III - I dèmoni

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II IV

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Capitolo III.

I dèmoni.

L’estate di poi, quando Aquilino prese la sua bella licenza liceale con tanti bei punti, ci si sarebbe dovuto mettere anche il nome della mamma sua, perchè è vero che Aquilino studiò; e con Cicerone e con Orazio parlava quasi a tu per tu di tutte quelle cose sublimi; ma tutte quelle umili parsimonie, quelle minestrine col battuto, coi ceci, e tutte quelle maglie e giubboncini pel mercante, a furia di tic e tac coi ferri da calza, li aveva fatti pur lei!

Ed era perchè tutte queste necessità domandavano la preminenza che i calzoni di Aquilino eran rimasti corti e sgraziati tuttavia.

— Ah, i tempi — diceva talora Aquilino — i tempi, mammina, che era vivo il povero babbo, e portava dalla campagna, e uova, e [p. 15 modifica]formaggi, e polli! Vedi un po’, mammina, se c’è più uno di quelli che tu allora sfamavi, che adesso ti venga almeno a trovare!

E voleva far capire a mamà che quando in casa c’era l’abbondanza, e lei fosse stata meno caritatevole, non si sarebbe, adesso, lesinato così.

— A te ti manca niente? — gli rispondeva la mamma. — No, e allora? Di quello che faccio, so io a chi devo render conto. Caro mio, se dovessimo tutti ragionare come ragioni tu, vedresti che bel mondo!

Su questo punto era inutile discutere con mamà.

*

Aquilino si rifaceva un po’ la domenica quando era invitato a pranzo da una sua zia paterna, di nome Maria Anna, la quale era rimasta zitella e sola. Ella era una donnina un pochino povera di mente e più povera di membra. Parsimoniosa sino allo scrùpolo, era riuscita a vivere con una sua piccola dote: e voleva assai bene, a suo modo, ad Aquilino. «Domenica, Aquilino — diceva — verrai a pranzo da me»; e faceva la spesa grossa in quel dì, come a dire una libbra di [p. 16 modifica]carne; e la minestra di passatini, e gli spinacci con l’uva passa e i pinòli, e talvolta anche la zuppa inglese. E col lesso, traeva anche un prezioso vasetto di carciofini.

Aquilino mangiava e lodava; ma assai più si lodava da sè la zietta. «Il brodino vero, vedi, deve bollire adagino, adagino con il suo sèdano e le sue erbucce; gli spinacci devono covare, covare nella teglia; e la crema senza farina non la sanno far tutti. Vostra madre, già, non ci riesce. Lei è tutta un fru-fru quando fa da mangiare. Già, vostra madre, una superba, una sprecona, che se avesse saputo metter da parte, adesso non si troverebbe a dover lavorare per gli altri, e lavora anche la domenica!»

Questo era lo scotto del desinare; ma poi c’era dell’altro: «Siete andato a Messa, Aquilino? Già vostra madre è libera pensatrice! E perchè leggi, Aquilino mio, tutti quei libracci, e Dumà e Sù? non sai che sono proibiti e conducono a perdizione la gioventù?»

Aquilino protestava per Dumà e Sù.

— Ma sì, che ti vedono in libreria, e me l’hanno detto: quel vostro nipote si guasta la testa! Ha certe idee. Vostra madre vi lascia troppo la briglia sul collo. [p. 17 modifica]

Povera Maria Anna! Da quando aveva dato retta ad alcuni uomini neri, che le fecero togliere quei suoi soldi dalla cassa di risparmio per metterli in ipoteca, che così invece del quattro avrebbe lucrato il sette per cento, la sua pace fu perduta, perchè non vedeva più nè il quattro nè il sette. Quegli uomini neri la accontentavano con facezie: «che bella cera avete, Maria Anna! Beata voi, Maria Anna, che quando avete pensato all’anima vostra, avete pensato a tutto. Ah, quei soldi? Sì, ripassate domani». E le davano il suo a spizzico, come un’elemosina.

*

Aquilino in quei tempi passava — è vero — molto tempo in libreria — come avevano riferito alla zietta, — ma non a leggere Dumà e Sù, bensì a leggere certi autorevoli libri, non antichi e sempliciotti, ma moderni e complicati, che parlavano della catàrsi o palingènesi, o purificazione, o rinnovazione del mondo, prossima da venire. La verità era già in cammino, trainata dalla potente locomotiva della scienza. Sarebbe arrivata alla calende di un maggio luminoso. [p. 18 modifica]

Del che erano dispute fra lui, altri giovani e il vecchio bibliotecario, il quale era dabbene e paziente con quei ragazzi, ma troppo antiquario oramai.

Ma intanto che si aspettava il giorno della purificazione, quegli uomini neri rubavano alla povera zietta; e il suo professore di matematica si era mostrato senza pietà. Quanto lo aveva Aquilino supplicato di mutare il sei in un nove per ottenere l’esonero dalle tasse! «Quel rampino del sei, sia buono, lo volti in giù, professore....»

Irremovibile come il suo virginia sul grosso faccione!

«Ah, farti mangiare tanti fagioli quanti se ne mangiavano in casa!»

E quando vedeva mamà lavorare anche fin tardi, gli veniva su un non so che! E cominciava a dubitare se era bene che tutti gli uomini dovessero godere dei benefici della purificazione del mondo.

Ma più lo tormentava vedere quella povera zietta, che non stava più in piedi oramai, e andare e tornare, con quel suo velo nero in testa, per le vie lunghe, da quegli uomini neri a limosinare il suo....

«Aquilino — diceva la zietta — stanotte [p. 19 modifica]non ho potuto dormire. Son sola sola! Loro m’han detto che adesso i tempi sono difficili per le ipoteche, e che se voglio vivere più sicura, dovrei far vitalizio. Faccio bene? faccio male a far vitalizio? Aquilino! M’han detto che a quelli che fan vitalizio, dànno poi l’acquetta per farli morir prima. Oh, Aquilino, aiutami tu!»

E a quella parola morire, alla povera zietta si era deformata la bocca in giù per la paura.

E Aquilino allora si era fatto forza: aveva imposto, sopra la sua giovinezza, l’armatura del dovere, ed era andato lui nello studio di quelli uomini neri, e come uomo aveva osato parlare. «Poverino! — gli avevan detto — ma che ne capite voi di ipoteche?» E lui dicendo che voleva i soldi, gli avevano detto che lui voleva i soldi della zietta per farne bisbòccia, e che essi pagavano chi dovevano pagare, e che le sue erano tutte esaltazioni di una testa calda.

Era uscito da quello studio con le fiamme sul volto e aveva sùbito pensato di rivolgersi alla legge. Ma dove, ma come si prende la legge? La legge era tutta in mano degli uomini neri, in quella sua città! E dopo, gli venne una rabbia contro la legge, e contro [p. 20 modifica]i Romani che, per quanto ne sapeva, avevano creato essi le leggi. Ed essere stato trattato così da poverino, da poverino, lui, che nei libri si trovava in rapporti di intimità con tanti uomini grandi! Gli venne una bile che stava per scaraventare a terra i suoi libri latini.

Finalmente andò a sfogarsi con mamà. Nella camera dove mamà lavorava, c’era entro una cornice vecchia di legno, dal contorno barocco, quell’imagine di una Madonna, con un profilo bianco, sur un fondo scuro, inclìne e dolce sul pargoletto lattante. Mamà ci teneva acceso davanti il lumino col miglior olio d’oliva, e alcuni fiori ed erbe odorose.

Aquilino andava su e giù per la stanza e raccontava le nequizie degli uomini neri.

— E lasciali fare — disse lei senza commuoversi troppo.

— Ma è un’iniquità!

— E se è un’iniquità? Saran loro che dovran render conto; non tu.

«Già a quella lì! — borbottava Aquilino — Alla Madonna col pupo renderan conto! Eh, povera mamma! Sai quanto faresti meglio a condir di più la minestra con quell’olio.» — E appunto perchè gli voglio far [p. 21 modifica]render conto, — disse forte —; perchè, dopo tutto, quei quattro soldi della zia dovrebbero venire a me....

— Vedi? Vedi che c’è sempre dell’egoismo nel fondo del tuo pensiero? Lascia che se li prenda chi vuole quei maledetti soldi. La tua strada te la farai da per te. Ringrazia piuttosto la Madonna che ti ha dato la salute....

— Già, la Madonna!

— Quella proprio! — e mamà volge il bianco degli occhi, severi, verso Aquilino.

*

Aquilino poi, di nascosto di mamà, si era rivolto a Don Malfattini, il quale era almeno un autentico uomo nero, perchè portava un tricorno di felpa e non unto, un mantello di seta svolazzante sino alle scarpe, e le scarpe con le fibbie d’argento. Era un pretino occhialuto, fino come la polvere, raso come la seta, soave come il miele, che si aggirava con ugual sveltezza tanto tra i banchi delle Banche, come fra gli altari e i tabernàcoli. Grande dovizia egli aveva accumulato con una sua ingegnosa combinazione finanziaria per alleviare le pene dei poveri morti che stanno nel purgatorio. [p. 22 modifica]Così che Don Malfattini aveva potuto indorare tutte le Madonne ed i Santi della sua chiesa, fare molte opere di beneficenza ai vivi, ed essere àrbitro delle elezioni nella città.

Non fu facile per Aquilino afferrare Don Malfattini; egli svolazzava sempre di qua e di là in mille faccende; ma a furia di pazienza, potè afferrarlo per cinque minuti di udienza. Senonchè quando si trovò davanti a quei due lanternoni di occhiali e udì quella voce secca, gli cadde il cuore. Un uomo in partecipazione di affari con Domineddio, avrebbe dovuto possedere una meno arida voce e far segni pietosi col volto, udendo le premesse che fece Aquilino, cioè la devozione di mamà per la Madonna, l’olio d’oliva, i fiori, ed altre delicatezze della pietà e della miseria.

— Già — rispose Don Malfattini. — Ma ci troviamo, signor mio, di fronte ad una pregiudiziale: la di lei riverita madre, nostra parrocchiana e degnissima persona, gode intanto di una pensioncina di cinquantadue lire dal Comune; ella, poi, è studente, cioè in condizione privilegiata e in bella salute, del che mi compiaccio. Ora le nostre instituzioni benefiche sono rivolte a speciali categorie di persone, come liberati dal carcere, fanciulle [p. 23 modifica]sviate dal retto sentiero, piccoli malviventi, deformi....

E numerando queste categorie, Don Malfattini si ritraeva col volto, restringendo le labbra come un vecchio gatto a cui si minacciano buffetti sul naso, e parea dire: «Dolente, ma come vede, ella non è compresa in nessuna di queste categorie!»

Aquilino, benchè con la gola secca, si ingegnò di far capire che egli, in tal caso, era in condizioni di inferiorità rispetto ad un liberato dal carcere, ad un malvivente. Del resto lui non veniva per elemosine, ma per un prèstito. Gli speculatori fabbricano pur le case, e vanno su ipotecando piano per piano! Ora che un giovane per bene offrisse meno di sicurtà che una casa di pietre?

Audace e ingegnoso il giovincello! E Don Malfattini battendo allora le labbra a modo dei pàperi, «Eh, eh!» esclamò come approvando: — «Ma bisogna che mi informi, che prenda le mie referenze, il mio caro figliuolo — disse — .... Ripassi, eh sì, ripassi!»

Ed Aquilino ripassò, ed imparò come sia difficile il verbo ripassare, ma non ottenne niente; perchè ma, perchè se, perchè . perchè Don Malfattini era dolente. Insomma, si [p. 24 modifica]possono, in via eccezionale, sovvenzionare le teste, oltre che le case. Ma le case sono di fredde pietre e la sua risultava essere una testa un po’ calda.

Ah, meglio essere malviventi che teste calde!

*

Marna, quando seppe la cosa, se ne dolse col figliuolo. «Non so — disse scotendo la testa un po’ grigia — perchè tu vada a levarti il cappello a certa gente, che sai come è fatta.»

Aquilino, quel giorno, lagrimò. E c’era un così bel sole di maggio che tutte le viole a ciocche davanti alla Madonna, nella stanzetta di mamà, profumavano all’intorno l’aria, insieme con l’erba cedrina.