La Pieve di Dervio/Comune di Dorio
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Comune di DORIO
Il paese è formato da antiche case agglomerate sul pendìo del monte fra due valli con viuzze strette e ripide. Da pochi lustri vanno allineandosi lungo lo stradale provinciale nuove, igieniche abitazioni, ed a lago svolgesi la ferrovia con elegante fermata.
Una tradizione ricorda come il paese in origine fosse a Mondonìco (m. 249) o Mondovìco (paese in monte), come leggesi in qualche vecchia scrittura, dove trovansi tuttora una diecina di case ridotte a stalle e fienili ed alcune altre in sfacelo. Hanno queste basse camerette con avanzi di pavimento, di focolari e finestruole con davanzali d’arenaria. Dal confronto di queste colle più antiche di Dorio ne risulta che breve spazio di tempo dev’essere trascorso fra la costruzione delle une e delle altre. La posizione migliore, la maggior vicinanza al lago, o forse l’aumento rapido della popolazione, spinsero alcuni abitanti a lasciare Mondonìco e formare un nuovo centro che lentamente assorbì quello di origine.
Nel 1631 abitavano ancora Mondonìco quattro famiglie e tre nel 1742 con tredici abitanti ridottisi a sei nel 1762, ed a due nel 1790. L’ultimo abitante di quella terra, Bettega Battista, detto il Mondonìco, si spense in principio di questo secolo.1
Nella seconda metà del XV° secolo Dorio cessò di far parte della comunità di Dervio, formando territorio ed amministrazione propria.
«Le disagevoli e pericolose vie di comunicazione colla Propositurale di Dervio (collegiata battesimale) erano causa di impedimento, specialmente nelle lunghe pioggie invernali, al trasporto dei neonati al fonte battesimale di modo che molti morivano senza battesimo, come molte persone senza l’eucaristico.»2 Per gli accennati fatti e per le insistenti dimande degli abitanti, nel 1506 venne concessa dall’eminente Curia Arcivescovile di Milano la erezione del comune in parrocchia alle condizioni portate dall’istrumento di separazione in data 26 maggio. Con quello i Consoli ed uomini di Dorio a mezzo del loro Sindaco Giacomo Dell’Era fu Giorgio, con speciale incarico a rogito De Campazzi di Corenno, si obbligavano:
Agli abitanti venne accordata la nomina del Parroco, che doveva però essere confermata dal reverendo Proposto di Dervio, cui rimasero: il diritto di decima in ragione di un sessantesimo per le uve, di un quarantesimo per i grani e quello della riscossione di annue Lire 3.10.
Per lunghi anni la Chiesuola di S. Giorgio a Mondonìco servì di parrocchia alle varie terre, dette ville, ed a quella erano annessi: il cimitero, di cui sussistono alcuni avanzi, e la casa parrocchiale.
Il Cardinale Federico Borromeo mentre ordinava di rinnovare la casa parrocchiale, angusta e minacciante rovina, concedeva di erigere la nuova in vicinanza all’Oratorio della Beata Vergine, nel luogo donato da Nicolao Petazo.3 Coll’incendio della vecchia casa, circa il 1678, veniva distrutta anche la sfasciantesi sagrestia.
Nel 1675 era terminata la nuova casa, ingrandita nel 1836, e nel 1676 anche la Chiesa dedicata alla Beata Vergine, fornita di tutte le suppellettili necessarie. Un anno dopo il Cardinale Borromeo permetteva di trasferire la parrocchiale dall’Oratorio di S. Giorgio, abbisognevole di urgenti riparazioni, alla nuova Chiesa che, ampliata nel 1712, venne demolita e rifatta nel 1859.4
Le amministrazioni delle due Chiese, di S. Giorgio e della Beata Vergine, avevano proprie e separate rendite prodotte dall’affitto di alcuni fondi, che vennero concentrate a favore della Prebenda parrocchiale.4
Riconosciuta dal Cardinale Borromeo l’insufficienza della rendita, confermò a favore del Parroco l’annua somma di Lire 400 imperiali, deducendo il solo provento di quei fondi che non avevano pesi di legati. La differenza col supplemento di congrua doveva essere pagata dagli abitanti sotto responsabilità del Sindaco del comune.4 Col volgere degli anni, poche famiglie soddisfacendo al dover loro, l’onere passò intieramente al comune, che lo soddisfa tuttora in annue Lire italiane 198.22.
Nel 1713 il reverendo Parroco, oltre la congrua, esigeva ancora da ciascuna famiglia: boccali sedici di vino, il latte munto l’ultimo sabato di maggio, un carico di legna ed uno di concime, che in seguito andarono abbandonati.
Sullo scorcio del XVIII° secolo il comune era ancora infeudato, come tutti i paesi della Pieve, a don Ercole Sfondrati, al quale annualmente versava lire 22.10 imperiali portate dalla convenzione 3 aprile 1644, già citata. Per le cause criminali era alla dipendenza di Bellano, per le civili di Dervio.
Questa comunità era «per-membro» di Monte Introzzo, però segregata e reggentesi da sè senza alcuna unione fuori che per il bosco Valliscione.
Il comune reggevasi mediante convocato generale dal quale si rivedevano i conti e si nominava il sindaco, che riuniva le cariche di cancelliere ed esattore, e ciò per la scarsezza di uomini adatti ed anche per risparmio di spese.
Il comune era tassato in staja 6 libbre 18 di sale, quota fissa ragguagliata al valore produttivo dell’intiero territorio, esclusi in parte i beni ecclesiastici, nonchè il terreno occupato dalle case e molini; di questi, però, ne esisteva uno solo con una sol macina, inoperoso per la maggior parte dell’anno. L’estimo era stabilito per stima e non per misura, ed ascendeva a lire 7,152, sulle quali erano ripartiti i due terzi dei carichi, in ragione di soldi due per lira. L’altro terzo veniva riscosso colla tassa personale di soldi cinque senza riguardo ad età e sesso, e col focatico in lire tre. Gli abitanti erano in numero di 134 suddivisi in 30 famiglie o fochi. — Il prodotto delle tasse in lire 123.10 essendo insufficiente a coprire le spese locali dell’annata, il sindaco, consumato il reddito, rendeva i conti, ed il convocato passava all’incanto di un nuovo sindaco-cancelliere-esattore che imponeva altra taglia.
Le spese locali importavano circa lire 354, distinte come appresso: al feudatario imp. lire 22.10 — al podestà o giudice per stipendio e visita alle strade 16.1 più soldi 2.6 per ciascun bollo di verifica dei pesi e misure — al fante o messo comunale 7.16 — al sindaco-cancelliere-esattore circa 70 — al console 4 — per il cereo pasquale, cera del Corpus Domini ed ottava, 30 — voti della comunità per messe e funzioni 14.10 — strade 35 — ai campari per difesa dei frutti e dei pascoli 12 — al rev. Proposto di Dervio per la separazione 3.10 — per interessi di capitali, col tasso del 3 e del 5 per cento, 121 — ed altre.
A sopperire alla deficienza di grano ne venivano acquistati annualmente a Como moggia 108, state concesse anticamente dall’ill.o Magistrato, ma non sempre sufficienti, ed in questo caso dovevansi inoltrare nuovi ricorsi per un maggior quantitativo; la spesa di dazio e trasporto importava soldi 35 al moggio. Per sostentare la famiglia e pagare i pesanti aggravi, annualmente i maschi lasciavano la nativa terra in cerca di lavoro ed alcuni la abbandonavano per sempre domiciliandosi altrove.
Il diritto di pesca nelle acque del lago che lambivano le sponde del territorio era di proprietà di don Paolo Rubini da Dervio.5
Coll’elenco annesso alla circolare governativa 19 marzo 1821, il comune veniva classificato fra quelli da reggersi a consiglio, ma con solo agente e cursore senza ufficio proprio, avendo raggiunto il numero dei 300 estimati.
Il consiglio era formato da trenta consiglieri scelti dal governo per due terzi fra i primi cento estimati del comune e per l’altro terzo fra i principali industriali e commercianti; se questi erano in numero insufficiente, si supplivano i mancanti con altri estimati.
I consiglieri duravano in carica per un triennio, rinnovandosi per un terzo ogni anno.
Erano valide le sedute quando i consiglieri raggiungevano il terzo, e le votazioni la maggioranza assoluta.
Per le nomine, radunanze, ecc., si seguiva il regolamento pei convocati (vedi Dervio).
Nulla di rimarchevole presenta la Parrocchiale; nell’Oratorio di S. Giorgio, ristaurato nel 1677 e nel 1804 col concorso dell’ill.o signor Conte Gian Mario Andreani, osservasi una pittura rappresentante in alto il santo titolare e la B. Vergine col Bambino; inferiormente un S. Michele, due Vescovi ed ancora la B. V.; altra figura di Vergine sul muro a ponente. Quella pittura, unica nella Pieve, di vaste dimensioni ed in discreto stato, meno le iscrizioni, porta la data del 1422, abbastanza visibile e testificata da persone degne di fede che la osservarono nella loro gioventù: una croce del 1300, in ottone, coi simulacri degli Evangelisti in alto rilievo, quattro busti di Santi ed un Salvatore. Tanto la pittura che la croce abbisognano di maggior cura e di necessarie riparazioni.
L’Oratorio di S. Rocco (m. 443) sulla «Via ai Monti» costrutto nel 1856 per voto di popolo, ha un buon quadro, dono della signora Marchesa Donna Carolina Triulzio di Milano.
Alla soppressione del vecchio cimitero, posto avanti alla chiesa, altro ne venne costrutto nell’anno 1833, ristaurato ed ampliato nel 1890; desso presenta qualche buona lapide e qualche discreto monumentino.
Quattro terre, o ville, componevano la comunità di Dorio: Mondonìco, Torchiedo, Panico e principale Solmogno, o Solmonio, che fra il 1640-70 prese il nome di Dorio.6 Nell’anno susseguente alla terribile infezione bubonica del 1630, che tanta desolazione apportò alla sgraziata comunità, la popolazione era discesa ad 84 abitanti divisi in 36 famiglie; nel 1716 aveva raggiunto il numero di 170 per ridiscendere a 115 nel 1756.7 In un secolo, al 1856, salirono a 347, aumentando a 531 colla fine dicembre 1897 suddivisi in 85 famiglie.
Gli abitanti si distinguono per la loro attività al lavoro e tenacità a migliorare la loro posizione sociale. Attendono in generale all’agricoltura, ma molti si portano nei vicini paesi od emigrano nella Svizzera impiegandosi come muratori, nella qual arte godono buona fama.
Il vastissimo territorio di Pertiche metriche 9120.35 composto quasi per intiero di boschi, selve castanili e pascoli, ha un estimo fondiario di Lire 6.650.12 oltre quello dei fabbricati in Lire 1,696.08. Il patrimonio comunale ascende a Lire 51,761.
Trovasi il comune aggravato da forti passività assunte per la costruzione della Parrocchiale, riadattamento delle strade, fabbricato ad uso scuola ed uffici comunali, cimitero, e per le molte cause sostenute contro Colico, principiate avanti il 1750, per diritti di pascolo ed altre. L’imposta diretta e la sovrimposta comunale ascesero complessivamente in media nel decennio a lire «una» per ogni lira di rendita; sono in vigore alcune tasse facoltative.
Il pascolo e bosco Valliscione venne diviso nel 1892, dopo altre tentate divisioni, fra i comuni di Introzzo, Sueglio, Vestreno e Dorio, coll’estimo a favore di quest’ultimo. Sul detto Valliscione, Pertiche metriche 4373, gravita il diritto di pascolo per 40 capi di bestiame, nonchè del taglio della legna occorrente al monte di Bedolesso. Questo monte, in principio del 1500, era di spettanza di Baldassare De Campazzi di Corenno; per vendita passò alla Famiglia Rubini di Dervio e nel 1773 alla Nobile Famiglia Schenardi, spentasi nel 1868. A questa succedette il Rag. Carlo Andreani di Corenno, pure per eredità.8
L’acqua potabile, insufficiente al bisogno e non igienica, viene presa da alcuni pozzi e da una fontana che si asciuga nelle siccità estive. Una fonte di acqua minerale, molto ferruginosa e magnesiaca, detta «l’acqua-rossa», trovasi poco lungi dal confine comunale di Vestreno, sotto la chiesuola di Bund (m. 739).
Prodotti: castagne, legna, fieno, vino, granoturco, bozzoli da seta e latticini, insufficienti al consumo del paese.
L’istruzione viene impartita da una Maestra in scuola mista, frequentata da oltre 60 alunni.
Nel comune trovansi: un vasto filatojo con filanda, eretto dai fratelli signori Bettega fu Ambrogio nel 1840-42, ora di proprietà della signora Nava-Comolli, che occupa buon numero di operaje del paese e vicinanze; un cantiere navale, molino da grano, prestino e qualche negozio con merci assortite.
Nel territorio si rinvennero monete di Ottone Primo di Germania, del 900, detti «scudellati» per la loro forma, collo stampo di Milano e di Pavia, ed alcune altre, molto antiche, che andarono disperse. Nella costruzione della linea ferroviaria, tronco di Garavina, venne trovato un bellissimo «Paalstab» o scure dell’età del bronzo; venuto in possesso dell’onor. Senatore Comm. Polti Avv. Achille, questi ne fece dono, graditissimo, al Civico Museo di Como.
Nelle vicinanze di Mondonìco e delle frazioni del Panìco e Torchiedo, fra il 1830-35 si scoprirono alcuni sepolcri in lastroni di pietra mal connessi e di grosse lastre di laterizio coperti con pietre contenenti poco terriccio, piccole ossa, mandibole e crani, ed in alcune sino a quattro scheletri, che al contatto dell’aria in breve cadevano in polvere. Il numero di quelle sparse tombe e quello dei racchiusivi, dànno a supporre sieno state fatte in occasione di qualche grave epidemia, che la tradizione non ricorda, come non ricorda la peste del 1630 che pure colpì fieramente il paese. Altre tombe trovansi ancora intatte in un vigneto di proprietà del signor Conte Lorenzo Sormani-Andreani sotto le case del Panìco ad una profondità di un metro e mezzo all’incirca.
OPERE PIE
Legato Dell’Era — per annua distribuzione di sale a tutte le famiglie, coll’interesse di una Cartella del Debito Pubblico della rendita di Lire 37.
Legato Conte Gian Mario Andreani — testamento 19 agosto 1830 — di Lire 153.60 da distribuire annualmente per soccorso ai poveri, specialmente infermi.
Diritto di concorso alle tre borse di studio a favore di giovani della Pieve instituito dal sunnominato signor Conte.
Note
- ↑ Archivio Parrocchiale — Documenti diversi.
- ↑ 2,0 2,1 Archivio Parrocchiale — Atto di fondazione della Parrocchia.
- ↑ Archivio Propositurale di Dervio — Decreti della visita dell’eminenza Cardinale Federico Borromeo fatta nel 1612.
- ↑ 4,0 4,1 4,2 Archivio Parrocchiale — Documenti diversi.
- ↑ Da una copia della Relazione 18 febbrajo 1751 firmata dal sindaco Carlo Dell’Era, di mia proprietà.
- ↑ Archivio Parrocchiale — La mancanza di molti fogli del Registro non permette di precisarne la data.
- ↑ Archivio Parrocchiale — Documenti diversi.
- ↑ Documenti di mia proprietà.