Capitano. Posso sapere almeno donde provien tal sdegno?
Contessa. Troppo i deliri vostri, troppo han passato il segno.
Che diceste al mio servo?
Capitano. Dissi con mio rossore
Quel che mi spinse al labbro un disperato amore.
Veggo che ad ogni istante me lusingar cercate,
E le speranze alfine son di velen meschiate.
Veggo che tutti gli altri sono da voi graditi,
Ed aspettare io deggio fino che sian partiti.
Che trattamento è questo? Vi amo, sopporto e taccio,
E ho da vedervi un giorno a un mio rivale in braccio?
Contessa. Che favellare ardito? che tracotanza è questa?
In tal guisa si parla con una dama onesta?
Capitano. Non intendo di offendervi, se sposa un dì pavento
Vedervi di alcun altro, per mio eterno tormento.
Contessa. Di quanti che mi trattano nel vedovil mio stato,
Di nozze fino ad ora nessun non mi ha parlato. (sdegnosa)
Capitano. Ve ne averei parlato io forse in questa sera. (sdegnoso)
Contessa. Di coltivar tal brama è questa la maniera? (sdegnosa)
Capitano. Come volete voi ch’io pensi a una tal cosa.
Se meco vi mostrate nemica e disdegnosa? (con caldo)
Contessa. Come volete voi ch’io parlivi cortese,
Se altro voi non pensate, che a replicar le offese?
(come sopra)
Capitano. Se credessi... Ma temo. (calmandosi un poco)
Contessa. Cosa vorreste dire?
(calmandosi un poco)
Capitano. Vorrei parlar; ma poi mi farete morire.
Contessa. Ho il veleno negli occhi? (adirala)
Capitano. Sì, di veleno avete
Pieni gli occhi ed il labbro; tutta velen voi siete.
(adirato)
Contessa. Se son tutta veleno, perchè venirmi allato? (irata)
Capitano. Vengovi, perchè bramo morire avvelenato. (dolce)
Contessa. Pazzo.