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Note | 77 |
Pag. 18, v. 12. — Noto è come a Federigo II, che minacciava per riavere il figlio, rispondesse Bologna con parole di Rolandino de’ Passeggeri: non sumus arundines paludine que vento modico agitantur... Vedi Frati. La prig., pag. 117.
Pag. 19, v. 19. — Il Duddo o vesterarius, presso i Langobardi, esercitava l’ufficio di tesoriere e guardarobiere; lo scafardo, di amministratore del danaro.
Pag. 19, v. 21 sgg. — Lo Sculdahis o centenario o locoposito fu poi un capo civile, militare, giudiziario come il duca, ma di distretti campestri. Fara è il nome della famiglia langobarda, esteso certo come quello latino di «gente». I gasindi erano consiglieri, e coadiutori del re. L’eribanno era la chiamata all’armi degli uomini liberi o arimanni o exercitales. Si sa come i Langobardi facessero grande allevamento di porci, e come sin d’allora bene li cucinassero e salassero.
Pag. 25, v. 3. — Le compagnie delle armi, su che vedi lo studio di Augusto Gaudenzi nel Bull. dell’I. S. I., n. 8, furono, almeno un certo tempo, cinque per quartiere, e di più quattro appartenenti a tutti. Queste erano quelle della Stella, dei Lombardi, dei Toschi, dei Beccai per l’armi. Le altre nel 1306 s’erano ridotte a Leoni, Aquile, Griffoni, Branca; Spade, Drappieri per l’armi, Leopardi, Vari; Castelli, Quartieri, Traverse, Schise; Chiavi, Dragoni, Balzani.
Pag. 29, v. 3. — I quattro gonfaloni de’ Quartieri avevano nelle insegne ciò che è nel v. 16 di pag. 30; di più, ma non so da quando, un santo: S. Pietro, S. Francesco, S. Domenico, S. Petronio. La croce rossa divideva in quattro quarti l’insegna bianca.
Pag. 29, v. 13. — Su gli Andalò, e gli altri grandi casati bolognesi ghibellini e guelfi, cioè de’ Lambertazzi e de’ Geremei, vedi il pretioso libro Delle Torri Gentilizie