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Scorsa era l’intiera notte, e il giorno nebbioso e tristo gittava già la sua sinistra luce in quella camera, allorchè si udì battere alla porta che corrispondea col resto dell’appartamento; e siccome a quel primo picchiare non fu risposto, e l’uscio non tu aperto, si battè a varie prese, e con forza maggiore.
Il gatto, desto a soprassalto dal suo sonno selvaggio, spiccò un balzo dal letto, e fuggì per la terrazza come un malfattore.
Pochi secondi scorsero in silenzio, e quindi novellamente fu bussato, e una voce d’uomo pronunziò dietro la porta queste parole:
— Apri, Albina, son io...
Era il marchese Rionero, che si era affrettato di riabbracciare la moglie e la figlia, ed era in quel momento di ritorno a Portici.
Non ottenuta risposta, alzò vie più la voce, e con impazienza battea la porta.
Il silenzio della tomba accoglieva soltanto le sue parole.
Poi che circa un quarto d’ora ebbe il Marchese indarno chiamata la moglie, e dato di forti picchi alla porta, si risolvette di fracassarla, sospettoso di alcun accidente.
La toppa saltò; la porta fu spalancato, e il marchese Rionero entrò nella camera seguito da un suo domestico che l’aveva accompagnato nel viaggio.
Confessiamo di non poter dipingere quale si fosse il suo orrore nel vedere giacente a terra ed immersa nel proprio sangue la dilettissima moglie.