavaliere e detti.

Cavaliere. Il contratto è finito. Vi aspettano, signora.

Contessa. Io di far quel che voglio non ho finito ancora.
(al Cavaliere, sdegnosa)
Cavaliere. Pare anche a me. (ironico, guardando il Capitano)
Contessa.   L’ho caro. (sostenuta)
Cavaliere.   Si vede che vi preme.
(come sopra)
Capitano. Cavalier, noi abbiamo da ragionare insieme.
Contessa. Io comando, signore. (al Capitano, irata)
Capitano.   (Ecco il solito orgoglio), (da sè)
Cavaliere. Se venir comandate.... (alla Contessa)
Contessa.   No, venire non voglio.
(al Cavaliere, sdegnosa)
Cavaliere. Dunque...
Contessa.   Potete andare. (sostenuta)
Cavaliere.   Perchè sì sussiegata?
Contessa. Perchè, per dir il vero, sono un poco annoiata.
Cavaliere. Di chi?
Contessa.   Di tutto il mondo.
Cavaliere.   Di me ancora?
Contessa.   Può darsi.
Cavaliere. Il sangue, mia signora, non istia a riscaldarsi.
Terminato il contratto, men vado immantinente;
Non verrò più a seccarvi; servitor riverente, (parte)

SCENA IX.

La Contessa ed il Capitano, poi Martorino.

Contessa. Proprio fa venir male il Cavalier flemmatico.

Capitano. (Che novitade è questa? Fa rimanermi estatico). (da sè)
Contessa. Via, signor capitano, tutti gli amici miei
Mi lasciano, mi piantano. Faccia lo stesso lei.

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Capitano. Io lasciarvi, signora? Perderò pria la vita.

Contessa. Che volete che dicano, se con voi resto unita?
Posso trattar chi voglio, se vi è conversazione;
Ma con un sol, si offende la mia riputazione. (con caldo)
Capitano. Di mormorar di voi niuno saria più ardito,
Quand’io fossi...
Contessa.   Che cosa? (interrompendolo con sdegno)
Capitano.   Reso di voi marito.
Contessa. Marito? (con alterezza)
Capitano.   Sì signora.
Contessa.   Marito? (come sopra)
Capitano.   Così è.
Contessa. Io non sono per voi, nè voi siete per me. (sostenuta)
Capitano. Ma perchè mai, Contessa?
Contessa.   Ho il veleno negli occhi.
(sostenuta)
Capitano. E la dolcezza in cuore.
Contessa.   Itelo a dire ai sciocchi.
(come sopra)
Capitano. Deh per pietà!
Contessa.   Bugiardo.
Capitano.   Son vostro a tutti i patti.
Contessa. Moltissime parole, e pochissimi fatti. (con alterezza)
Capitano. Ecco la mano in pegno.
Contessa.   Che cerimonia è questa?
La man da solo a sola ad una dama onesta?
(sdegnosa)
Martorino.
Martorino. Signora.
Contessa.   Sentimi. (Va di là.
Vedi se vi è il notaro, e conducilo qua). (piano)
Martorino. (Che vuol dir?)
Contessa.   (Non seccarmi).
Martorino.   (Subito immantinente).
(parte)

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Capitano. Non mi credete ancora?

Contessa.   No, non vi credo niente.
(sdegnosa)
Capitano. Se voi mi continuate un simile tormento,
Vo’ lacerarmi il seno.
Contessa.   Tutte parole al vento.
Capitano. Barbara, in questa guisa di me prendete gioco?
Sono un uom disperato.
Contessa.   Acchetatevi un poco.
(con alterezza)

SCENA X.

Martorino, il Notaro e detti; poi due Servitori.

Martorino. Eccolo qui, signora. (alla Conlessa)

Contessa.   Questi lo conoscete?
(al Capitano, sempre sdegnosa)
Capitano. Parmi che sia un notaro. Da lui cosa volete?
Contessa. Chiama due servitori. (a Martorino, col solito sdegno)
Martorino.   Tosto, signora sì. (parte)
Capitano. Si può saper?... (alla Contessa)
Contessa.   Tacete. (come sopra)
Martorino.   I due servi son qui.
(Martorino torna con due servitori)
Contessa. Ora, signor gradasso, che tanto amor vantate.
Ora, se vi dà l’animo, ora l’amor mostrate.
Ecco due testimoni, ecco il notaro; e bene.
Quel che dianzi diceste, mentitor, vi sovviene?
(come sopra)
Capitano. Mi sovvien quel che dissi, e non lo dissi invano;
Dei testimoni in faccia, presentovi la mano.
Sono un uomo d’onore; son pronto, eccomi qui.
(offre la mano alla Contessa con del caldo)
Notaro. È contenta, signora, di queste nozze? (alla Contessa)
Contessa.   Sì.
(colla stessa aria sdegnosa prende la mano del Capitano)

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Martorino. (Ma che nozze rabbiose!)

Capitano.   Siete ancora sdegnata?
(dolce)
Contessa. Siete mio? (dolce)
Capitano.   Sono vostro.
Contessa.   La rabbia mi è passata.

SCENA XI.

Il Barone, la Baronessa, il Cavaliere e detti.

Barone. Ma se voi non venite, noi verremo da voi.

Contessa. Ma non si può, signore, badare ai fatti suoi?
(con sdegno)
Barone. Non la finiste ancora?
Contessa.   Sì signore, ho finito, (come sopra)
Barone. Che cosa avete fatto?
Contessa.   Ho pigliato marito, (come sopra)
Barone. Quando?
Contessa.   In questo momento. (come sopra)
Barone.   Dov’è lo sposo?
Contessa.   È qui.
(come sopra)
Barone. Nol vedo.
Contessa.   Siete cieco? (come sopra)
Barone.   È questi? (accennando il Cap.)
Contessa.   Signor sì. (come sopra)
Barone. Bravi! non lo credeva. Ho piacer che voi pure....
Contessa. Noi non abbiam bisogno di tante seccature.
Cavaliere. Cosa vuol dir, Contessa, che siete ancor sdegnosa?
Dovreste esser ridente, ora che siete sposa.
Contessa. Vi dirò2
Mi fece il capitano accendere di sdegno;

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L’ira si va calmando nel seno a poco a poco.

Ma sento le faville ancor del primo foco.
Cangerà in dolce riso amore i sdegni suoi:
Pezzo di disgraziato, ci avete a pensar voi.
(al Capitano, ridendo)
Capitano. Io farò il mio dovere.
Baronessa.   Ero ancor io sdegnata;
Ma ora che son sposa, son tutta consolata.

SCENA ULTIMA.

Don Fabio e detti.

Fabio. Eccomi ai cenni vostri. Cosa mi comandate?

(alla Contessa)
Contessa. Un’ode epitalamica, signor, vo’ che facciate.
Fabio. Per quai nozze?
Contessa.   Gli sposi, caro poeta mio.
Eccoli a voi presenti, il capitano ed io.
Fabio. E me lo dite in faccia? e fin nel vostro tetto
Mi chiamate, signora, per dirlo a mio dispetto?
Sì, scriverò di voi quel che mi detta il cuore,
Farò qualche vendetta del mio schernito amore.
Vo’ fare una canzona3 da dir sulla chitarra.
Prendendo l’argomento da una Donna Bizzarra, (parte)
Capitano. S’egli ardirà di farlo, l’avrà che far con me.
Contessa. Tutto quel che si dice, sì facile non è....
Barone. Ora vo’ raccontarvi....
Contessa.   Già ci avete stordito.
Lasciatemi restare un po’ con mio marito.
Barone. Come pensate voi?... (alla Contessa)
Contessa.   Chetatevi una volta;
Vorrei dir qualche cosa almeno a chi m’ascolta.
Barone. Dite pur.

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Contessa.   Sono stata, per dir la verità, (al popolo)

Fin adesso bizzarra...
Barone.   Tutto il mondo lo sa.
Contessa. La volete finire? La bizzarria per questo
Niente ha pregiudicato al mio costume onesto.
Eccomi sposa alfine...
Barone.   Di già questa faccenda
Tutti l’han preveduta all’alzar della tenda.
Contessa. Un seccator compagno non ho veduto al mondo;
In grazia di chi m’ode, mi accheto e non rispondo.
Con me, signori miei, siate cortesi e umani:
Con lui, perchè sen vada, battetegli le mani.

Fine della Commedia.


Note

  1. Così le edd. Guibert-Orgeas, Zatta ecc. Nell’ed. Pitteri: Codesta è vaga.
  2. Di questo verso, per difetto di stampa, sono rimaste nell’ed. Pitteri soltanto le due prime parole, e manca il resto anche nelle altre edizioni del Settecento.
  3. Così nell’ed. Pitteri.