La Madonna di Mamà/II
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Capitolo II.
Gli àngioli.
Aquilino si destò il dì seguente col bel sole d’estate e con una vaghezza nel cuore di incontrare nella luce del giorno quel così dolce signore.
— Che buoni confetti, quelli col rosòlio dentro, e le mandorle toste!
— Non sono certo quelli del droghiere, — confermava la mamma, — che c’è più gesso che zucchero; e con quei numeri del lotto, che poi non vengono mai.
Che mattino gioioso! C’erano lì, nella stanzetta, tutti i libri della scuola: un po’ in vacanza anche loro. E i libri di scuola riposavano, un po’ perchè era il mese delle vacanze; e un po’ anche perchè, da qualche tempo, fra il giovinetto ed i libri di scuola si interponevano gli àngioli della terra.
*
Aquilino era oramai entrato in quella beata costellazione dello zodìaco della sua esistenza, in cui davanti agli occhi meravigliati appaiono figure con l’aurèola d’oro in testa, come gli àngioli che i pittori di una volta dipingevano. Erano teste chiomate di giovanette. Oh, quante! Oh, come belle! Con gli occhioni pietosi o sorridenti su di lui. Oh, come pure! perchè, dopo la testa chiomata, non appariva allora che un manto che ventilava, come appunto negli àngioli degli antichi pittori. Spesso la stanza era piena di queste testoline.
Provava una dolcezza di sogno; e tutt’al più — ogni tanto — qualche fremito strano nelle maschili membra; del quale fremito non trovava allora la relazione con tutti quegli àngioli così puri; e insieme col fremito, una gran distrazione. E bisognava proprio che fosse un bravo figliuolo per non abbandonare interamente i suoi libri di latino, di greco, di matematica, che erano proprio niente in confronto degli àngioli.
*
Aquilino uscì, dunque, di casa e non ebbe molto a girare che trovò quel signore, sotto il tendone del caffè dei signori, che sorbiva una granita. Gli stette un po’ davanti, ma non osava accostarsi. Lo riconobbe lui: — Sei tu quel signorino — gli disse — che faceva, ier sera, all’amore con la cocòmera?
Ad Aquilino pareva di dover dire tante parole di riconoscenza; e invece rimase lì un po’ oca mùtola. Il cuore lo spingeva bensì verso colui, ma ora la luce del giorno metteva in rilievo troppa differenza fra quel signore e lui. Non che quel signore vestisse con sfarzo, anzi vestiva un semplice àbito grigio scuro: ma c’era un non so che di troppo fine; come di vellutato, di profumato, che formava una gran distanza fra loro due.
— Prendi, bimbo, un rinfrescativo per bocca? — gli bisbigliò. E ordinò una granita.
Proprio in quel momento transitava lì, davanti al caffè, il vecchio conte Biancolini, uno dei maggiorenti più autoritarî della città. Il quale conte certamente, in mezzo alla gran barba grigia, aveva una bocca: ma Aquilino mai la aveva veduta aperta al sorriso.
Ebbene, in quel mattino, ne vide la bocca sorridente e ne udì anche la voce, perchè quel personaggio così autorevole, appena ebbe veduto l’amico di Aquilino, sorrise; e insieme sventolò la destra in atto di saluto e con voce del tutto amichevole, lasciò cadere queste parole: — Buon giorno, buon giorno, caro Còsimo. — E passò oltre.
— Lei è amico di quello lì? — domandò Aquilino.
— Zitto! Sono il suo maggiordomo. Non ci credi? Ma tu che hai visto, bimbo? hai visto la versiera? il bau—bau?
— È quello lì — disse Aquilino con un trèmito di odio — che quando (voleva dire «mamà» ma si rattenne): che quando abbiamo fatto l’istanza al Comune per un sussidio per poter continuare il liceo, ha risposto che non c’erano fondi; ma che se anche ci fossero stati, era tempo di finirla con la poveràglia che vuol studiare.
— Sai? È un po’ ancien régime....
— Lo so però io cosa mi costa l’ancien régime! Se non era, del resto, per mamà, li avrei già piantati gli studi. Noti che il sussidio c’era, e l’han dato a un altro che era della cricca, e valeva meno di me. Oh, ma verrà la rivoluzione....
Ma capì subito la sconvenienza di quella parola rivoluzione, che gli era rigurgitata dal cuore. Anche quel signore aveva un po’ il profumo di ancien régime.
Ma quel signore non si scompose. — Fai, fai pure! Io come t’ho detto, sono un maggiordomo, e sai? Tutti i camerieri sono partitanti della rivoluzione.
*
Aquilino incontrò anche nei dì seguenti quel signore, e si diè ad osservarlo. Vide che, contrariamente a quella sua gaiezza, se ne stava un po’ appartato dalla gente mondana, come suol fare una persona melancònica. Chi poteva essere? Certo una persona di molto riguardo, perchè altrimenti il conte Biancolini non lo avrebbe trattato così; ed anche altri signori aristocratici lo salutavano con segni di amicizia e rispetto. E quando lo vedeva ben solo, Aquilino faceva a modo del cane smarrito e senza padrone verso l’uomo che ha usato l’imprudenza di buttargli da mangiare, o gli ha fatto una carezza.
— È un poco triste, mi pare, signore! — diceva accostandosi — Che ha?
— No caro, triste; sto rosicchiando dei peeck-frean. Ne vuoi? — E gliene dava.
E così il cagnolino, invece di andar ramingo per la sua via, si accostava sempre di più.
Aquilino avrebbe parlato così volentieri di argomenti serî; e lui invece faceva bizzarri discorsi su argomenti vuoti. — Conosci come è fatta la specialità inglese dei peeck-frean? A Napoli li fanno anche e buoni, e li chiamano tarallucci.
— Sai? Sta attento, bimbo — gli disse una volta, — non ti accostare troppo a me. Io sono una spia segreta dello czar.
E Aquilino non capì, cioè il cagnolino non si smarrì.
Ma una sera dovette capire.
Una sera che c’era la banda al mare, Aquilino era in istato di ebbrezza: profumi di tuberose e gardènie; mare azzurro; e tutte quelle testoline di àngioli, bionde o brune! Il sole tramontando fra incredìbili fulgori estivi, aveva parlato a lui, il sole! alla sua anima giovane per misteriosi segni: «Tu sorgi alla vita, Aquilino!» Poi, dall’altra parte del cielo, era apparsa la luna, ed anch’essa gli aveva parlato, e l’anima di lui si era gonfiata e tremava come le acque inargentate del mare si gonfiano e treman d’amore verso il bel pianeta. E la banda in mezzo al gran popolo suonava, per i clarini e le trombe; ma ad Aquilino pareva una di quelle musiche eroiche che intònano agli uomini l’assalto verso non so quale sublime conquista.
Ma sopra la marmorea terrazza del casino rifulgeva come un olimpo di signore e signori.
Nessun impedimento fra quell’olimpo ed il popolo basso, fuor che una scalea. Ed Aquilino, smarrito, sentiva il bisbiglio del popolo, vedeva gli occhi delle donne, dal basso, rivolti verso lassù: «Quella è la tale; quello dicono che è il suo amante; senti quella come ride! Che brillanti! Buscherata, che brillanti! Quella è tutta dipinta. Adesso usa. Se ridessimo noi così!»
Ma quell’olimpo pareva come ignorare la esistenza di quel pavimento di popolo.
Anche Aquilino stava a guardare lassù. Egli vedeva vivi, di carne, i deliziosi suoi àngioli. Ce ne erano tante lassù di giovinette; e avevano anche il corpo. Oh, come bello!
Oh, i flessuosi corpi, oh, i leggiadri inchini delle teste chiomate! Ma a chi, in quel circolo, quelle giovinette si inchinavano? A chi, come preso e sorpreso, tutti facevano onore? A lui, al suo amico, al bel signore, che gli aveva regalato i confetti e la cocòmera rossa. Parevano tutti come festeggiarlo. E c’era fra quei signori il conte Biancolini, e c’era quel melenso del suo figliuolo, il quale pur gli era debitore, giacchè i compiti di greco (sia pur con qualche compenso), glieli passava lui.
Come una siccità era nella gola di Aquilino e un martellare nel cuore.
Evvia, che una scalea non è insuperabile barriera per chi ha avuto un richiamo dal sole e dalla luna! E se quei signori sono nobili, tu che sei in rapporti con i lucumoni, con gli arconti, coi cesari antichi, sei pur nobile! Perchè ardire e franchezza non hai, come dice Dante?
— Dopo tutto — pensò — vado a fare un salutino a quel signore, mio amico; e a dire ciao! a un compagno di scuola.
E varcò quella frontiera.
E poi? Che cosa era successo poi? Quanto tempo era passato lassù?
Egli si ritrovò ancora giù fra il popolo basso.
Il compagno di scuola aveva arrossito nel riconoscerlo.
E lui, l’amico, che cosa aveva detto?
Aimè! non aveva detto: signorine e signori, io vi presento questo bravo, buono e istruito giovine. Ma con certe sue mosse, aveva bisbigliato: — Guarda, guarda laggiù che ti chiamano.
E il conte Biancolini gli aveva detto:
— Sì, carino, poverino, buona sera.
Quasi gli faceva la limòsina!
Ed egli aveva rifatto quegli scalini, scendendo con la testa in giù, quasi barcollante.
Era stato respinto. Senza che si fossero mossi, tutti lo avevano respinto. Lo avevano appena guardato, e con lo sguardo lo avevan respinto.
Si ritrovava ancora giù tra il popolo basso. Ebbe la fallace sensazione che tutti gli occhi del popolo basso se ne fossero accorti. Oh, vergogna!
Sentiva un fischiare atroce agli orecchi: quell’orrenda parola: Poverino! Guardò i suoi calzoni e li vide. Ah, i miserabili calzoni!