La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 93-94
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Sidera cur iterent? utinam coma regia fiam!
Proximus Hydrochoi fulgeret Oarion. 94
varianti.
Verso 93. Principe, mss. Ambr. B uler coma. Fontano, Mureto, Doering ed altri Sidera cur retinent? Mss. Ambros. A, Sidera cur rutilent? Teodoro Marcilio Sidera cur inter? Marcklando seguito dal Valcken. Sidera cur retinent? iterum coma etc., tal altro utina per utinam. Stazio congettura Sidera cum intereant ut tunc coma regia fiam — Verso 94. Ultimo del poema. Marullo leggeva,
Proximus Arcturos fulgeat Oarion.
Il Poliziano contese acremente contro l’antica lezione. Il greco Marullo assalì il rivale di lettere e d’amore con laidi epigrammi. Il Murato e maestro Teodoro stanno per Marullo. Molta turba li seguì. Stazio lascia dire a’ matematici le loro ragioni, e siegue la nostra perchè questa solo trova ne’ codici: e questa Scaligero e Vossio difendono. Ugo Grozio combina leggendo
Proximus Erigone fulgeat Oarion.
Ed ha la sorte di tutti quelli che danno ragione a due parti e le fanno tutte due più ostinate. La Dacier imita il Grozio, ed accoglie la lezione del Marullo e la nostra. I mss. Ambrosiani per Oarion hanno Aorion; Orion quelli dello Stazio. Alcuni editori hydrochoo. Il giovine Dousa legge il verso combattuto
Proximus Eridano fulgeret Oarion.
Il Salvini traduce in greco la lezione del Marullo.
note.
Sidera cur iterent? Perchè mai le stelle moltiplicheranno? Preso l’attivo passivamente. Sebbene il Volpi crede cbe si debba sottiuntendere Dii vel homines. Nella mia versione ho seguita la lezione più volgata relinent, lasciando però nel testo quella che ho trovata nell’ediz. principe. Vedi varianti.
Proximus hydrochoi etc. Non gjova riportare qui le tante esposizioni. La più inetta e quella di mad. Dacier e consorti. Ecco le sue parole: «Simplicissimus hujus loci sensus: cum coma velit repetere caput reginae, mandat Orioni, Astro fulgentissimo, ut pro se lucere velit. Quid opus est, inquit coma, ut astra duplicia sint cum aliud vicariam operam possit praestare? Fulgeret igitur Oarion pro me, Orlon qui Hydrochoo proximus est.» Ma dovea pur sapere la Sibilla che l’Acquario ed Orione non sono sì prossimi, e nel caso che la sua esposizione fosse probabile ella dovea adottare la lezione Proximus Arcturos fulgeat Erigone, perchè Arturo è diffatti vicino alla Vergine la quale da molti e da Virgilio chiamasi Erigone: Georg. i. 33.
Qua locus Erigonem Inter Chelasque sequentis.
Più esatto fu il giovine Dousa, il quale cent’anni prima di Madama dava la medesima interpretazione; ma trovò perciò necessario di scrivere Eridano proximus Oarion; ricavando da Arato la vicinanza di queste due costellazioni. Quei che sosteneano la lezione del Mariullo non hanno osservato il migliore argomento della loro difesa. Fra la Vergine ed Arturo vi è la costellazione Berenicea. Se dunque la chioma ritornava alla regina, Arturo avrebbe scintillato più vicino ad Erigone, perchè le stelle di Berenice non si sarebbono interposte. Ma né questa lezione ho adottata; e la difendo soltanto, perchè il concetto come è nel nostro testo, non ha greca fragranza. Deh facciasi ch’io torni regia chioma! Dovesse anche Orione splendere prossimo ad Idrocoo. Orione e l’Acquario sono due costellazioni non vicine, l’una piovifera, l’altra tempestosa; onde la chioma torrebbe d’essere ridata alla regina a costo anche che gli astri più procellosi si cougiungessero per turbare l’armonia celeste, e per sovvertire il mondo. Questa è l’esposizione universale; nè alcun’altra si potrebbe dare. Or, io concedendo che il testo e gl’interpreti rispondano pienamente alla mente di Callimaco, oso dire che questo concetto non risponde alla verità ed alla passione degli altri tutti di cui il poema è formato. È rude, gigantesco, discorde dalla gentilezza mostrata dalla chioma nella sua prosopopea. Ripete troppo il desiderio della chioma di ritornare alla sua donna incominciato sino dal verso 39, e continuato sino al verso 80. Sino allora l’adulazione sembrò dilicata, qui diventa iperbolica, ripetuta e nauseosa. Onde o noi posteri non sappiamo ciò che si volessero que’ poeti antichi, o Callimaco prese per bellezza quello che a mio parere non é che un vizio. Sebbene io credo piuttosto che gli ultimi sei versi sieno radicalmente viziati: e ti sia prova la diversità dell’ultimo pentametro, sino dal xv secolo combattuto con lo scudo de’ codici dal Marullo, e dal Poliziano, due letterati prepotenti del loro tempo, e nemici acerrimi come i fratelli Tebani. Che se questi versi ci fossero giunti non dirò come uscirono da Catullo, ma dal loro primo padre, suonerebbero forse con poco diverse parole lutt’altro concetto.
Fulgeret. Per fulgeat breve la seconda da fulgere. Scaligero. Fulgerare per fulgorare, lo disse Pacuvio. Vossio.
Hydrochoi. Crede il Volpi, a torto, che declinando questo nome come Orpheus (Virg. Georg, iv, verso 545. Orphei papavera mittes ) sia posto qui nel terzo caso. Il Valcken. mostra che Callimaco può avere scritto Ὑδροχόῳ, ed Ὑδρόχόου perchè ἐγγύς, vicino, accoglie ed il secondo ed il terzo caso, e lo prova con esempj. Idrocoo è detto anche Ganimede. Noi lo vediamo fra i segni dv Zodiaco chiamandolo Acquario, che tanto suona Ὑδρόχοος. Igino spiega questo simbolo, astron. lib. ii cap. 29, come memoria di Cecrope che regnò prima dell’invenzione del vino (credo che Igino intenda nell’Attica, perchè nell’Asia conoscevasi il vino prima assai di Cecrope), onde insegnò i sacrificj de’ Numi con l’acqua. Igino reca un’altra sentenza; il diluvio che succede a’ regni di Deucalione: però presume questo simbolo appartenersi a quel re. Il commentatore di Germanico Cesare (riscontralo nell’edizione dove sono raccolti gli antichi astronomi ) conferma questa seconda opinione con la sentenza di Nigidio: Nigidius Hjdrochoon, sive Aquarium existimat esse Deuca~ lionem Thessalum, qui maximo cataclysmo sit relictus cum uxore Pyrrha in monte Ætna, qui est altissimus in Sicilia. Questo non può essere che il secondo diluvio de’ tempi favolosi; ed è da badare che Cecrope e Deucalione Tessalo regnarono verso la stessa età.
Oarion. Alla Eolica: Pindaro Nemea ii, verso 18, Ὠαρίν diversamente però nell’Istm. iv, verso 83, Ὠαριωνείαν φύσιν. Callimaco inno in Diana verso 265, Ὠαρίαν. Omero lo chiama nondimeno col modo più comune Odiss. v verso 276, Ὠρίων. Vedi sopra di ciò anche il Poliziano Miscel. cap. 68. Orione è l’immagine di Belo consecrata dal figlio Nino (cronaca Alessandrina pag. 84). Il nome Oarion di cui qui si serve Catullo é tratto forse da Ἀρείων, marziale. Guerreggiatore e cacciatore fu Belo; e come cacciatore è descritto Orione da Igino, astronom. poet. fab. 26, e dallo scoliaste di Arato nell’asterismo dello Scorpione. È rappresentato nel globo celeste con la spada, la clava e gli ornamentri guerrieri: e sta in atto di assalire il toro vicino. Questa costellazione essendo Assiria è nominata ne’ libri più antichi. Amos Profeta, cap. v verso 8. Facientem Arcturum et Orionem, et convertentem in mare tenebras et diem in nocte mutantem. Nondimeno nella versione de’ lxx le costellazioni non sono nominate. Ὁ ποιῶν πάντα καὶ μετασκευάζων, καὶ ἐκτρέπων εἰς τὸ πρωῒσκιὰν, καὶ ἡμέραν είς νύκτα συσκοτάζων E nel libro di Giobbe cap. IX. 9. Qui facit Arturum, et Oriona, et Hyadas: la versione greca ha Espero invece di Orione. Ὁ ποιῶν πλειάδα, καὶ ἕσπερον, καὶ ἀρκτοῦρον. — Ho data alle costellazioni la spiegazione che mi è sembrata più ovvia: diverse di molto le danno l’autore della Storia dei Cielo, ed il Dupuis, ove possono ricorrere i curiosi.