La cieca di Sorrento/Parte seconda/V

V. L'assassinio

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V.


l’assassinio


Il casino del marchese Rionero a Portici formava un’isola in mezzo a deliziosa e vastissima villa, della quale una parte era coltivata a [p. 85 modifica]vigneti, ad agrumi e ad altri alberi fruttiferi.

Circondava questa villa, da parte di Napoli, elegante inferriata con porta, e custode; dalla parte interna di Portici un muro alto e spesso, siccome sono quasi tutti difesi e guardati i poderi e le ville de’ dintorni di Napoli. Avea quel casino due piani e un pianterreno, in cui dormivano il cocchiere, il mozzo di stalla e il giardiniere con la sua famiglia; il primo piano era l’appartamento del Marchese e della costui famigliuola, composta della moglie Albina di Saintanges e d’una bambina di circa tre anni, primo frutto del loro matrimonio; il secondo piano, comechè al pari del primo con tutta l’eleganza addobbato, era vuoto, destinato per la baronessa di Saintanges e per la zia del Marchese ne’ giorni che queste gentili donne passavano in Napoli.

Benchè rigidissima la stagione, Albina avea pregato il marito di menarla in questo casino, dove passato avrebbe i pochi giorni dell’assenza di lui. E il Marchese, che amava sempre sua moglie con la medesima esaltata passione, onde amata l’avea fin dal primo giorno che la vide, erasi affrettato di fare la volontà di lei; e, non sì tosto ricevuto il messaggio di partire, accompagnolla a Portici. Sarebbe partito il giorno appresso, se la neve in tanta copia caduta non l’avesse costretto a procrastinare almen d’un giorno il suo viaggio.

Una compiuta trasformazione erasi operata nel carattere di Albina dal momento che il cielo fatta l’avea madre. Quella costante tristezza [p. 86 modifica]onde era presa per lo addietro crasi volta in tenerezza estrema per la figliuola.

Non è a dire di quale e quanto amore ella amava quella creatura! È vero che negli occhi di quell’angioletta era un raggio degli occhi di Errico Monfort! Albina non sapea dividersi un solo istante da Beatrice (questo era il nome della bambina), la guardava sempre, e sempre la stringeva al cuore, e la baciava negli occhi, sulla fronte, sulle labbra, negli occhi massimamente.... e si sentia tanto felice nell’abbracciarla e nel baciarla... e piangea di contentezza; e benediceva Dio e suo marito, il nobile, il generoso Rionero, l’uomo tipo della più intemerata virtù e del più dilicato amore. E i giorni interi Albina scorrer faceva senza darsi altra occupazione che quella di tener tra le braccia la pargoletta e divorarla di baci. Ed ecco perchè presceglieva la dimora della campagna, come quella che più agio le dava di starsene con sua figlia le intiere giornate, e deliziarsi a sua voglia e piacere di quell’amore che era in lei un trasporto, un delirio continuo.

E bene a ragione stemperatasi ella in tanto amore per quella bambina, perocchè più bella, più aggraziata e più gentile non fuvvene giammai nel mondo. Biondi come tanti anelletti d’oro avea sul capo i capelli, rosee le guance e care, e gli occhi ripieni di tanta dolcezza, che erano malinconici a quella età così infantile: erano due occhi di giovinetta incastrati nel volto di una bambina: era in essi, [p. 87 modifica]allorchè guardava la madre, una sentita corrispondenza di affetti; eravi un mistero, una pena, un’angoscia indicibile, cagione del delirio amoroso onde la madre la baciava mai sempre con furore.

Il giorno appresso al 22 gennaio 1827, il Marchese abbraccio sua moglie, baciò la bambina, montò nella sua carrozza; e disparve.

Albina resto sola in casa con la fanciulla.

Per istinto di solitudine, e per abbandonarsi alla sua tenerezza verso la figlia, ella avevala nutrita e allevata da sè medesima, per modo che non avea giammai, e neanche per un sol momento, voluto affidarla a cameriera o a balia. Per quante preghiere il marito le avesse rivolte di tener presso di lei una qualche cameriera, mai non avea voluto acconsentirvi, dicendo che dall’istante in cui era divenuta madre non avea d’uopo d’altra compagnia che di quella di sua figlia.

Durante il giorno, non altre persone entravano in casa che il cuoco e un cameriere.

La notte, Albina, per tutto il tempo che suo marito era assente, stava sola nel suo appartamento.

La giornata del 23 gennaio era stata parimente trista e freddissima; la neve copriva tuttavia le campagne, le alture de’ monti, i tetti e le terrazze delle case — Verso il dechinar del giorno, levato si era un vento boreale, che saltar facea le unghie per freddo acutissimo.

Da qualche ora eran cadutele tenebre, [p. 88 modifica]allorchè la fanciuletta Beatrice si addormentò suite braccia della madre...

Senza saperne il perchè, Albina avrebbe voluto che la figliuoletta non si fosse così presto addormentata in quella sera, che sembra vaie più tetra lai solitudine della campagna allorché sua figlia dormiva.

Lunga pezza riposar la fece nelle sue braccia innanzi di porla nel letto; non sapea saziarsi di guardarla e di baciarla; sperava ridestarla co* baci; ma il sonno di una bambina di tre anni è duro e profondo; e massime nelle- silenziose camere d’un remoto quartiere, e allorché il vento di terra canta fuor de’ balconi la ninnananna.

Era forza di porla in letto, perocché troppo intenso era il freddo; e già le gentili membrucce di quell’angioletta intirizzivansi nelle braccia della madre; Albina le tolse lievemente d’addosso i pannicelli di seta; la contemplò un istante ignuda tutta; seminò baci e lagrime per tutto il corpo della bambina; e finalmente postole la carnicina e il camiciolino di notte, non senza riluttanza andò a porla sotto la fìtta coperta. E pose su i piedi di lei un cuscino cremisi con nappe di filo d’oro, e le rincalzava la coperta sotto le spalle per tema che una particella di quél caro corpo discoperta restasse ed esposta alla rigidezza dell’aria. E quando si fu assicurata che la figliuolina bene schermita era dal freddo, quella tenerissima madre congiunse le mani in atto di preghiera, rivolse gli occhi ad una copia [p. 89 modifica]della Vergine-Madre di Raffaello sospesa, in magnifica cornice d’oro, sul Ietto, e, pregata un’a-ve, passo il segno del cristiano riscatto sul capo della innocente creatura.

Poco appresso, ancor la madre era nel letto, ed erasi addormentata strettamente abbracciata alla figlia.

Una elegante lampada da notte rischiarava la camera.

Un oriuolo da tavolino batteva le undici. . . In quel momento un orribile sogno passav a pel capo di Albina...

Pareale che un uomo di orrendo aspetto fosse entrato in quella camera dal balcone della terrazza; cbe accostato si fosse al letto, in cui ella e la bambina riposavano; che sollevata avesse la fitta coperta. «... E, nel tempo stesso, un sudor freddo passava sulla fronte e per le gote della giovine madre, e orrendo brivido tremar facea le sue membra, cui ella cercava di nascondere agl’infami sguardi di quell’uomo... Angoscioso ed oppresso era il suo respiro... e slringeasi forte al seno la bambina, temendo che strappata venisse alle sue braccia...

E questo sogno era orribile tanto, che ella mise un grido soffocato, e si destò... e si pose a sedere in letto, e guardo intorno a sè.

Ahi! il sonno era tremenda realtà!.. Un uomo con infernale sorriso guardavala!

Un grido straziante ella mise, e tirò subitamente la coperta su tutto il suo corpo, ricoprendosi benanche il capo.

La ragazzina si mosse un istante per sensazione dolorosa di freddo... [p. 90 modifica]

Quell’uomo intanto si era accostato allo scrigno d’accanto al letto, e col pugnale iva cercando di schiuderlo.

Albina, presa da spavento indicibile, avea levato il capo, gridando con voce soffocata e poco intelligibile:

— La vita! la vita! Non mi uccidete... ho una figlia... una bambina.

— Le chiavi di questo scrigno, disse ferocemente il ladro.

— Là dentro... in quella tavoletta... vicino al mio deschetto da lavoro.

Il ladro corse a torre la chiave dal sito indicato, aprì con fretta lo scrigno, rapì il cassettino e una borsa di monete d’oro contenuta negli scompartimenti di quel mobile.

— Dov’è altro denaro? chiese poscia.

— Non ne ho altro in questo casino.

— Tu menti... il danaro, ti dico... il danaro... l’altr’oro, dov’è?

— Lo giuro sulla vita di mia figlia; non ho più danaro; ne ho a Napoli... Prendete... prendete tutto... ma lasciatemi la vita.

Poi che il ladro ebbe involatogli oggetti più preziosi in oro e in argento, depose il tutto sovra un tavolino, dette all’intorno uno sguardo immane, e, accostatosi ad Albina, disse:

— Or fa d’uopo che tu mi appartenga...

Una lotta inaudita ebbe luogo. Ne’ disperati sforzi che Albina facea per difendersi, la bambina fu precipitata dal letto..! e cadde piangendo...

La fanciulla gittava al cielo alte grida. [p. 91 modifica]

Allora il ladro, temendo che le grida della fanciulla chiamassero gente, e per isfogar la sua rabbia nel vedersi opposta disperata resistenza, denudato nuovamente il pugnale, si precipitava per ferire la bambina.

Ma la madre prevenne all’atto, e, postasi per iscudo alla fanciulla, ricevette nel seno il colpo di pugnale destinato a sua figlia.

Vibrato il colpo. Nunzio Pisani, raccolto in fretta i tesori involati, si diede a precipitosa fuga.

Albina ricevè il colpo mortale nel mezzo del petto, gittò un grido lacerante, e cadde supina, versando un rivo di sangue dall’aperta ferita: il pugnale avea toccato i polmoni. Per mirabile istinto di amor materno, nel cadere ella schivò di piombare sulla bambina, che a terra, piangendo ad alte grida, giaceva; raccolta di poi tutta l’energia della spirante sua vita, sollevò sua figlia tra le braccia, e sotto la coltre la ripose, girandosi ella stessa a metà del corpo sul letto, per morire accanto a lei.

Il colpo le avea troncato la parola, sì che un rantolo soffocato uscia solo dallo squarciato suo petto. Volea chiamar soccorso!... una speranza di salvezza balenò sull’anima di quella moribonda... Si trasse però strascinandosi ed poggiandosi fino in mezzo alla camera... Voleva arrivare alla terrazza per chiamar gente...

Ma le forze le vennero meno, e l’infelice cadde a’ piedi del letto... Il sangue deviato dal suo corso straripava ora in copia dalla bocca. [p. 92 modifica]

Poco appresso, la sventurata Albina esalava l’anima, raccomandando a Dio la figliuoletta.

La bambina intanto si era addormentata.

Le quattro dopo mezzanotte battevano all’orologio. Beatrice si ridestò, dischiuse gli occhi, si voltò dalla parte, ove solea dormir la madre, e fu sorpresa di non trovarla... E la chiamò due o tre volte, e poi si sedè sul letto e si pose a piangere chiamando or l’uno or l’altro i suoi genitori con quanta forza potea. A seconda che il silenzio rispondeva al suo pianto, ella più fortemente piangeva e chiamava la madre, e. tacessi per qualche istante in aspettativa di risposta, e poi ricominciava con più forza, e con le mani sfregavasi gli occhi infiammati di lagrime, e per moto infantile strappavasi i bei trucioletti di capelli.

Di repente, i suoi occhi sono colpiti da una larga macchia rossa sulla coperta: ella vi porta la mano, e la ritrae umettata, e guarda la sua camicia tutta intrisa di sangue perocchè la madre l’aveva abbracciata per riporla sul letto... Nulla comprendendo, ma quasi per istinto ella si scostò dal sito ov’era, e andossi a porre nel luogo, in cui solea giacer la madre.

La bambina più non piangeva, ma guardava all’intorno con gli occhi spalancati, quasi che non sapesse rendersi ragione della situazione in cui si trovava, e sembrandole impossibile che la madre l’avesse abbandonata! In un momento gitta un grido acutissimo, con le manine si covre il volto, subitamente si caccia sotto la [p. 93 modifica]coperta con tutto il capo, ed è presa da un tremore convulsivo.

Dal balcone della terrazza, restato aperto dopo la fuga dell’assassino, era entrato nella camera un animale. Era un gatto nero, grosso, con occhi di tigre!

E questo gatto, poi che lambito ebbe il sangue che rappreso era sul corpo di Albina, spiccò un salto sul letto...

Beatrice fu presa da un pianto convulsivo... E chiamava la madre, il padre, e tremava in tutte le membricine, e più cacciavasi sotto la coperta, raggricciandosi nel proprio corpo come un gomitolo di filo. Quel gatto lambì l’altro sangue che sparso stavasi sul letto, e quindi, per trovare un poco di calore, si sdraiò sulla coltre a fianco dell’infelice creatura che senlivasi addosso quel mostro, e più convulsivamente piangeva.

E dappoi che oltre un’ora ebbesi in tal guisa disfatta in pianto, ammutolì di botto... e più non fu udita!

Oh da quanto dolore doveva essere straziata l’anima di Albina, se tuttavia dolente si aggirava per quella stanza e conscia era dell’abbandono e dello spavento della carissima sua figliuola!

E quel corpo di madre, quelle visceri che si squarciavano per estrema tenerezza, giaceano al presente fredde e insensibili a terra; e la voce di quella bambina che balzar facea d’immenso amore quel cuor di madre ora più non risuonava alle sue orecchie!! [p. 94 modifica]

Scorsa era l’intiera notte, e il giorno nebbioso e tristo gittava già la sua sinistra luce in quella camera, allorchè si udì battere alla porta che corrispondea col resto dell’appartamento; e siccome a quel primo picchiare non fu risposto, e l’uscio non tu aperto, si battè a varie prese, e con forza maggiore.

Il gatto, desto a soprassalto dal suo sonno selvaggio, spiccò un balzo dal letto, e fuggì per la terrazza come un malfattore.

Pochi secondi scorsero in silenzio, e quindi novellamente fu bussato, e una voce d’uomo pronunziò dietro la porta queste parole:

— Apri, Albina, son io...

Era il marchese Rionero, che si era affrettato di riabbracciare la moglie e la figlia, ed era in quel momento di ritorno a Portici.

Non ottenuta risposta, alzò vie più la voce, e con impazienza battea la porta.

Il silenzio della tomba accoglieva soltanto le sue parole.

Poi che circa un quarto d’ora ebbe il Marchese indarno chiamata la moglie, e dato di forti picchi alla porta, si risolvette di fracassarla, sospettoso di alcun accidente.

La toppa saltò; la porta fu spalancato, e il marchese Rionero entrò nella camera seguito da un suo domestico che l’aveva accompagnato nel viaggio.

Confessiamo di non poter dipingere quale si fosse il suo orrore nel vedere giacente a terra ed immersa nel proprio sangue la dilettissima moglie. [p. 95 modifica]

Vi sono dolori, cui la penna non può giungere a descrivere, e che solo all’anima è dato il comprendere!

E quando, appressatosi al letto, gittò via la coperta per ritrovar la figlia...

Quell’angioletta, pallida e smunta come cadavere, coi membri raggruppati e stretti come quelli d’un feto nell’utero, non diè segno alcuno di vita.

Quella bambina però non era morta; ma una orrenda convulsione nervosa strappata le avea la più cara parte della vita!

Beatrice era cieca!!