La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 89-92
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Tu vero, regina, tuens quum sidera, divam
Placabis festis luminibus Venerem, 90
Unguinis expertem non siveris esse; tuam me
Sed potius largis effice muneribus. 92
varianti.
Verso 90. Principe numinibus, Stazio liminibus. — Verso 90, 91, 92. Ne’ mss. Ambrosiani e nella principe è vestris per siveris, onde il Fontano fece votis. Ediz. 1487. Venerem: sanguinis expertem votis non esse tui me. Ediz. 1487 idem, ma leva l’interpunzione dopo Venerem, Aldine, Guarino, Mureto, Stazio, variorum, Doering seguono l’ediz. 1488, ma invece di tui, tuam. Scaligero e la Daciera Venerem: Sanguinis expertem non siveris esse tuam me, Sed prius. Vossio, Venerem: Sanguinis expertem non verticis esse tuam me, Si potis es largis adfice. Corradino, Venerem Sanguinis expertem non vestris esse tuam me seguendo la principe se non che ci leva la punteggiatura dopo Venerem. Riccardo Bentlejo dopo tante tenebre corresse Venerem; Unguinis expertem non siveris etc. f ed il Volpi ci aggiunge del suo la interpunzione accolta da noi. Il Valcken. legge Venerem, Unguinis expertem non siveris esse tuam; me sed potius largis office.
note
Festis luminibus. S’è veduto il vocabolo lumen usato per giorno anche al verso 81. Callimaco lo usurpa anche altrove. Inno in Diana verso 182.
— τὰ δὲ φάεα μηκύνονται
Et lumina ipsa protrahuntur.
Vedi anche inno in Cerere verso 83; e molti esempj nelle Fenisse d’Euripide verso 1315, ediz. del Valcken.
Unguinis exper. etc. Chi leggeva Venerem sanguinis expertem esponea il testo con le memorie storiche per le quali si sa che a Venere non si consecravano vittime cruente. Ma quanto questa interpretazione era chiara, altrettanto riuscivano confuse ed inette, le interpretazioni al resto del distico. Il Bentlejo congetturò unguinis, semplice correzione della prima sillaba san. La chioma domanda di ritornare al capo della regina. Venere operò perch’ella fosse trasferita al cielo; Venere può operare che rieda all’amato capo. Quando tu o regina placherai Venere ne’ dì festivi non lasciarla priva d’unguenti; Ma piuttosto fammi tua nuovamente, per mezzo di doni liberali. Quanto si offerissero unguenti agli Dei e nelle solennità lo sa ognuno che ha salutato gli antichi scrittori. Così pure de’ templi e simolacri tutti unguentati, de’ canestri pieni di fiori portati dalle giovinette, delle vesti profumate, della divina fragranza che spiravano i Numi e le loro chiome. Dirò soltanto che gli odori erano sì cara cosa che gli amanti chiamavano μύρος unguento le loro amiche; e Bione volgendosi a Venere, Idil. i, verso 78.
Τὸ σὸν μύρον ὤλετ´ Ἄδωνις
Adone tuo balsamo è morto.
Nella Cantica, Fasciculus mjrrhae dilectus meus mihi. Ed Ateneo pag. 848 n. 2. Beati voi, o regi, che sparsi di unguenti siete, e sempre odorati. In un’urna sepolcrale, fra le iscrizioni antiche illustrate dal Gaetano Marini, leggesi pag. 184.
εν μυροις
σοτεκνον
ηψυχη
Negli unguenti o figliuolo sin l’anima tua. Plutarco Simp. lib. iii, cita Alceo, il quale prescriveva agli infelici di spargere d’unguenti il capo travagliato, e di confortare così l’animo incanutito nelle sciagure. Avrei pur d’uopo d’unguenti!