La Canzone del Carroccio/V. Le compagnie dell'armi
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V.
LE COMPAGNIE DELL’ARMI
Il popolo - ecco dalle quattro porte,
dai quattro venti, il popolo che viene.
Viene seguendo i quattro gonfaloni1
coi quattro santi e con la rossa croce.
5Hanno l’osbergo tutti e le gambiere,
hanno il roncone e la mannaia lombarda.
Hanno lasciato i ferri del lavoro
sull’ozïosa incudine e sul banco,
e preso il ferro. Vengono a cavallo,
10guardando in su, cattani e valvassori,
domini e conti, in cui poder castella
son, del contado, ed, in città, tubate.
Son gli Andalò2, signori di più terre,
con cinquecento servi della gleba,
15Alberto de’ Cazanimici grandi,
la mala volpe, ed Albari e Galluzzi
e il conte reo da Panico e il cattano
di Baragazza, i re della montagna,
ch’hanno il lor covo in venti castellacci,
20e rubano alle strade.
Pensano i Grandi: «O buoni callegari3
e bisilieri, non vi pesa in groppa
il nostro ferro? Il ferro a voi fa d’uopo
per ganci e graffi e raspe e seghe e morse.
25L’azza... vi resti, pei beccai per l’arti!
Ma quel ronciglio abbinlo i boattieri».
Il popol va, pensano ognuno e tutti:
«Conti, v’abbiam graffiato dagli scudi
l’orso e il leon rampante con la rosa,4
30e pinti su l’aquile nostre e i pardi.
Voi cavalcate dietro i gonfaloni
nostri, Colonna, Grifo, Angelo e Branca.
Ma voi covate sotto la gaiferia5
astio tra voi, spregio per noi cattivi.
35Tempo verrà che, ricchi noi, daremo
castella ai gufi e torri alle cornacchie.
Vi abbiamo preso l’azze e le corazze,
l’aste e gli scudi. Verrà tempo, e forse
per l’armi vostre vi darem le nostre:
40pettini, cardi ed aspi».
Vedono all’ombra dell’Arengo il carro
come galea ch’è per uscir dal porto.
S’alza il nitrito d’un cavallo al cielo.
Più ferreo tuona il passo de’ pedoni.
45I cavalieri, ognuno oblia sua parte:
Comazzo6 parla amico ad Uspinello.
«Chi pari a lui? Che Berte o Bertazzole!»
Un marangone, vecchio, delle Schize,
ricorda i tempi di vent’anni addietro,
50che lo raddusse un angelo7 a Piumazzo.
«Egli parava i bovi con un fiore.
Fu l’anno che i cavalli ghibellini
bevvero al Reno: e che le manganelle
furono prese...». Un valvassore aggiunge:
55«Ne restò una, che gittò l’altr’anno
l’asino...»8. Un riso corre grandi e plebe.
«Chi pari a te, Carroccio bianco e rosso?
Forse il Blancardo? Forse la Buira?9
Quando ella va, con le sue vacche, intorno
60gridano: Chi to’ latte?»
Le lunghe spade ignude sulle spalle
sono i Lombardi ai lati del Carroccio.10
Sembrano usciti allora da un convento,
d’aver giurato sopra l’evangelia;
65aver negli occhi fiamme di covoni
e fumigare lento di macerie.
In lor città vedono andar l’aratro:
passa l’aratro e rompe ossa di morti.
Serpeggia il rovo dove fu la chiesa,
70l’edera monta dove fu l’arengo.
Non hanno più la lor città di pietra:
questa di legno hanno, e ramenghi vanno.
Poservi su quanto è più dolce al mondo,
quanto è più sacro, quanto è suo per sempre.
75Poservi il dritto, che vivente e sano
da fiamme e da rovine esce e da mucchi
di morti: il dritto della nuova Italia.
E però stanno ai mozzi delle ruote,
di guardia e scorta, con le lunghe spade
80ignude sulle spalle.
Note
- ↑ [p. 82 modifica]I quattro gonfaloni de’ Quartieri avevano nelle insegne ciò che è nel v. 16 di pag. 30; di più, ma non so da quando, un santo: S. Pietro, S. Francesco, S. Domenico, S. Petronio. La croce rossa divideva in quattro quarti l’insegna bianca.
- ↑ [p. 82 modifica]Su gli Andalò, e gli altri grandi casati bolognesi ghibellini e guelfi, cioè de’ Lambertazzi e de’ Geremei, vedi il pretioso libro Delle Torri Gentilizie [p. 83 modifica]di Bologna ecc. del conte Giovanni Gozzadini, Bologna, Zanichelli 1880. Alberto de’ Cazzanemici si denominava Alberto dalle iniquità.
- ↑ [p. 83 modifica]di Bologna ecc. del conte Giovanni Gozzadini, Bologna, Zanichelli 1880. Alberto de’ Cazzanemici si denominava Alberto dalle iniquità.
- ↑ [p. 83 modifica]Callegari, calzolai di pelle grossa, bisilieri, tessitori di panni di bigello.
- ↑ [p. 83 modifica]L’orso, arma dei Cazzanemici grandi, detti appunto dell’orso. Il leon rampante a scacchi con la rosa all’orecchio, era l’arma dei conti da Panico, terribili conti, intorno ai quali vedi Gozzadini, Op. cit, p. 388 sgg.
- ↑ [p. 83 modifica]Comazzo, de’ Galluzzi, di parte geremea, ad Uspinello, de’ Carbonesi, di parte lambertazza. Notissima l’inimicizia di queste due grandi famiglie, e la tragica fine d’una donzella e d’un giovane amanti e sposi contro la volontà de’ loro consorti.
- ↑ [p. 83 modifica]Non fu veramente un angelo, sì i Parmensi medesimi che lo presero e non vollero ritenerlo dopo la battaglia di S. Cesario: «Et Mutinenses voluerunt carrocium Bononiensium tollere, et secum in Mutinam ducere, sed Parmenses non permiserunt... Et crediderunt Parmensibus Mutinenses... et dimiserunt illud in Plumatio». In quella battaglia manganelle fuerunt Bononiensibus violenter ablate. Vedi Salimbene, pag. 60 (ediz. cit). E i confederati di Modena, Parma, e Cremona, abbeverarono i cavalli nell’acque di Reno. Id. pag. 35 sgg.
- ↑ [p. 83 modifica]L’asino. Nel mese di settembre dell’anno stesso di Fossalta (maggio del 1249) Bononienses.... cum uno mangano projecerunt unum asinum vivum in Mutinam. Matth. de Griff., Mem. Hist., p. 12.
- ↑ [p. 84 modifica]Blancardo, Buira, come più su Berta e Bertazzola, sono nomi dimestici de’ carrocci. Berta era il carroccio de’ Padovani, Blancardo quello di Parma. Così Gaiardo (e anche Berta, come è nel Chron. Est., 45) quello di Cremona, Regolio quello più antico di Parma. Quanto all’ultimo accenno, si tratta d’un carroccio fatto dai Parmensi imperiali nel 1236. Vedi Chron. Parm., pag. 11.
- ↑ [p. 84 modifica]I Lombardi. Grande dissidio intorno alla compagnia de’ Lombardi, quando e perchè nascesse in Bologna, tra il conte Nerio Malvezzi, che la narrò in un garbato volumetto, e Augusto Gaudenzi, il grande maestro in tali argomenti. Devo dire? Io inchino alla sentenza di quest’ultimo; eppur confesso che mi fa molta forza il considerare come l’istituzione del Carroccio in Bologna fosse del 1173, come s’è notato, o prima, ossia durante la lotta col Barbarossa.