Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera di donna Eularia,

Colombina che sta facendo una scuffia, ed il Paggio.

Colombina. Paggio, fatemi un piacere, datemi quelle spille.

Paggio. Volentieri, ora ve le do. (le va a prendere da un tavolino)

Colombina. Non vi è cosa che mi dia maggior fastidio, quanto il far le scuffie. Poche volte riescono bene. La mia padrona è facile da contentare; non è tanto delicata, ma se va in conversazione, subito principiano a dire. Oh, donna Eularia, quella scuffia non è alla moda. Oh, quelle ale sono troppo grandi! La parte diritta vien più avanti della sinistra. Il nastro non è messo bene; chi ve l’ha fatta? La cameriera? Oh, che ignorante! [p. 20 modifica] Non la terrei, se mi pagasse. Ed io non istarei con quelle sofistiche, se mi facessero d’oro.

Paggio. Eccovi le spille.

Colombina. Caro paggino, venite qui. Sedete appresso di me. Tenetemi compagnia.

Paggio. Sì, sì, starò qui con voi, giacchè la padrona mi ha mandato via dall’anticamera, e mi ha ordinato non andare, se non mi chiama.

Colombina. Ha visite la padrona?

Paggio. Oibò: vi è il padrone in camera con esso lei.

Colombina. Sì sì, vi è il padrone, e vi hanno mandato via? Ho capito.

Paggio. Io so perchè mi hanno mandato via.

Colombina. Oh, vi avranno mandato via, perchè quando marito e moglie parlano insieme, il paggio non ha da sentire.

Paggio. Non parlavano.

Colombina. Che cosa facevano?

Paggio. Il padrone gridava.

Colombina. Con chi gridava?

Paggio. Colla padrona.

Colombina. E ella che cosa diceva?

Paggio. Ella parlava piano, e non potevo intendere. Solo sentiva che gli diceva: Dite piano, non vi fate sentire dalla servitù.

Colombina. Ma il padrone perchè gridava?

Paggio. Diceva1: Sia maladetto quando mi sono ammogliato.

Colombina. (Che diavolo di uomo! Impazzisce per la gelosia, ed ha una moglie prudente, che è lo specchio dell’onestà e della modestia). (da sè)

Paggio. Oh2! ho sentito da lei queste parole: Non anderò in nessun luogo, starò in casa; e il padrone ha risposto: alla conversazione bisogna andare.

Colombina. (Sì sì, è vero. Vuol ch’ella vada alla conversazione. [p. 21 modifica] permette che riceva visite, che si lasci servire, e poi more, e spasima, e la tormenta per gelosia). (da sè)

Paggio. Oh, questa è bella. Sentite cosa le ha detto. Voi, dice, vi fate bella per piacere alla conversazione.

Colombina. Ed ella che cosa ha risposto?

Paggio. Non ho potuto sentire. Non mi ricordo un’altra cosa... E sì era bella... Oh sì, ora mi sovviene. Dice: Non voglio che andiate tanto scoperta. La padrona si è messa a ridere; e il padrone si è cavata con rabbia la parrucca di testa, e l’ha gettata sul fuoco.

Colombina. Oh bello! Oh caro!

Paggio. Io ho veduto questa bella cosa dalla portiera, e mi son messo a ridere forte forte. La padrona mi ha sentito, e mi ha cacciato via.

Colombina. In verità, si sentono delle belle cose.

Paggio. Io ho paura che il padrone diventi pazzo.

Colombina. Se non avesse per moglie una dama prudente, a quest’ora sarebbe legato.

Paggio. Ma che diavolo ha?

Colombina. Non lo so.

Paggio. Ho sentito a dir ch’è geloso.

Colombina. Chi ve l’ha detto?

Paggio. Che cosa vuol dir geloso?

Colombina. Non lo sapete?

Paggio. Io no. 3

Colombina. Tanto meglio.

Paggio. Cara Colombina, ditemi. Cosa vuol dire?

Colombina. (È meglio deluderlo, per non tenerlo in malizia), (da sè) Geloso vuol dir gelato, che ha freddo.

Paggio. E cos’è quella cosa che il padrone vuole che la padrona tenga coperta?

Colombina. La testa, acciocchè non si raffreddi. (Questi ragazzi vogliono saper tutto). (da sè) Ecco la padrona. (1) [p. 22 modifica]

Paggio. Non gli dite nulla di quello che vi ho detto.

Colombina. No no, non dubitate.

Paggio. Ascolterò e vi racconterò tutto.

SCENA II.

Donna Eularia e detti.

Eularia. Che cosa fate qui voi? (al paggio)

Paggio. Mi ha mandato via dall’anticamera.

Eularia. Questo non è il vostro luogo. In camera delle donne non si viene.

Colombina. Mi ha portato le spille; è venuto ora.

Eularia. Le spille andatele a prender voi.4 Animo, via di qua.

Paggio. Posso andare in anticamera?

Eularia. Andate in sala.

Paggio. (In quella sala5 ci si muore di freddo). (da sè)

Eularia. A chi dico io? (al paggio)

Paggio. Signora, io son geloso.

Eularia. Come geloso?

Paggio. Sono geloso, come il padrone.

Eularia. Come? Che vuol dire questo geloso?

Paggio. Signora, domandatelo a Colombina.

Eularia. Colombina, che cosa dice costui? È geloso?

Colombina. Eh, non gli badate, signora. Geloso intende per gelato, che ha freddo.

Paggio. Me l’ha detto Colombina.

Eularia. Tu l’hai detto? (a Colombina)

Colombina. Eh, che quel ragazzo non sa che cosa si dica. (Mai più parlo con ragazzi). (da sè)

Eularia. Animo, via di qua. (al paggio)

Paggio. E ho d’andare in sala?

Eularia. Sì, in sala, dove comando.

Paggio. (Questa volta butterei via la parrucca, se l’avessi, come ha fatto il padrone).6 (parte) [p. 23 modifica]

Eularia. Che cos’è quest’imbroglio di geloso, di freddo, di mio marito? Che cosa dice colui?

Colombina. Non lo sapete, signora? I ragazzi parlano a caso.

Eularia. Ha forse detto qualche cosa di mio marito?

Colombina. Oh niente, signora, niente.

Eularia. Questa mattina mio consorte è di cattivo umore. L’ha col fattore, l’ha col sarto, l’ha col parrucchiere. Basta dire che ha gettato una parrucca sul fuoco.

Colombina. Sì sì, il paggio me l’ha detto. (ridendo)

Eularia. (Ecco, il paggio ha parlato). (da sè) Orsù, Colombina, bada bene che i fatti miei non si sappiano fuori di casa, perchè me ne renderai conto.

Colombina. Se tutti fossero fedeli come me, potreste viver quieta.

Eularia. Hai terminata quella scuffia?

Colombina. Sì signora, l’ho terminata. Anderà bene?

Eularia. Sì sì, anderà bene. Va a stirare la biancheria.

Colombina. Cara signora, mi parete turbata.

Eularia. Lasciami stare.

Colombina. Viene il padrone.

Eularia. Va a fare quello che ti ho detto.

Colombina. Vado subito7. (parte)

SCENA III.

Donna Eularia, poi don Roberto.

Eularia. Con mio8 marito non so quasi più come vivere. Io l’amo, lo venero e lo stimo, ma mi tormenta a segno che mi mette alla disperazione.

Roberto. Vi occorre nulla da me? Vado via.

Eularia. Andate e tornate presto.

Roberto. Vado dal gioielliere, per assicurarmi se sia terminato il vostro gioiello.

Eularia. Se non uscite che per questa sola cagione, potete restare in casa. [p. 24 modifica]

Roberto. Con questa occasione farò chiamare il sarto, e lo minaccerò ben bene, se non vi porta il vestito nuovo.

Eularia. Che importa a me di averlo così presto?

Roberto. Anderete alla conversazione, e ho piacere che abbiate un vestito nuovo.

Eularia. Io sto volentieri in casa; alla conversazione posso far a meno di andarvi.

Roberto. Siete stata invitata, dovete andare.

Eularia. Posso mandare a dire che mi duole il capo.

Roberto. Oh! non facciamo scene, andate.

Eularia. Che importa a voi ch’io vada o non vada?

Roberto. Se non andate, si dirà che io non vi ho voluto lasciare andare per gelosia.

Eularia. Dunque si sa che siete geloso.

Roberto. Io geloso? Mi maraviglio di voi. Mi volete far dare al diavolo un’altra volta? Non sono mai stato geloso, non lo sono e non lo sarò. (alterato)

Eularia. Via via, scusatemi, non lo dirò più.

Roberto. Non voglio nè che lo dichiate, nè che lo pensiate.

Eularia. Non mi date delle occasioni...

Roberto. Che occasioni vi do io? Che occasioni?

SCENA IV.

Il Paggio e detti.

Paggio. Un’ambasciata.

Roberto. Non sono geloso; e chi dice che io son geloso, giuro al cielo, me la pagherà.

Paggio. Signore, io non lo dirò più.

Roberto. Che cosa non dirai?

Eularia. Taci. (al paggio)

Roberto. Voglio sapere che cosa è quello che non dirai, (al paggio)

Paggio. Non dirò più che siate geloso.

Eularia. Non gli badate (a Roberto)

Roberto. Come? Tu dici che io son geloso? [p. 25 modifica]

Paggio. L’ha detto Colombina.

Roberto. Colombina? Dov’è Colombina? (furioso)

Eularia. Ma quietatevi un poco. Sentite che cosa intende di dire il paggio con questa parola.

Roberto. Che cosa intendi di dire?

Paggio. Dico, signore, che ho un’ambasciata da fare alla padrona.

Eularia. Spiegati prima circa la parola geloso.

Roberto. Un’ambasciata alla padrona? Da parte di chi?

Paggio. Da parte del marchese Ernesto.

Roberto. (Il marchese Ernesto!) (da sè)

Eularia. Oh, m’infastidisce con queste sue ambasciate.

Roberto. Ebbene, che cosa vuole? (al paggio)

Paggio. Or ora sarà a farle una visita.

Eularia. Chi ha egli mandato? (al paggio)

Paggio. Il suo servitore.

Eularia. Ditegli che mi scusi; per oggi non posso ricevere le sue grazie.

Roberto. Perchè non lo volete ricevere?

Eularia. Che volete ch’io faccia delle sue visite? Io sto volentieri nella mia libertà.

Roberto. Via, via, frascherie. Ditegli ch’è padrone. (al paggio)

Paggio. Mi gridano perchè dico geloso? Non ho mai saputo che aver freddo sia vergogna. (parte, e poi toma)

Eularia. Ma voi, signore, mi volete far fare tutte le cose a forza.

Roberto. Non voglio che commettiate atti d’incivilita.

Eularia. Ricever visite non è obbligazione.

Roberto. Il marchese Ernesto è un cavaliere mio amico: ci siamo trattati prima ch’io prendessi moglie; ho piacere che mi continui la sua amicizia e che faccia stima di voi; se avete ad essere... che so io... servita di braccio, piuttosto da lui, che da un altro.

Eularia. Io non mi curo d’essere servita da nessuno.

Roberto. Oh, che volete si dica nelle conversazioni? Che non vi fate servire, perchè avete il marito geloso? Questo nome io non lo voglio; non mi voglio render ridicolo. [p. 26 modifica]

Eularia. Non potete venir voi con me?

Roberto. Oh via! Diamo nelle solite debolezze. Voi mi volete rimproverare di cose che io non mi sogno. Orsù, ci siamo intesi; io vado via, se viene il Marchese, ricevetelo con buona grazia.

Eularia. Trattenetevi un poco. Aspettate ch’ei venga. Se vi trova in atto di uscir di casa, può essere che faccia a me un piccolo complimento, e abbia piacere di venir con voi.

Roberto. Non posso trattenermi. L’ora vien tarda. Donna Eularia, a rivederci. State allegra e divertitevi bene.

Paggio. È qui il signor Marchese per riverirla. (a Eularia)

Eularia. A voi, che dite? (a Roberto)

Roberto. Passi, è padrone. (paggio parte)

Eularia. Lo ricevo, perchè voi volete così.

Roberto. È cavaliere9, ed è mio amico.

Eularia. Ha un temperamento troppo igneo. Prende tutte le cose in puntiglio. Io non lo tratto volentieri.

Roberto. Sì sì, ho capito. Vi piace più la flemma del conte Astolfo.

Eularia. Io non cerco nessuno. A me piace la mia libertà.

Roberto. Eccolo il Marchese: gli do il buon giorno, e subito me ne vado.

SCENA V.

Il Marchese Ernesto e detti.

Marchese. Signora, a voi m’inchino.

Eularia. Serva divota.

Marchese. Amico. (a Roberto)

Roberto. Ecco, mi trovate in un punto che io esco di casa. Vi ringrazio della finezza che fate a mia moglie, onorandola delle vostre visite.

Marchese. Signora, come state voi di salute?

Eularia. Benissimo, a’ vostri comandi.

Marchese. Troppo gentile. Come avete riposato la scorsa notte? [p. 27 modifica]

Eularia. Perfettamente.

Marchese. Me ne rallegro.

Eularia. Favorite, accomodatevi.

Marchese. Amico, voi non sedete? (a Roberto)

Roberto. No, Marchese, perchè parto in questo momento.

Marchese. Accomodatevi, come v’aggrada, (siede vicino assai a Eularia)

Roberto. (Parmi insegni il Galateo, che non convenga al cavaliere sedere tanto vicino alla dama). (da sè)

Marchese. Ieri sera, signora mia, sono stato sfortunato: ho perso10 al faraone.

Eularia. Me ne dispiace infinitamente. Via, caro don Roberto, non istate in piedi: sedete ancor voi.

Roberto. Perchè volete ch’io sieda? Non lo sapete che ho a uscir di casa? Mi fareste venir la rabbia. (alterato)

Marchese. Caro amico, se la moglie vi brama vicino, è segno che vi vuol bene.

Roberto. Non posso soffrir queste donne, che vorrebbero sempre il marito vicino. A me piace la libertà.

Marchese. Questo è il vero vivere. Ognuno pensi a se stesso.

Roberto. Amico, a rivederci. (andando dalla parte di donna Eularia, in atto di partire)

Marchese. Vi sono schiavo.

Roberto. Donna Eularia,11 tocchiamoci la mano.

Eularia. Sì, volentieri.

Roberto. (Stando così vicina a quella sedia, vi rovinate il vestito). (piano, toccandole la mano) Oh, a rivederci. (forte)

Eularia. A pranzo venite presto: con permissione. (si scosta dal Marchese)

Roberto. Veramente12 è un gran mobile! Gran debolezza donnesca rispetto agli abiti! Caro Marchese, compatitela.

Marchese. Io chiedo scusa se inavvertentemente...

Roberto. Oh, a rivederci.

Marchese. Addio, don Roberto. [p. 28 modifica]

Roberto. Vado via... Se venisse il fattore... eh, non importa. Sentite... basta, tornerò, tornerò. (dubbioso fra l’andare e il restare, poi parte, indi torna)

Marchese. Signora donna Eularia, ieri sera speravo vedervi alla conversazione.

Eularia. Ieri sera sono restata in casa.

Marchese. Avrete avuta qualche compagnia grata, che vi avrà trattenuta.

Eularia. Sono rimasta sola, solissima.

Marchese. Sarà come dite; ma non si è veduto nemmeno il conte Astolfo, e tutti hanno giudicato ch’egli fosse con voi.

Eularia. Non è vero assolutamente. Vi dico ch’io sono restata sola. (torna Roberto)

Roberto. Signora donna Eularia, avete vedute le chiavi del mio scrittoio?

Eularia. No certamente.

Roberto. Non le trovo in nessun luogo.

Eularia. Avete ben guardato?

Roberto. Sì, ho guardato, e non le trovo.

Eularia. Aspettate, guarderò io. Con licenza. Signor Marchese, perdoni. (s’alza)

Roberto. Oh, chi vi ha insegnato le convenienze? Si lascia un cavaliere per cercar una chiave? Restate, restate, la cercherò io. Marchese, compatite. (parte)

Eularia. (Quest’uomo ha dei sospetti). (da sè)

Marchese. Onde, signora, qualche cosa si è detto sul proposito vostro e del conte Astolfo.

Eularia. Non credo che la mia condotta possa dar motivo di mormorazioni.

Marchese. È verissimo, ma siccome io sono stato il primo che ha avuto l’onor di servirvi, da che vi siete fatta la sposa, pare ch’io mi sia demeritata la vostra grazia, e le dame mi pungono su questo punto.

Eularia. Io ho ricevuto le vostre grazie per l’amicizia che passa fra voi e mio marito, e per la stessa ragione non ho potuto [p. 29 modifica] ricusar le finezze del conte Astolfo. Di ciò non mi potete aggravare.

Marchese. Capperi, signora donna Eularia, non vi lasciate servire che per commissione di vostro marito?

Eularia. Sì signore, così è. Non mi vergogno a dirlo, e non mi pento di farlo. (ritorna Roberto)

Roberto. Ma queste maladette chiavi io non le trovo.

Eularia. Quanto volete scommettere, che se io le cerco, le troverò?

Roberto. Se non le trovo, sono imbrogliatissimo.

Eularia. Caro Marchese, datemi licenza. Le voglio cercar io. (s’alza)

Marchese. Accomodatevi pure.

Eularia. (Anderò via e sarà finita). (da sè)

Roberto. Marchese mio, mi dispiace infinitamente. Cercatele e tornate presto.

Eularia. (Oh, non ci torno più). (da sè)

SCENA VI.

Il Paggio e detti.

Paggio. Signore, il conte Astolfo vorrebbe riverirla.

Eularia. Ora con queste chiavi perdute, non so come riceverlo.

Roberto. (Ho piacere che venga il Conte. È meglio ch’ella resti con due, che con uno). (da sè)

Eularia. Potete dirgli L’accidente di questa chiave, e che mi scusi. (a Roberto)

Marchese. Anch’io vi leverò l’incomodo.

Roberto. Oh, fermate. Ecco la chiave, l’ho ritrovata. Era nel taschino dell’orologio, dove non la metto mai. Accomodatevi, accomodatevi: digli che passi, ch’è padrone. (al paggio che parte subito, poi ritorna)

Marchese. Signora donna Eularia, vi solleverò del disturbo.

Eularia. Siete padrone di accomodarvi come vi aggrada.

Roberto. Favorite restare. Favorite bevere una cioccolata. Ecco il Conte. [p. 30 modifica]

SCENA VII.

Il Conte Astolfo e detti.

Conte. Faccio riverenza alla signora donna Eularia. Amico, vi sono schiavo. (lo salutano)

Roberto. Caro Conte, è molto tempo che non vi lasciate vedere. Lo dicevamo appunto stamane con donna Eularia. Il conte Astolfo non si degna più, non favorisce più.

Conte. Sono molto tenuto alla generosa memoria, che si degna avere di me una dama di tanto merito.

Roberto. Chi è di là? Un’altra sedia. (il paggio la mette vicino a donna Eularia) Qui, qui, accomodatevi. (al Conte, e destramente scosta la sedia da donna Eularia)

Conte. Riceverò le vostre grazie. (siedono)

Marchese. (Questo servire in due non mi piace). (da sè)

Roberto. Amici, vi sono schiavo, vado per i fatti miei. Donna Eularia, a rivederci. (Ora ch’è in compagnia di due, la lascio più volentieri). (da sè, e parte)

Marchese. Conte, che vuol dire che ieri sera non vi siete lasciato vedere alla conversazione?

Conte. Avevo un affar di premura e sono restato in casa.

Marchese. Oh, ieri sera dominava lo spirito casalingo. Anche donna Eularia è restata in casa.

Eularia. Sì, ci sono stata volentierissimo, e in avvenire mi volete veder poco alla conversazione.

Marchese. Conte, sentite? Donna Eularia si lascerà veder poco alla conversazione.

Conte. Se ci date il permesso, verremo a tenervi compagnia in casa.

Eularia. In casa mia sapete ch’io non faccio conversazione.

Conte. Una veglia di due o di tre persone non si chiama conversazione.

Marchese. Di due o tre! Sì, è meglio di due, che di tre. Donna Eularia, che ama la solitudine, starà meglio con uno che con due. Il signor Conte sarà la sua compagnia. [p. 31 modifica]

Eularia. Il signor Conte non vorrà perder il suo tempo in una camera piena di malinconia.

Conte. Dove ci siete voi, signora, il tempo è sempre bene impiegato.

Marchese. Non è per tutti la grazia di donna Eularia.

Eularia. È vero, non è per tutti, anzi non è per nessuno.

Marchese. Il Conte non può dir così.

Eularia. Il Conte può dire tutto quello che potete dir voi.

Marchese. Conte, difendete voi le vostre ragioni. Sentite? Donna Eularia vi mette al par di me nel possesso della sua grazia. Tocca a voi sostenere il privilegio che avete di possederla al disopra di tutti gli altri.

Conte. Anzi toccherebbe a voi a difendere la ragione dell’anzianità, poichè l’avete servita prima d’ogni altro.

Marchese. Questi privilegi del tempo non vagliono sul cuor di una dama, che può dispor di se stessa.

Eularia. Signori miei, ve la discorrete fra di voi, come se io non avessi ad aver parte in questo vostro ragionamento.

Marchese. Questo è quello che dico io. Voi siete quella che può decidere, e che ha deciso.

Eularia. Ho deciso? E come?

Marchese. A favore del Conte.

Conte. Marchese, voi mi fate insuperbire.

Eularia. Marchese, voi mi formalizzate.

Marchese. Quando si tocca sul vivo, la parte si risente.

Eularia. Orsù, tronchiamo questo ragionamento.

Conte. Sì, discorriamo di cose allegre.

Marchese. Per discorrere di cose allegre, conviene aver l’animo contento, come avete voi, che possederete il cuore di donna Eularia.

Eularia. Il mio cuore l’ho disposto una volta. Egli è di don Roberto, e vi giuro che non gliene usurpo una menoma parte.

Marchese. Oh, altro è il cuor di moglie, e altro è quello di donna.

Conte. Credete voi che le donne abbiano due cuori?

Marchese. Sì, tre, quattro.

Conte. Dunque donna Eularia ne può avere uno anche per voi. [p. 32 modifica]

Eularia. Eh signori, che maniera di parlare è questa? Con chi credete voi di discorrere? Le dame si servono, ma si rispettano; dirò meglio, si favoriscono, e non si oltraggiano. Una dama che ha il suo marito, non può ammettere niente di più, oltre una discreta, onesta e nobile servitù. Il mondo presente accorda che possa essere una moglie onesta servita più da un che dall’altro, ma non presume che il servente aspiri all’acquisto del cuore. Io farei volentieri di meno di questa critica accostumanza, e mi augurerei aver un marito geloso, il quale me la vietasse. Ma don Roberto è cavaliere che sa vivere e sa conversare. Soffre volentieri che due amici suoi favoriscano la di lui moglie, ma non gli cade in pensiero che si abbiano a piccare di preferenza, in una cosa che non deve oltrepassare i limiti della cavalleria. Se a me riesce scoprire qualche cosa di più, saprò regolarmi, signori miei, saprò regolarmi, e per evitare l’avanzamento delle vostre ridicole pretensioni, troverò la maniera di congedarvi, senza disturbare la pace di mio marito. Mi può mancare il talento e lo spirito per comparir disinvolta in una conversazione, ma non la necessaria prudenza per tutelare il decoro della mia famiglia, e far pentire chi che sia d’aver temerariamente giudicato di me.

Conte. Signora, io non so d’avermi meritato un sì pungente rimprovero.

Eularia. Lo applichi a se stesso chi più lo merita.

Marchese. Via, via, lo merito io, ma non abbiate pena di ciò. Perchè non abbiano a molestarvi le nostre gare, sarò pronto a cedere e a ritirarmi.

SCENA VIII.

Don Roberto e detti.

Roberto. Eccomi di ritorno.

Eularia. Avete fatto benissimo. Questi cavalieri vogliono partire...

Marchese. Sì, io parto, ma non il Conte.

Roberto. (Il Conte resta? Per qual motivo?) (da sè) [p. 33 modifica]

Eularia. Avrete avuto il gioiello: con licenza di questi signori, me lo lascerete vedere.

Roberto. Non sono arrivato sino alla bottega del gioielliere, poichè ho incontrato un bracciere di donna Rodegonda, che veniva alla volta di questa casa.

Eularia. Che vuole donna Rodegonda?

Roberto. Ci aspetta da lei a bevere la cioccolata.

Eularia. Non abbiamo a vederci seco lei questa sera?

Roberto. È giunta in casa sua una dama forestiera, che ha piacere di farci conoscere. Andiamo.

Eularia. Quando volete così, andiamo. Signori, mi permetteranno che io vada con mio marito a ritrovar questa dama. M’immagino la conoscerete. Ella è moglie del giudice criminale.

Conte. Accomodatevi come v’aggrada.

Marchese. La compagnia del marito non può essere migliore.

Roberto. Pensate s’io voglio andar con mia moglie. Non fo di queste pazzie. Anderò innanzi a complimentare la forestiera.

Eularia. Io anderò da me nella mia carrozza.

Roberto. Non andate sola. Ecco, questi due cavalieri vi favoriranno.

Marchese. In quanto a me, dispensatemi. La servirà il Conte.

Conte. Incontrerò con piacere l’onor di servirla.

Roberto. (Sola col Conte? Signor no). (da sè) Eh via. Marchese, venite ancor voi da donna Rodegonda. Vedrete una dama, mi dicono, assai gentile.

Marchese. Bene, verrò con voi. Vi farò compagnia a piedi.

Roberto. No, no, lasciatevi servire nella carrozza. In tre ci si sta benissimo.

Marchese. Nella vostra carrozza ci sono stato ancora. In tre si sta incomodi.

Conte. Ebbene, signor Marchese, servite voi la dama, e io anderò a piedi con don Roberto.

Marchese. Volentieri, vi prendo in parola.

Roberto. Eh via. Contino, andate anche voi, che ci starete bene. Voi siete piccolo; dalla parte dei cavalli state benissimo. [p. 34 modifica]

Eularia. Signori13, i vostri complimenti mi fanno perdere il tempo.

Roberto. Animo, andate: lasciatevi servire. (alli due)

Marchese. (Conte, io vengo perchè don Roberto m’incarica). (piano al Conte)

Conte. (Questa giustificazione è fuori di tempo). (da sè) Favorite. (offre la mano a donna Eularìa)

Roberto. (Osserva attentamente.)

Eularia. Non v’incomodate. (al Conte, guardando don Roberto)

Roberto. Non ricusate le finezze di questi cavalieri. Animo, animo, alla gran moda. Uno di qua, l’altro di là.

Marchese. Son qui ancor io, signora (prendono il Marchese ed il Conte donna Eularia in mezzo, servendola di braccio in due.)

Roberto. (Guarda con attenzione, nascostamente.)

Eularia. (Mio marito freme, e vuol così a suo dispetto). (da sè, e parte servita dalli due)

Roberto. (L’osserva nel partire, poi chiama) Chi è di là?

SCENA IX.

Don Roberto ed il Paggio.

Paggio. Signore.

Roberto. Va a servire la padrona. Ehi, senti: monta sulla carrozza; osserva bene, e riportami tutte le parole che dicono.

Paggio. Tutte?

Roberto. Sì, tutte.

Paggio. E se dicessero quella brutta parola?

Roberto. Quale parola brutta?

Paggio. Geloso.

Roberto. Come geloso? Chi è geloso? Che cosa dici? (alterato)

Paggio. No, no, non la dico più.

Roberto. Ma che vuoi tu dire?... Presto, presto, la carrozza parte. Monta dinanzi, e fa quello che ho detto. [p. 35 modifica]

Paggio. Vado subito. (parte)

Roberto. Oh mondo guasto! Oh mode insolentissime! Ecco qui, per uniformarmi al costume, per non farmi ridicolo, ho da soffrire, ho da fremere, ho da crepare di gelosia, e ho da studiare di non comparire geloso. (parte)

SCENA X.

Camera di donna Rodegonda.

Donna Rodegonda, donna Emilia, poi un Cameriere.

Rodegonda. Spero, donna Emilia, che vi tratterrete qualche tempo in questa città.

Emilia. Io ci starei volentieri, ma dipendo da mio marito.

Rodegonda. Egli non ci abbandonerà così presto.

Emilia. Sapete che una lite l’ha qui condotto, e da questa dipendono le sue risoluzioni.

Rodegonda. Casa mia tanto più si crederà onorata, quanto più vi compiacerete restarvi.

Emilia. Gradisco le vostre grazie, col rossore di non meritarle.

Rodegonda. Favorite d’accomodarvi.

Emilia. Lo faccio per obbedirvi.

Rodegonda. Orsù, amica, datemi licenza ch’io vi tratti secondo la mia maniera di vivere, che vale a dire schietta e libera, senza affettazioni14. Casa mia è casa vostra. Trattiamoci con amicizia, con cordialità, essendo io inimicissima dei complimenti.

Emilia. Questa è una cosa che mi comoda infinitamente. Chi è avvezzo a vivere in un piccolo paese, come fo io, pena a doversi adattare ai cerimoniali delle gran città15. [p. 36 modifica]

Rodegonda. Come passate il tempo nel vostro paese? Vi sono delle buone conversazioni?

Emilia. Si conversa, ma con una gran soggezione. Se uno va in casa d’una donna più di due volte, tutto il paese lo sa, si mormora a rotta di collo, e se qualche donna di spirito tratta e riceve, le altre non si curano di praticarla, credendo che la conversazione rechi dello scandalo e del disonore.

Rodegonda. Oh, che buone femmine saranno quelle del vostro castello!

Emilia. Buone? Se sapeste che razza di bontà regna in quelle care donnine! Salvata l’apparenza, tutto il resto è niente. In pubblico tutte esemplari: in privato, chi può s’ingegna.

Rodegonda. Oh, è meglio vivere nelle città grandi! Qui almeno si conversa, si tratta pubblicamente, e non vi è bisogno, per evitare lo scandalo, di far maggiore il pericolo. Gli uomini da voi saranno gelosi.

Emilia. Come bestie.

Rodegonda. E da noi niente.

Emilia. Oh, che bel vivere nelle gran città!16

Cameriere. Illustrissima, è qui il signor don Roberto. (a donna Rodegonda)

Rodegonda. È padrone. (il cameriere parte) Questo è un cavaliere di garbo, che ha sposata pochi mesi sono una bella dama.17 (a donna Emilia) [p. 37 modifica]

SCENA XI.

Don Roberto e dette, poi il Cameriere.

Roberto. M’inchino a queste dame.

Rodegonda. Serva, don Roberto.

Roberto. Mia moglie non è18 arrivata?

Rodegonda. Non l’abbiamo ancora veduta.

Roberto. (Tarda molto a venire). (da sè)

Rodegonda. Don Roberto, questa dama mia amica onorerà la mia casa per qualche tempo19, ed ho piacere di farla conoscere a donna Eularia.

Roberto. Effetto della vostra bontà. (E non viene ancora!) (da sè) Si farà gloria mia moglie di servir questa dama. (Ma diavolo, cosa fa che non viene?) (da sè)

Emilia. Donna Rodegonda mi vuol onorare col procurarmi l’avvantaggio di rassegnare alla vostra dama la mia servitù.

Roberto. Anzi la padronanza.... (Bisogna dire ch’ella abbia fatto fare un gran giro alla carrozza). (da sè)

Rodegonda. Che avete, don Roberto?

Roberto. Mia moglie dovrebbe essere arrivata.20

Rodegonda. Perchè non siete venuto in compagnia con donna Eularia?

Roberto. Io colla moglie non vado mai.

Rodegonda. Non siete geloso?

Roberto. Non patisco di questo male.

Emilia. Se foste nel mio paese, lo patireste anche voi, signore.

Roberto. Che! sono gelosi gli uomini al vostro paese?

Emilia. E come! Sono insoffribili.

Roberto. Qui la gelosia non si usa. Conviene uniformarsi al paese.

Rodegonda. È sola donna Eularia? (a Roberto)

Roberto. No, è in carrozza col marchese Emesto e col conte Astolfo.

Emilia. Con due cavalieri in carrozza? [p. 38 modifica]

Roberto, Sì signora: vi formalizzate di ciò? Si usa.

Emilia. Oh sì, che da noi un marito lascerebbe andar la moglie in compagnia con altri!

Roberto. Non la lascerebbe andare?

Emilia. Guardi il cielo!

Roberto. E per questo suo modo di vivere non sarebbe criticato?

Emilia. Anzi lo criticherebbero s’ei facesse diversamente.21

Roberto. Signora mia, in grazia, come si chiama il vostro paese?

Emilia. Castelbuono22.

Roberto. (Oh Castel buono! Oh castello ottimo! Oh castello adorabile! Ma questa mia moglie mi fa far dei lunari). (da sè)

Emilia. Verrà questa mattina donna Eularia?

Roberto. Se il demonio non se la porta, verrà.

Emilia. Perchè dite così?

Roberto. Le ho raccomandato che venga presto, che non vi faccia aspettare, e non viene mai. Ehi, signora, al vostro paese un marito che comanda alla moglie, è puntualmente ubbidito?

Emilia. E in che maniera!

Roberto. Qui non si usa così. Come si chiama il vostro paese?

Emilia. Castelbuono.

Roberto. Se vengono ad abitarvi quattro delle nostre donne, diventa prestissimo Castel cattivo.

Cameriere. Illustrissima, è qui la signora donna Eularia con due cavalieri.23 (a donna Rodegonda)

Rodegonda. Che passino. (al cameriere)

Roberto. Con due cavalieri. A Castelbuono non si usa così? (a donna Emilia)

Emilia. No certamente.

Roberto. E qui si usa.

Rodegonda. Vi dispiace che vostra moglie sia servita? (a don Roberto) [p. 39 modifica]

Roberto. Oh pensate! Li ho pregati io quei due cavalieri, che favorissero mia moglie.

Emilia. Voi li avete pregati?

Roberto. Io, sì signora.

Emilia. Oh, questa sì a Castelbuono farebbe ridere.

Roberto. Ogni paese ha i suoi ridicoli particolari.

SCENA XII.

Donna Eularia, servita dal Marchese e dal Conte, e detti.
Tutti si salutano.

Eularia. Serva, donna Rodegonda24: m’inchino a quella dama, che non ho l’onor di conoscere.

Emilia. Vostra serva divota25.

Rodegonda. Questa è una dama mia amica, che mi ha favorito un’intera villeggiatura nel suo paese26, ed ora è venuta ad onorar la mia casa.

Emilia. Spero che col vostro mezzo si degnerà di onorare anche la mia.

Rodegonda. Favoriscano di sedere. (donna Emilia siede) Là, donna Eularia. Signor Conte, signor Marchese, non abbandonino il loro posto. (li due siedono un di qua, un di là di donna Eularia, bene uniti) Don Roberto, volete favorire in mezzo di noi due?

Roberto. Io, se vi contentate, sto bene qui. (siede dalla parte di donna Rodegonda, ma non tanto vicino)

Marchese. Vostro marito ha paura a star vicino alle donne. (piano ad Eularia)

Eularia. Mio marito è un uomo che non bada alle frascherie. (piano al Marchese)

Rodegonda. Don Roberto, perchè state così lontano da noi?

Roberto. Il rispetto che io ho per le dame, non mi permette che io le incomodi stando loro troppo vicino. [p. 40 modifica]

Rodegonda. Questa è una delicatezza affatto nuova. Favorite, venite qui. Soffrite l’incomodo del mio guardinfante.

Roberto. Per questo poi, vi supplico dispensarmi. Non so come facciano il Marchese ed il Conte a soffrire sopra le loro ginocchia il guardinfante di mia moglie, e mi meraviglio che donna Eularia abbia sì poca convenienza di dar loro un sì grande incomodo.

Eularia. Dice bene mio marito. Allontaniamoci un poco.

Marchese. Oibò, stiamo benissimo. (la trattiene)

Roberto. In verità, è una cosa curiosa. Non si distinguono le gambe del cavaliere da quelle della dama. (ride con affettazione)

Conte. No, don Roberto, vi corre la dovuta distanza. (si scosta)

Roberto. Oh, lo dico per ischerzo. (come sopra)

Marchese. Amico, non m’imputate di malcreato. (a don Roberto, e si scosta)

Roberto. L’ho detto per una facezia.

Eularia. (Certamente questa cosa non vuol finir bene). (da sè)

Rodegonda. Amica, nel tempo che si trattiene qui donna Emilia, vi prego non abbandonarci. (a donna Eularia)

Eularia. Sarò con voi a servirla.

Emilia. Io non merito tante grazie.

Rodegonda. Donna Emilia, ho ritrovato una dama che vi farà compagnia; tocca a voi a ritrovarvi un cavaliere.

Marchese. Ecco lì don Roberto. Egli non ha alcun impegno. Sarà il cavalier servente di questa dama.

Roberto. A Castelbuono non s’usano cavalieri serventi; è vero, donna Emilia?

Emilia. È verissimo, non si usano.

Conte. Ella avrà piacere di uniformarsi all’uso della città.

Roberto. Anzi non vorrà corrompere il bel costume del suo paese.

Conte. Bel costume chiamate il vivere solitario?

Roberto. Io non ho mai creduto cosa buona la soggezione.

Marchese. Ed io non credo vi sia piacer maggiore oltre la società.

Conte. Povere donne! avrebbero da viver ritirate, neglette, instupide? [p. 41 modifica]

Roberto. Signora donna Emilia, come vivono le donne al vostro paese?

Emilia. Siamo poche, ma quelle poche che siamo, facciamo la vita delle ritirate. Là non si usano i cavalieri serventi27...

Roberto. Sentite? Non si usano i cavalieri serventi a Castelbuono. (al Conte ed al Marchese)

Emilia. Si fanno anche da noi delle conversazioni, ma i mariti vanno colle loro mogli, e guai se si vedesse comparire una donna servita da uno che non fosse o il marito, o il fratello, o il congiunto.28

Rodegonda. Ma signori miei, avete sempre a parlare voi altri, e noi tacere? Donna Eularia, dite qualche cosa.

Eularia. Io dico che mi piacerebbe moltissimo l’abitazione di Castelbuono.

Emilia. Se volete meglio concepirne l’idea, siete padrona di casa mia.

Roberto. (Oh! il cielo volesse. Donna Eularia non avrebbe nemmeno il parente29). (da sè)

Marchese. Donna Eularia, che dite? Una dama di tanto spirito andarsi a perdere in un castello? Credo che donna Emilia medesima non l’approverebbe, e cambierebbe anch’essa la bella felicità del ritiro colle nostre amabili conversazioni.

Eularia. Io penso forse diversamente.

Roberto. (Già, non mancano seduttori).30 (da sè)

Conte. Sentite, se voi andaste ad abitare in un castello, in meno di due mesi vi tirate dietro mezza questa città. [p. 42 modifica]

Roberto. (Non ci mancherebbe altro). (da sè)

Marchese. Donna Emilia, non ci private della nostra damina.

Conte. Non ci state a rapire la nostra donna Eularia.

Roberto. (Pare che sia cosa loro. Io non c’entro per niente). (da sè)

Emilia. Sono persuasa che ella non vorrà fare un sì tristo cambio.

Eularia. Quanto lo farei volentieri!

Marchese. Che malinconia è questa? (a donna Eularia)

Conte. Che novità? che novità?31

Roberto. (Or ora non posso più). (da sè)

Conte. Don Roberto, dite qualche cosa anche voi. Sentite che pensieri malinconici entrano nel capo alla vostra sposa32.

Roberto. (Freme.)

Marchese. Se voi vorrete partire, vi legheremo qui, vi legheremo qui. (fa il segno di legarla, e la prende per la mano)

Roberto. Non posso più. (s’alza)

Rodegonda. Che c’è, don Roberto?

Roberto. Con vostra permissione, devo andare per un affar di premura.

Rodegonda. Trattenetevi un momento.

Roberto. Convien ch’io vada. Non posso trattenermi.

Eularia. M’immagino che vorrete andare a vedere che fa vostra zia: con licenza di queste dame, verrò ancor io.

Roberto. No no, restate. Anderò io solo.

Conte. Via, quando lo dice il marito, si ubbidisce. Restate con noi.

Marchese. Vi legheremo qui, vi legheremo qui. (la prendono civilmente per le mani, volendola trattenere)

Roberto. Signora, con vostra buona licenza.

Eularia. Sentite...

Roberto. Tornerò33. (parte smaniando)

Rodegonda. (Quell’uomo ha qualche cosa per il capo). (da sè)

Eularia. (Povero don Roberto, egli è all’inferno per me, e senza mia colpa). (da sè) [p. 43 modifica]

SCENA XIII.

Cameriere colla cioccolata, e detti.

Marchese. Signora donna Emilia, a Castelbuono si usa la cioccolata?

Emilia. L’usano quelle persone che la conoscono.

Marchese. Ma tutti non la conosceranno.

Emilia. Anzi pochissimi.

Marchese. Oh che bella cosa è un castello! Che deliziosissima cosa per una dama di spirito, come la nostra carissima donna Eularia.

Emilia. Tutto sta nell’avvezzarsi.

Eularia. Io mi avezzerei facilmente.

Rodegonda. Certamente donna Eularia è una dama che ama piuttosto la solitudine.

Conte. Anzi le piace la compagnia, quando è di suo genio.

Marchese. Voi non la conoscete questa furbetta.

Conte. Il Marchese la conosce perfettamente.

Marchese. E il Conte non corbella.

Eularia. Orsù, finiamola. Vi siete accordati tutti e due a parlar molto male. Che confidenza avete meco, che possiate parlare con tanta libertà? Per essere alla presenza di una dama forestiera, che non mi conosce, pretendete dare ad intendere che avete qualche predominio sopra il mio spirito e sopra il mio cuore? Donna Emilia, assicuratevi che questi due cavalieri sono amici più di mio marito che miei; che li tratto con tutta l’indifferenza; e che oggi è la prima volta che li sento parlar pazzamente, e sarà l’ultima ancora. Sì, sarà l’ultima, ve lo prometto.

Conte. Sono mortificato. Io non so d’avervi fatta sì grande offesa.

Marchese. Cara donna Eularia, vi domando perdono. Compatite uno scherzo, una bizzarria. Deh, donna Rodegonda, impetratemi voi il perdono da questa dama.

Rodegonda. Via, donna Eularia, non vi alterate per così poco.

Eularia. Io non mi altero34. [p. 44 modifica]

Rodegonda. Non siate in collera con quei poveri cavalieri.

Eularia. Io non ho collera con nessuno.

Rodegonda. Rimetteteli nella vostra grazia.

Eularia. Non posso rimetterli in un posto, dove non sono mai stati.

Marchese. (Causa il Conte! Maledetto Conte!) (da sè)

Conte. (Se non ci fosse il Marchese, l’aggiusterei facilmente). (da sè)

Emilia. (Oh, se a Castelbuono nascesse una di queste scene, se ne parlerebbe per un anno continuo). (da sè)

SCENA XIV.

Don Roberto e detti.

Roberto. (Eccoli ancora qui. La finirò io). (da sè)

Rodegonda. Don Roberto, ben ritornato.

Roberto. Servo di lor signori.

Eularia. Che fa vostra zia?

Roberto. Dirò... male assai... sta per morire... Sarebbe bene che, prima ch’ella morisse, le deste anche voi la consolazione di vedervi.

Eularia. Sì, dite bene; andiamola a veder subito. Donna Rodegonda, compatite. Donna Emilia, vi son serva.35

Rodegonda. Verremo questa sera da voi.

Eularia. Mi farete un onor singolare.

Emilia. Ed io sarò partecipe delle vostre grazie.

Marchese. Signora, sono a servirvi.

Eularia. Perdonatemi. Non mi par che convenga andare a visitare una moribonda in compagnia di gente non conosciuta.

Marchese. (Ancora è sdegnata). (da sè) Perdonatemi, avete ragione.

Conte. Sì signora, dite bene. In questa occasione non si va che con suo marito. [p. 45 modifica]

Roberto. (In questa occasione). (da sè)

Eularia. Don Roberto, andiamo. (gli dà la mano)

Roberto. Signora donna Emilia, ecco un matrimonio all’usanza di Castelbuono. Colà sempre così, e qui in questa sola occasione. Là dicono che va bene, e qui ridono. (parte con donna Eularia)

Marchese. Signora donna Rodegonda, vi leverò l’incomodo. Signora donna Emilia, all’onore di riverirvi.

Rodegonda. Non ci scarseggiate i vostri favori.

Marchese. Questa sera avrò l’onor di riverirvi alla conversazione da donna Eularia.

Rodegonda. Con quella dama non conviene che vi arrischiate a parlar troppo.

Marchese. Tutte le mie parole la fanno alterare. Qui il signor Conte ha la fortuna di essere meglio ascoltato. (parte)

Rodegonda. È vero36, signor Conte?

Conte. Il Marchese lo va dicendo, ma io non ho fondamento di crederlo.

Rodegonda. Già lo vedo, siete due rivali.

Conte. La rivalità non mi dà gran pena: bastami di non essere soverchiato.

Rodegonda. Chi ama, non può soffrire compagni.

Conte. So che amo una dama, e l’amor mio non arriva al segno della gelosia. (parte)

Emilia. (Oh che belle cose! Oh che bellissime cose!) (da sè)

Rodegonda. Donna Emilia, questa sera andremo alla conversazione di questa dama.

Emilia. Ci verrò con piacere. (Imparerò qualche altra cosa di bello). (da sè)

Rodegonda. Servitevi qui nel vostro appartamento, ch’io intanto vo a dar qualche ordine alla famiglia.37 (parte)

Emilia. Prendete il vostro comodo. Oh che belle cose! Oh che [p. 46 modifica] bellissime cose! Una donna ha due che la servono. Il marito lo soffre, anzi ha piacere che sia servita. I serventi hanno gelosia fra di loro. La donna li tratta e li rimprovera. Essi soffrono e non sperano niente. Non sperano niente? La prudenza di donna Eularia non accorderà loro cos’alcuna, ma niuno mi farà credere che i due serventi non sperino qualche cosa. (parte)

Fine dell’Atto Primo.



Note

  1. Ed. Paperini: Sentivo che diceva.
  2. Pap.: Oh appunto.
  3. Segue nell’ed. Paper.: «Col. Se non lo sapete, non lo voglio dire. Pagg. Cara Colombina, ditemelo. Col. Non vi voglio dir niente. Pagg. Se non me lo dite voi, lo dimanderò a Menico staffiere, e me lo dirà. Col. (È meglio ecc.)»
  4. Pap. aggiunge: o fatele portare da un’altra donna.
  5. Pap.: In quella diavola di sala.
  6. Nelle edd. Pasquali e Zatta queste parole non sono fra parentesi.
  7. Pap. continua: (Per bacco, se io avessi per marito una bestia gelosa come il padrone, sarei molto tentata a fargli dire la verità)
  8. Pap.: Con questo mio.
  9. Pap.: È cavaliere di sangue.
  10. Pap. aggiunge: tutti i miei denari.
  11. Pap. aggiunge: via, facciamo la pace.
  12. Pap.: Oh, Veramente.
  13. Pap.: Signori miei.
  14. Pap. aggiunge: senza caricature. Delle cerimonie ne abbiamo fatte tante che basta.
  15. Segue nell’ed. Pap.: «Anch’io sono nata in una metropoli, ma sono da tanti anni accostumata alla libertà. Rod. Donna Emilia, avete fatto pianger nessuno nella Vostra partenza? Em. Oh, che dite mai? In un castello, in un borgo, guai se si vedesse uno a piangere per una donna. Rod. Dunque colà si trattano poco, per quel ch’io sento. Em. Sì conversa, ma con una gran ecc.»,
  16. Segue nell’ed. Pap.: «Rod. Voi altri come passate le sere dell’inverno? Em. Chi a giocare, chi a mormorare, e chi a far all’amore segretamente. Rob. Gran benefizio rendono i teatri alla civil società! Si spendono in essi le ore oziose della sera; si fa una conversazione economica. Quando piace si gode, quando non piace si discorre, e col benefizio del teatro si fugge l’occasion di giuocare, di mormorare e di far all’amore. Em. Oh, perdonatemi, donna Rodegonda, anch’io sono stata ai teatri in più di una città, e so che nei palchetti si mormora e si fa all’amore. Rod. Sì, ma non tanto quanto in casa. Em. Via, via, lasciamola lì. Lodo anch’io la città, e dico ch’è una gran fortuna per chi vi nasce, per chi vi abita. Camer. Illustrissima, è qui ecc.».
  17. Pap. aggiunge: «Em. È geloso? Rod. Non saprei dirlo. Ora pare di sì, ora pare di no. Se lo è, se la passa con una grande disinvoltura. Em. I nostri castellani, quando hanno gelosia, gettano foco da tutte le parti. Rod. Questa è una cosa che non ha del civile. Em. Oh, quante cose imparano dai contadini».
  18. Zatta: Mia moglie è ecc.
  19. Paper.: parecchi giorni.
  20. Paper. aggiunge: «(A pranzo vuò che mi senta. Le insegnerò io a far la conversazione in carrozza), da sè».
  21. Segue nell’ed. Pap.: «Rob. (Oh che viver felice sarebbe quello per me!) da sè. Em. Un uomo da noi, che dia libertà alla moglie, vien riputato per pazzo o mal costumato».
  22. Le edd. del tempo stampano sempre: Castel buono.
  23. Paper. aggiunge: «Rob. (Con due cavalieri), da sè».
  24. Pap. ha invece: Son serva a don Roberto.
  25. Pap,: Conoscerete in me una vostra serva divota.
  26. Pap.: nel suo feudo.
  27. Segue nell’ed. Pap.: «Là non vi sono cicisbei. Rob. Sentite. Non vi sono cicisbei, al Conte ed al Marchese. Em. Non si usano i cavalieri serventi... Rob. Sentite? Non si usano i cavalieri serventi, come sopra. Em. Una donna, quando è maritata, non occorre che pensi che a suo marito... Rob. Ah! Sentite? A Castelbuono. come sopra. Em. Si fanno anche da noi ecc.».
  28. Segue nell’ed. Pap.: «Rob. Sentite? Le donne a Castelbuono vanno o col marito, o col fratello, o con il congiunto. March. Vanno con il congiunto? Em. Sì signore. March. Il congiunto farà da voi quello che da noi può fare l’amico. Rod. Ma, signori miei ecc.»,
  29. Pap.: il congiunto.
  30. Segue nell’ed. Pap.: «Cont. Chi perdesse donna Eularia, avrebbe occasione di rattristarsi. Eul. Conosco che mi adulate. Rod. (Sì, costoro a forza di lodar le donne, le incantano), da sè. March. La vostra leggiadria, la Vostra avvenenza, il vostro talento, non sono cose da perdersi in un ritiro. Rob. (La cosa va un po’ troppo alla lunga), da sè. Cont. Sentite, se voi andaste ad abitare ecc.».
  31. Segue nell’ed. Pap.: «March. Lo fate per farci disperare. Cont. Pensiamo a stare allegramente».
  32. Pap. aggiunge: alla nostra cara damina.
  33. Pap.: Tornerò, tornerò.
  34. Pap. aggiunge: per queste piccole cose.
  35. Pap. aggiunge: Degnatevi di onorar la mia casa.
  36. Pap.: È vero ciò.
  37. Segue nell’ed. Pap.: «Em. Prendete il vostro comodo. Rod. Che dite, eh, donna Emilia? Al vostro paese le donne si farebbero ridicole con un servente, e qui ne hanno due. parte. Em. Oh che belle cose! Oh che ecc.».