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carne; e la minestra di passatini, e gli spinacci con l’uva passa e i pinòli, e talvolta anche la zuppa inglese. E col lesso, traeva anche un prezioso vasetto di carciofini.

Aquilino mangiava e lodava; ma assai più si lodava da sè la zietta. «Il brodino vero, vedi, deve bollire adagino, adagino con il suo sèdano e le sue erbucce; gli spinacci devono covare, covare nella teglia; e la crema senza farina non la sanno far tutti. Vostra madre, già, non ci riesce. Lei è tutta un fru-fru quando fa da mangiare. Già, vostra madre, una superba, una sprecona, che se avesse saputo metter da parte, adesso non si troverebbe a dover lavorare per gli altri, e lavora anche la domenica!»

Questo era lo scotto del desinare; ma poi c’era dell’altro: «Siete andato a Messa, Aquilino? Già vostra madre è libera pensatrice! E perchè leggi, Aquilino mio, tutti quei libracci, e Dumà e Sù? non sai che sono proibiti e conducono a perdizione la gioventù?»

Aquilino protestava per Dumà e Sù.

— Ma sì, che ti vedono in libreria, e me l’hanno detto: quel vostro nipote si guasta la testa! Ha certe idee. Vostra madre vi lascia troppo la briglia sul collo.