La Canzone del Carroccio/VI. Il primo Carroccio
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VI.
IL PRIMO CARROCCIO
Che fu da prima? Il carro del convento,
che usciva ai campi, al tempo delle messi.
Squillava il suono della campanella,
per l’erme vie, con le cicale a gara.
5Vennero al trebbio ove sostava il carro,
gli schiavi agresti col formento e l’orzo.
Vi si accoglieano i grami e nudi intorno,
come a sperare; e non sapean che cosa.
Sedeano a lungo, il viso tra le pugna,
10quel suono udendo lontanar nel sole.
E poi tornò tra il canto degli uccelli,
un dì di maggio. Era la terra in fiore.
La Martinella risonò nel nome
di Dio, che fece il servo e il valvassore.1
15Sonava a stormo, e i servi della gleba
corsero con le falci e con le ronche.
V’era un altare, dove ardea l’incenso;
salìa l’incenso e si mutava in nubi.
V’erano angeli con le lunghe trombe,
20e dalle trombe vento uscì di guerra.
E poi fiammeggiò rosso nei carrobbi
della città, chiamando l’arti all’armi.
«Le lancie in pugno, o voi che le foggiate!
Le spade in mano, o voi che le temprate!
25Voi che le torri a pietra a pietra alzate,
chi fa, disfà: gettate giù le torri!»
Venne la plebe antica. Allato al carro
stava un uscito dall’oblio dei tempi;2
grande; come ombra al vespro ed all’aurora.
30Parea che avesse i fasci con le scuri.
E poi tornò sotto il gran cielo il carro
fulgente d’armi. Avea con sè gli artieri
e i ferrei conti e i sacerdoti assòrti:
il Popolo era, intorno al suo Carroccio.
35La Città era, che possente, augusta,
usciva con la Chiesa e con l’Arengo
e col suo Santo e col suo Dio; con tutto.
Giunta al nemico, ella dicea col bronzo
della sua squilla: — È presso te Milano,
40che mutò luogo: al modo delle stelle. —
E venne tempo, e patria sola il plaustro
restò. Giaceva la città di pietra.3
E il plaustro parve il Gran Carro di stelle
che intorno a un punto sempre va nel cielo.4
45Ma vennero altri plaustri, altre vaganti
città tranate dai muggenti bovi,
altri raminghi popoli. Fu il mese
d’aprile, il mese che aprono le gemme.
Di fiori in boccia sorridea l’altare.
50Le Martinelle sonavano a gloria.
E il doppio a festa si faceva immenso
e percotea nell’avvenir profondo.
Misto era a scrosci, a voci, a urla, a rombi.
Forse tonava sopra la Redorta.
55Era d’aprile. Il figlio della lupa
quel mese arò con la giovenca e il toro.
Era d’aprile. Dalle tue macerie
nascean, Milano, l’erbe ancora e i fiori.
Vi aveva arato l’arator selvaggio:5
60dal solco fondo germinò l’Italia.
E fu l’Italia giovinetta, eterna,
su te, con te, Carroccio di Milano,
quel fin di maggio! Già sfiorian le rose.6
Andava lento in val d’Olona il plaustro.
65Il distruttore di città lo scorse:
gli si avventò coi cavalier di ferro,
ruppe le schiere, i sacri bovi attinse,7
l’azza scagliò contro la sacra antenna.
Allor su lui con novecento spade,
70splendide al sole, si gettò la Morte.
E quella sera il carro del convento,
il santo carro di Pontida, attese.
Reddiano stanchi i falciatori a vespro,
rossi di sangue, e rosso era di sangue
75il carro, e i bovi, che muggian sommesso.
Ma il canto andava, delle trombe, al cielo.
Rosso era il cielo, che s’empìa di stelle.
Lucean le stelle ai morti. In mezzo, eretto,
si riposava su l’enorme spada
80Alberto da Giussano.8
Note
- ↑ [p. 84 modifica]È Ariberto arcivescovo che sommuove e collega i popolani delle campagne contro i vassalli minori, nel 1037-’39.
- ↑ [p. 84 modifica]È Lanzone, il capitano del popolo milanese contro i nobili, nel 1041 e segg.
- ↑ [p. 84 modifica]Milano distrutta a cominciare dal 26 marzo 1162.
- ↑ [p. 84 modifica]Giuramento nel monastero di Pontida, il 7 aprile 1167.
- ↑ [p. 84 modifica]L’arator selvaggio: il Barbarossa. Vedi sopra a pag. 13, v. 6. Che il Barbarossa facesse arare e seminar di sale Milano, cioè qualche luogo in essa città, a guisa di simbolo, non è inverosimile; certo fu detto e creduto: «trovando la città di Milano che gli s’era rubellata, si l’assediò, e per lungo assedio l’ebbe l’anno di Christo 1158 (67) del mese di marzo, e fecele [p. 85 modifica]disfare le mura, e ardere tutta la città, e arare e seminare di sale...» Vill., I. F., V, cap. 1. Il medesimo racconta fa stessa cosa di Arezzo per opera di Totila in I. 47. E così è affermato in Vita Witichindi di H. Meibomius (R. G. I., pag. 625) «propter rebellionem periura (urbs Mediolani), tyrannidem aliaque scelera a Germanici sanguinis Imperatore solo aequata aratrisque in agri speciem proscissa, non frugis, sed ad ludibrium salis semen accepit». Tacciono la circostanza di tal ludibrio i cronisti e storici milanesi. Essa è raccolta dal Tommaseo in Diz., IV. I 509, e, per non parlar d’altri, dal Carducci nell’ode per l’VIII agosto, vv. 46-47:
. . . . . . . . . .l’ira
Porto, e il ferro ed il sal di Barbarossa.E siffatto rito d’esecrazione, come a condannare alla desolazione eterna di salso deserto il suolo d’una città, è ben antico! Vedi Liber Iudicum, cap. 9, (urbe destructa, ita ut sal in ea dispergeret), Hieronym. in Matth. cap. 5, Glossar. milit. di Carlo d’Aquino, e altri.
- ↑ [p. 85 modifica]Legnano! Il 29 di maggio, 1176
- ↑ [p. 85 modifica]Otto Morena in Hist. Laud. dice che il Barbarossa, non però a Legnano, si gettò contro il carroccio, dove era lo sforzo de’ pedoni, uccise i bovi, portò via la croce e il vessillo. Citato nella diss. cit. del Muratori in Ant. It.
- ↑ [p. 85 modifica]Alberto da Giussano, personaggio forse leggendario dell’epica battaglia. Chi non lo conosce dalla «Canzone di Legnano»?