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Quell’uomo intanto si era accostato allo scrigno d’accanto al letto, e col pugnale iva cercando di schiuderlo.
Albina, presa da spavento indicibile, avea levato il capo, gridando con voce soffocata e poco intelligibile:
— La vita! la vita! Non mi uccidete... ho una figlia... una bambina.
— Le chiavi di questo scrigno, disse ferocemente il ladro.
— Là dentro... in quella tavoletta... vicino al mio deschetto da lavoro.
Il ladro corse a torre la chiave dal sito indicato, aprì con fretta lo scrigno, rapì il cassettino e una borsa di monete d’oro contenuta negli scompartimenti di quel mobile.
— Dov’è altro denaro? chiese poscia.
— Non ne ho altro in questo casino.
— Tu menti... il danaro, ti dico... il danaro... l’altr’oro, dov’è?
— Lo giuro sulla vita di mia figlia; non ho più danaro; ne ho a Napoli... Prendete... prendete tutto... ma lasciatemi la vita.
Poi che il ladro ebbe involatogli oggetti più preziosi in oro e in argento, depose il tutto sovra un tavolino, dette all’intorno uno sguardo immane, e, accostatosi ad Albina, disse:
— Or fa d’uopo che tu mi appartenga...
Una lotta inaudita ebbe luogo. Ne’ disperati sforzi che Albina facea per difendersi, la bambina fu precipitata dal letto..! e cadde piangendo...
La fanciulla gittava al cielo alte grida.