Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Sala.

Gualtiero con guardie.

Gualtiero. Otton fra sue catene a me si guidi;

Parta ciascun. Chi mai provò destino (guardie partono
Più tiranno del mio? Che valmi il regno,
Che mi vale il dominio, or che mi rendo
Ai vassalli soggetto? Amar non posso
Chi piace agli occhi miei. Stringere al seno
Mi si vieta chi adoro, e benchè sposo,
Son costretto a Griselda esser crudele.
Io la veggo languir, piagner la sento,
Nè posso dare al suo martir ristoro.
Sono ingrato e fedel, pietoso e crudo,
E son per colpa altrui meco spietato.

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SCENA II.

Ottone e detto.

Ottone. Tu soccorrimi, amor, tu dammi aita.

Umile inchino il mio Monarca.
Gualtiero.   Ottone,
Pensa pria di parlar, che confessato
È minore il delitto; un reo che niega,
Nuovo fallo commette, e contumace
Per la sua falsità viepiù si rende.
Il vero esponi, e all’ardir tuo prometto
Più facile il perdon.
Ottone.   Non sa mentire
D’Ottone il labbro.
Gualtiero.   Di rapir Griselda,
Dimmi, poc’anzi ardisti?
Ottone.   È ver, tu stesso
Lo vedesti, o Signor.
Gualtiero.   Dove condurla
Destinavi rapita?
Ottone.   In altra parte
Lungi da questi lidi, ove non fosse
In tua mano il ritorla.
Gualtiero.   Ed a qual fine?
Ottone. Sire, pietà, perdon... (s’inginocchia
Gualtiero.   Sorgi, e favella.
Ottone. Quando in trono tua sposa e mia regina
Sedea Griselda, io la mirai co’ sguardi
Di vassallo, e non più. Sa il ciel se mai
Meditò stranamente il mio pensiero.
Dal suo ripudio e da’ suoi mali in seno
Pietà mi nacque, e poi successe amore.
Gualtiero. (Che sento!) Ami Griselda?
Ottone.   Amor fu solo,
Che a rapirla m’indusse. E che non puote

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Entro un fervido sen forza d’amore?

Gualtiero. Ma rapirla, perchè? Nel basso stato
In cui la rimandai, pensi tu forse
Che sprezzato t’avria?
Ottone.   Tentai ogni arte;
Ma sempre invan: chiesi, pregai, promisi,
Lusingai, minacciai, ma nulla ottenni.
Gualtiero. (Sposa fedel!) E di rapirla ardisti?
Ottone. Altra via non trovai per acquistarla.
Gualtiero. Nè ti prese timor dell’ira mia?
Ottone. Timor dell’ira tua? S’amo in Griselda,
Signore, un tuo rifiuto, e di qual fallo
Reo ti rassembro?
Gualtiero.   Con amar chi odio
Mio nemico ti fai.
Ottone.   (Dunque non l’ama).
Errai, Signor, negar nol so, ma pensa
Che leggieri d’amor sono i delitti.
Gualtiero. A’ merti tuoi, a’ quei degli avi, al sangue
Sparso a prò del mio regno, alla tua fede
Diasi l’error.
Ottone.   La tua pietà ti rende
Più che re della terra, eroe del cielo.
Ma come puoi soffrir, ch’una che un tempo
Fu regina in Tessaglia, e fu tua sposa,
Vada raminga in fra le selve errando?
È scorno tuo che il passeggiero additi
Di Gualtier la consorte in rozze lane.
Gualtiero. Che vuoi dirmi perciò?
Ottone.   Che tu potresti
Sollevar l’infelice, e un tuo rifiuto
Non disperder così.
Gualtiero.   Ma come? Io feci
Il voler dei vassalli, e il tuo consiglio.
Ottone. E diletto ai vassalli or ti rendesti.

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Ma se odiavan Griselda in regio trono,

Non desiano Griselda errar fra boschi.
Gualtiero. Dunque che far degg’io?
Ottone.   Sire, permetti
Che mia sposa divenga: allor sarà
Compensato il suo danno.
Gualtiero.   Ottone, intendo.
A me venga Griselda. (ad una guardia che sta alla porta
Ottone.   (E che fia mai?) (da sè
Gualtiero. Vedi s’io t’amo. Il giuro, Ottone, allora
Ch’io mi sposi ad Oronta, avrai Griselda.
Ottone. Oh dono! oh gioia! al regio piè prostrato,
Lascia che del favor... (s’inginocchia
Gualtiero. No, prima aspetta
Che la grazia s’adempia, e poi la rendi. (Ottone s’alza
Vanne, e fra pochi istanti il tuo destino
Si compirà.
Ottone.   Chi più di me beato!
In un punto cangiar vidi la sorte? (parte
Gualtiero. Numi, che intesi mai! Otton fu quello
Che promosse il ripudio, ed or si scopre
Amante di Griselda? Ah che costui
Forse l’origin fu del fier tumulto:
Egli forse tentò trarla dal trono,
Per poterla acquistar. Numi del cielo,
Non mi celate il vero, onde Griselda
N’abbia in faccia del mondo il degno merto.

SCENA III.

Griselda e detto.

Griselda. Lieta incontro, o Signore, i cenni tuoi.

Gualtiero. (Viepiù vaga rassembra agli occhi miei).
Griselda, in questa reggia un tempo fosti
Regina, ed or sei serva; or l’incombenza
Del nuovo stato adempi.

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Griselda.   E che far deggio?

Imponimi, o Signor, sarò ubbidiente,
Fuor che al cenno crudel di non amarti.
Gualtiero. L'ora già s’avvicina, in cui degg’io
Meco guidar la nuova sposa al trono;
Tu le pompe disponi, e direttrice
Sollecita de’ servi il folto stuolo.
Sovvengati quel giorno, in cui tu stessa
Salisti all’alto grado, e fa che sia
L’apparato maggior, quanto la sposa
È maggiore di te.
Griselda.   M’avanza Oronta
In fortuna, in beltà, ma non in fede.
Gualtiero. Che diresti perciò?
Griselda.   Che quale io fui,
Sempre fida sarò: che i cenni tuoi
Eseguiti saran.
Gualtiero.   Ma ciò non basta:
Vanne dalla mia sposa; a lei favella
Del sincero amor mio, dille che udisti
Questi del labbro mio sensi amorosi.
Tu sei l’anima mia, tu sola puoi
Donar pace al mio cor. Nel tuo bel volto
Miro l’astro che regge il mio destino.
Idolo mio, se mi vedessi il cuore,
Ti farebbe pietà.
Griselda.   Gualtier, favelli
Meco così?
Gualtiero.   Parlo ad Oronta.
Ti sdegni forse?
Griselda.   M’ingannai; ma siegui,
Che l’inganno m’offende, e pur mi piace.
Gualtiero. Dille per me così: Sposa adorata,
Giuro pria di morir, che non amarti.
Troppo, oh Dio, mi piacesti; e troppo io sono

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Acceso del tuo fuoco, anima mia.

Griselda...
Griselda.   A me, signor?
Gualtiero.   Così Griselda
I sensi di Gualtier narri ad Oronta.
Griselda. Misera! E che m’imponi? Io sarò dunque
Sì crudele a me stessa? Io porger devo
Altrui conforto, e a me dar morte? Ah Sire,
Qual dura legge è questa?
Gualtiero.   Una tal legge
A te impone il tuo Re.
Griselda.   Chino la fronte
Al decreto real.
Gualtiero.   Troppo funesti
Il giubilo comun col tuo cordoglio.
Rasserena la fronte, e spettatrice
Colà frena i sospiri. Ancor del pianto
Ti divieto il conforto. Abbia il tuo core
Un termine prescritto alla tua pena.
Non lasciar ch’io ti vegga umido il ciglio,
Non sospirar, non ti lagnar. La sposa
Non guardar con isdegno, e ti rammenta
Di servir e tacer. (Misera sposa,
Quanto sento pietà del tuo cordoglio!) (parte
Griselda. Anche nel mio dolor, nel mio tormento
M’è vietato il lagnarmi? Ahi dura legge
Di fortuna crudel! Dovrò nel seno
Sentir la pena, e poi tacer l’affanno?
Troppo barbari siete, astri nemici,
Se negaste anco il pianto a chi vi chiede
O soccorso, o pietà. Ma già dispero
Di pietà e di soccorso. Io già mi sento
Presso al fin della vita, e se mai posso,
Vo’ nell’estremo de’ miei giorni ancora
Una prova lasciar di mia costanza. (parte

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SCENA IV.

Corrado e Roberto

Roberto. Ho risolto, german, partir vogl’io,

Tenti invano arrestarmi.
Corrado.   Un tal pensiero
A te sembra prudenza, ed è viltade.
Roberto. Dunque restar dovrei per esser scherzo
D’un crudele destin?
Corrado.   Non è crudele
Forse quanto tu pensi il tuo destino.
Roberto. Che può farmi di più, se l’alma stessa
In Oronta mi toglie?
Corrado.   Anzi tu stesso,
Se risolvi partir, di lei ti privi.
Roberto. E se resto, che ha?
Corrado.   Non perdi affatto
Di goder la speranza.
Roberto.   Ormai son stanco
D’una vana lusinga. Ho già risolto.
Corrado, addio. (in atto di partire
Corrado.   E partirai, Roberto,
Senza Oronta mirar?
Roberto.   So1 che in mirarla
S’accresceria il mio duolo.
Corrado.   (Oh Ciel! vorrei
Arrestarlo, e non posso). E vuoi che ingrato,
Che incivile ti chiami?
Roberto.   Io dovrò adunque
Aspettar di mirarla ad altri in braccio?
Corrado. Questo aspetta, e poi parti.
Roberto.   Ah tu m’uccidi!
Corrado. S’io t’uccido, Roberto, ecco colei (mostrando Oronta
Che può2 darti la vita; in quel bel volto

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Fissa ancor una volta i sguardi tuoi;

Indi, se ti dà il cor, lasciala, e parti. (parte
Roberto. Oronta! Partirò senza mirarla. (in atto di partire

SCENA V.

Oronta e detto.

Oronta. Ferma, Prence, per poco; e partir vuoi

Da questa reggia ove il tuo cor mi lasci,
E donde il mio t’involi? E senza darmi
Uno sguardo ten parti? e senza dirmi
Addio, crudel, tu m’abbandoni? Io tanto
Non ti credea di ferità capace.
Sai ch’io t’amo, tu m’ami, ed esser vuoi
Ingrato all’amor mio, empio a te stesso?
Roberto. Oronta, una Regina ed una moglie
Che da me può voler? Vederne i pianti?
Ascoltarne i sospiri?
Oronta.   (Onor tiranno,
Offensor di natura, a che m’astringi?
Amor, nodo soave, ove mi guidi?
Men colpevoli siete, affetti miei,
Quanto più siete infidi; e se tradisco
L’amor mio, la mia fè, son meno rea).
Va pur, Roberto, e già che tal mi lasci,
Sappilo per tua gioia, o per tua pena:
D’altri fia questa man, tuo questo core.
Roberto. Deh per pietà, cessa d’amarmi, o il taci,
E porterò lontan nel dubbio mio,
Se non più franco, almen più ratto il piede.
Gran lusinga all’indugio esser potrebbe
Questa sua fedeltà.
Oronta.   Va pur, Roberto,
Va pur, che alla partenza anch’io t’affretto;

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Gran periglio è l’indugio all’amor mio.

Parti.
Roberto.   Vado, mio ben; ma quando lungi
L’infelice sarà tuo fido amante,
Che dirai, che farai?
Oronta.   Pianti, sospiri
Tramanderò dal cor: la tua memoria
Sarà l’unico oggetto del cor mio;
E tu, qualor saprai che la tua fida
Fia d’altrui sposa, che farai?
Roberto.   Deh taci!
Morirò disperato.
Oronta.   Oh cruda sorte!
Roberto. Barbaro, ingiusto amor, tu che cagione
Or sei del nostro amaro duolo estremo,
O per sempre m’unisci, o qui m’uccidi.
Oronta. Questi sono i miei voti: amor tiranno,
O eternamente queste destre unisci,
O vicino al mio ben dammi la morte.
(si prendono per mano; in questo


SCENA VI.




Griselda e detti.



Griselda. E per sempre vi unisca amor pietoso,
Felicissimi amanti.
Oronta.   Ahimè!
Roberto.   Griselda!
Griselda. Con sì tenero affetto, o Principessa
Vai consorte allo sposo? E tu, Roberto,
Con sì bella onestà, con tal rispetto,
Vieni amico alla reggia? È questa, è questa
Dell’Imeneo la pura intatta fede?
Dell’ospizio real la giusta legge?

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Nel dì delle sue nozze entro sua reggia

Un marito non ami? Un Re non temi?
Oh indegni affetti! Oh vilipendi indegni!
Oronta. (Misera!) (da sè
Roberto.   (Che dirò?) (da sè
Oronta.   Sappi, Griselda,
Che innocente è il mio affetto.
Roberto.   Io non offendo
Con impuro pensier l’ospizio regio.
Griselda. E i sospiri? Ed i pianti? Onesta moglie
Non ha core nel sen, voce nel labbro,
Che per lo sposo: all’onor suo fa macchia
Anco l’ombra leggiera, anco un fugace
Passeggiero desir. No, no, il mio zelo
Tacer non può. Saprallo il Re; l’offende
Chi le gravi onte sue simula e tace.
Oronta. Deh Griselda, pietà, lo giuro ai numi,
Che è innocente il mio affetto.
Griselda.   Oh degli amanti
Scandoloso pretesto! E saran dunque
Atti sol di virtù sospiri e amplessi?
Due giovinetti nell’età fiorita
Stan parlando d’amore; e creder deggio,
Che sia pien d’innocenza il lor colloquio?
Semplice non son tanto. Eh già comprendo
Del vostro cor l’arcano, e un tale arcano
Deggio svelar al Re.

SCENA VII.

Gualtiero e detti.

Gualtiero.   Griselda?

Griselda.   (Oh numi!) (da sè
Gualtiero. Perchè tu sì sdegnosa? E voi bell’alme,
Perchè confuse?

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Griselda.   (E dovrò dirlo?) (da sè

Gualtiero.   Esponi.
Griselda. Non m’astringer, ti prego, invitto Sire,
A ridir ciò che vidi.
Gualtiero.   E che vedesti?
Parli Oronta. Tu taci? Almen Roberto
Sciolga il labbro. Che fia? Roberto ancora
Riman confuso, e tace?
Griselda.   In quel silenzio
Comprendi il suo delitto.
Gualtiero.   E fia capace
Di delitti quel cor?
Griselda.   Sovente inganna
La modestia del volto, in quella guisa
Che tra i fiori del prato il serpe inganna.
Gualtiero. Ma qual è la sua colpa?
Griselda.   Ah, che non posso
Più tacerla, o Signor. Roberto e Oronta
Vivon riamati amanti, e quivi io stessa
Testé gl’intesi a ragionar d’amore.
Gualtiero. E perciò ti sdegnasti?
Griselda.   Ancor riserbo
Zelo dell’onor tuo.
Gualtiero.   Mostri che nata
Sei fra boschi, o vil donna. E che? Ti trassi
Dalla capanna tua, perchè tu vegli
Sugli affari reali? Eh ti rammenta,
Ch’altra è la regia sposa, e che sei serva.
Oblia qual fosti, e le tue leggi adempì.
Griselda. Ma quel zelo, o Signore...
Gualtiero.   Io non tel chiedo.
Griselda. Il rispetto...
Gualtiero.   Lo devi alla mia sposa.
Griselda. Ma se pell’onor tuo...
Gualtiero.   Ma chi ti elesse

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Del talamo custode? E che ti cale,

Ch’abbia Oronta gentil più d’un amante
Che divida il suo cuor, che ami a sua voglia
O Roberto, o Gualtier?
Griselda.   Ne ami anche cento,
S’è contento Gualtier, m’accheto anch’io.
Oronta. (Che intendo io mai!) (da sè
Roberto.   (Che mai sperare io posso!)
Gualtiero. Udisti? (a Griselda
Griselda.   Udii; ma ti sovvenga, o Sire,
Che son l’opre de’ re leggi a’ vassalli,
Che troppo tristo è per natura il mondo,
E che se aggiungi al rio costume odierno
Il tuo esempio, o Signor, vedrai fra poco
Rapir le spose, i talami traditi,
E la fè coniugal mandata in bando.
Gualtiero. Troppo dicesti ormai; e col tuo labbro
Troppo, femmina vile, Oronta offendi.
Ti sovvenga il suo grado.
Griselda.   È di regina.
Gualtiero. Ti sovvenga il tuo uffizio.
Griselda.   Egli è d’ancella.
Gualtiero. E se tal per altrui arder la miri...
Griselda. Cieche avrò le pupille.
Gualtiero.   E se la senti
Favellare d’amor...
Griselda.   Sordo l’udito.
Gualtiero. E se sugli occhi tuoi fia che a Roberto
Scopra talor dell’amor suo l’ardore,
Non trasgredir le leggi, e servi, e taci.
Griselda. L’alte tue leggi adempirò qual deggio,
Sofferendo e tacendo; e qual tu sei,
Cieca e sorda sarò. Seguite pure,
Felicissimi amanti, il vostro gioco;
Non temete di me, che se il Re tace,

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Ed il Re si contenta, io più non parlo. (parte

Roberto. (Temo). (da sè
Oronta.   (Pavento). (da sè
Gualtiero.   Ah non estingua adesso
Fredda tema, e importuna, il vostro ardore.
Oronta. Perdona; non vorrei, se offeso avessi
L’onor tuo, l’onor mio...
Roberto.   Perpetuo esilio
Volontario prendea.
Gualtiero.   Tacete omai,
Che più del vostro amor, questa m’offende
Importuna discolpa. Il cielo approva
Il vostro amor. Col non amar Roberto
Rea ti faresti, Oronta, e tu più reo,
Se da lei ti dividi. Io vel consiglio:
Proseguite ad amarvi, e non temete;
Con ciò non m’offendete, e non risento
Gelosia d’un amor che non m’oltraggia.
E se timor l’aspetto mio vi reca,
Parto, miei cari, e in libertà vi lascio. (parte
Roberto. Non m’inganno?
Oronta.   Lo credo?
Roberto.   Udii?
Oronta.   Sognai?
Roberto. Vuole il Re che non parta, e tu qui resti?
Oronta. Vuol lo sposo ch’io t’ami, e me lo impone?
Roberto. Oimè, Oronta, io temo.
Oronta.   Anch’io pavento.
Roberto. Che risolvi, mio ben?
Oronta.   Che mi consigli?
Roberto. E periglio il restar.
Oronta.   Colpa è l’amarti.
Roberto. Ma se il Re m’assicura?
Oronta.   E se Gualtiero
Ad amar mi consiglia?

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Roberto.   Io dunque resto.

Oronta. Dunque amarti risolvo.
Roberto.   E giuro a’ numi
Di morir, idol mio, pria di lasciarti. (parte
Oronta. D’una sì bella fè, d’un tanto amore
Sieguo l’esempio anch’io. Può ben la sorte
Far ch’io non viva più, non ch’io non t’ami.
Ah no, che dici, sconsigliata Oronta?
Tu consorte a Gualtier tradir lo sposo?
Ma tu potrai del tuo Roberto accesa
L’amante abbandonar? Leggi tiranne
Di dovere e d’amor, voi mi rendete
Confusa, incerta, e non sa darmi il core,
Fra gli opposti pensieri, il suo consiglio. (parte

SCENA VIII.

Atrio con trono.

Griselda, guardie; poi Roberto ed Oronta.

Griselda. Ite, ministri, e accelerando andate

L’apparato e la pompa; in dì sì lieto
Esultino i vassalli, e più giuliva
Del suo signor serva la Reggia al cenno.
È legge del mio Re, ch’io stessa affretti
L’apparato festoso, e che superba
Colla tragedia mia renda la scena.
Itene dunque, e siansi queste stanze
Preparate alle nozze. Ivi Gualtiero
S’assiederà colla sua sposa, ed io
Custode veglierò nel suo riposo.
Là Gualtier gioirà fra’ suoi contenti,
Ed io qui piangerò le mie sciagure;
Ma no, che il pianto ei mi divieta, e vuole
Che asconda il mio dolor. Sì, asconderollo

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Fin che morte sen venga, e ancor morendo

Serberò del mio Re l’alto comando.
Almeno il figlio mio stringer potessi,
Fuss’egli meco almen: ma temo (oh Dio!)
Che il traditor gl’abbia trafitto il seno.
Il genitore meco almen qui fosse;
Ma temo (oh Dio!) che della mia partenza
L’abbia ucciso il dolor. Potessi almeno...
Ma qui Oronta e Roberto! Io mi ritiro,
Il Re ubbidisco, e in libertà li lascio.
(si ritira in disparte
Oronta. Eccomi, o Prence, sul fatal momento
Di perderti per sempre, e pure ancora
T’amo, bell’idol mio.
Roberto.   Quivi Gualtiero
Ci vuole uniti, e perchè mai? L’arcano
Io comprender non so; ma ad onta ancora
D’ogni avverso destino, io voglio amarti.
Oronta. E vo’ teco morir, Roberto amato,
O vivere con te. (Griselda si fa vedere
Roberto.   Ma qui nascosta
Tutto vede Griselda.
Oronta.   Oh me infelice!
Tutto a Gualtier dirà.
Griselda.   Non vi turbate,
Non temete di me, poichè son cieca.
Roberto. Io da Oronta prendea l’ultimo addio.
Oronta. Imponeva a Roberto il suo congedo.
Griselda. Meco invan vi scusate. Io già son sorda.
Oronta. E vicina al gran passo, e con intorno
Tanti affanni e timori, ancor non giungo,
Roberto, a disperar.
Roberto.   Quest’è un inganno
Dell’ardente desio. Sembra lontano,
Quanto appunto è vicin, nostro periglio.

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Oronta, è questi il trono: il Re già viene;

Più mia non sei; ma di mia fede eterna
Prendi la destra in pegno.
Oronta.   Amata destra!
(si prendono per mano
E perderti dovrò?
Griselda.   Seguite pure.
Non temete di me, son cieca e sorda.
Oronta. Crudelissimo fato!
Roberto.   Empio destino!
Griselda. (Ecco il Re: non si sdegna? che vuol dire
Questa sua stupidezza? Io noi comprendo), (da sè

SCENA IX.

Gualtiero, Corrado; poi Ottone, guardie e popolo; poi Everardo e detti.

Gualtiero. Griselda, è pronto il tutto?

Griselda.   Altro non manca,
Che il sovrano tuo impero.
Gualtiero.   Impaziente
È l’amor mio.
Griselda.   Anco Griselda amasti.
Gualtiero. La sua viltà le chiare fiamme estinse.
Griselda. Per la nuova tua sposa ardano eterne.
Non pretender però, Signor, da lei
Della mia tolleranza i rari esempi.
Io, che vil donna in dura sorte avvezza,
Non ho il sangue reale, io soffrir posso.
Ma lei, figlia di Re tra gli agi avvezza,
Mal potrebbe soffrir l’onte e i disprezzi.
Oronta. (Oh bontade!) (da sè
Roberto.   (Oh virtude!)
Gualtiero.   (Il cor mi spezza).
Corrado. Che più chiedi, o Signor? (piano a Gualtiero

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Gualtiero.   Chiedo l’estrema

Prova del suo valor, di sua fortezza. (a Corrado
Venga Ottone.
Corrado.   Ubbidisco. Ah pensa pria,
(piano a Gualtiero
Che per troppo voler poi non t’inganni.
Gualtiero. Nel bel cor di Griselda io già m’affido.
(piano a Corrado che parte
Di Roberto ed Oronta io veder deggio
Sempre timido il ciglio? Ha costei forse
Novamente sturbati i vostri amori?
Griselda. Perchè deggio sturbar ciò che ti piace?
Gualtiero. Tu non parli, Roberto?
Roberto.   È troppo grande,
Sire, l’affanno mio; parlar non posso.
Gualtiero. Ed Oronta pur tace?
Oronta.   Ah il mio dolore
M’impedisce il parlar.
Gualtiero.   Fra pochi istanti
Non direte così.
Roberto.   (Numi, che fia?) (da sè
(in questo Corrado, Ottone, guardie e popolo
Corrado. Ecco Ottone a’ tuoi cenni.
Ottone.   Invitto Sire, (s’inginocchia
Abbi di me pietà.
Gualtiero.   Sorgi. Griselda,
Accostati.
Griselda.   Ubbidisco. (Oh ciel, che fia?) (da sè
Gualtiero. Assai finor, donna, soffristi. È degno
Di premio il tuo coraggio; ed ho pietade
Del tuo dolor. Più non sarai, Griselda,
Pastorella ne’ boschi, o ancella in corte;
Ma sarai...
Griselda.   Che sarò?
Gualtiero.   Sposa d’Ottone.

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Ottone. (Gioie, non mi uccidete). (da sè

Griselda.   Oh dei, che ascolto!
Io consorte d’Ottone?
Gualtiero.   Egli è il più forte
Sostegno del mio scettro; e tal che puote
Compensar i tuoi danni.
Griselda.   Io di colui
Che ancor del sangue d’Everardo ucciso
Ha fumante la spada?
Gualtiero.   Elà!
(esce una guardia con Everardo
Griselda. Che miro?
Gualtiero. Eccoti vivo il figlio.
Griselda.   O figlio, o dolce
Conforto del mio cor!
Gualtiero.   Solo ad Ottone
Devi sì cara vita; egli dovea
Ucciderlo, e nol fece: ei lo nascose,
Perchè troppo ti amò. Giusta mercede
Or della sua pietà fia l’amor tuo.
Ottone. Ai comandi d’un Re, se non ai prieghi
D’un amante fedel, cedi, o Griselda.
Griselda. Ah mio Sire...
Gualtiero.   Ubbidisci, io tel comando.
Griselda. Mio Re, mio nume, e per fatal destino
Mio sposo un tempo, e mio diletto ancora,
Se de’ tuoi giusti cenni in ogni tempo
Legge mi feci, il sai: dillo tu stesso.
Popoli, il dite voi, voi che il vedeste.
Mi ritogliesti il regno, io noil pretesi;
M’imponesti l’esiglio, ed io v’andai;
Tornai ninfa alle selve, e fui contenta;
Venni ancella alla reggia, e fui paziente.
Mali, rischi, sciagure, onte e disprezzi,
Tutto, tutto soffersi; e lo soffersi

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Senza dirti crudel, senza chiamarti

Sconoscente, spietato: e di più ancora
Per te farei. Ma che d’Otton sia sposa;
Che sia d’altri il mio cor, la fede mia?
Mi perdona,3 Gualtiero. E questo il dolce,
Il caro ben, che prediletto e solo,
Libero dal tuo impero io m’ho serbato.
Tua vissi, e tua morrò; nè sperar mai
Di vincer per lusinghe, o per minaccie,
Questa dell’alma mia ferma costanza.
Gualtiero. (Lagrime, non uscite!) Omai risolvi:
O d’Ottone esser devi, o pur di morte.
Griselda. Morte, morte, o Signor.4 Servi, custodi,
Inventatevi pur nuovi tormenti,
Per inasprir la morte mia. La gloria
Chi avrà di voi del primo colpo? Ottone,
S’altro di voi non v’è più fier ministro,
Venga, mi svena, e dal mio core impari
Come serbasi fede al primo amore.
Ah, che per rio destin tutti crudeli
Son per troppa pietà: sposo adorato,
Dalla tua bella mano un colpo chiedo;
Se pur cader per una man sì cara
Non è vita felice, anzi che morte:
Pur sia pena, o sia dono, a te la chiedo.
Fa ch’io vada agli Elisi ombra superba
Con l’onor di tua fede, e che ivi additi
Per mio sommo trofeo le tue ferite.
Opra già di sua man, or del tuo braccio5,
Pria che d’esser d’Otton, questo m’eleggo
Termine de’ miei dì. Della mia vita

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Non ti caglia, o Signor: solo ti priego

Per il tenero mio caro Everardo,
Per quel figlio, che pur è figlio tuo;
Che s’ebbe madre vil per sua sventura,
Ebbe un padre real per sua fortuna.
Questo ti raccomando; a lui perdona
Una colpa innocente. Addio, Everardo,
Addio, figlio diletto: io spero un giorno
Che piagnerai nell’ascoltar gli eventi
Della misera tua madre infelice.
Via, che tardi, Gualtier? Quel ferro impugna.
Passami il sen, nè dubitar ch’io chiami
La tua destra crudel; morrò qual vissi
Fida, ubbidiente: intrepida offerisco
L’inerte petto. Aprilo, Sire, e in esso
Ritroverai la tua diletta effigie.
Passami il sen, svellimi il core, io voglio,
Pria che viver d’altrui, di te morire.
Gualtiero. Non più, cor mio, non più, vieni al mio seno,
Qual mia sposa ti stringo.
Ottone.   (Oh me infelice!)
Gualtiero. Popoli di Tessaglia, che rei siete
Del cielo e del Re vostro, ormai vedete
Qual Regina a voi scelta6, a me qual moglie.
La virtù, non il sangue è che la rende
Degna della corona, e ben scorgete
Di Griselda qual sia l’alta virtude.
Simulai seco sdegno a solo fine
Che scopriste voi stessi il vostro inganno.
Pentitevi, alme ingrate, e a lei rendete
La dovuta giustizia.
Corrado.   Il lor silenzio
La confusion dimostra, e il pentimento.
Gualtiero. E Otton che dice?

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Ottone.   Io ti discopro il vero.

Il pubblico tumulto è una mia colpa;
Io ne fui promotor, io fui, che spinto
Dall’amor di Griselda, indussi il regno
Più volte all’ire. Ebber gran forza i doni
Nell’anime volgari, e nelle grandi
Ebbe7 colpa l’esempio. Eccomi, o Sire, (s’inginocchia
Pentito al fine, e la mia pena attendo.
Gualtiero. Mi basta il tuo dolore, e ti perdono.
Ma tu taci, Griselda? E lieta appena
Al tuo amico destin mostri la fronte?
Forse non gli dai fede? o forse intera
Non è ancor la tua gioia?
Griselda.   Io tel confesso:
La sciagura d’Oronta or mi dà pena.
Era degna di te.
Gualtiero.   Dimmi, Griselda:
Sposa del padre è mai la figlia?
Griselda.   Come!
Gualtiero. Se ne dubiti ancor, Corrado il dica.
Corrado. Consolati, Griselda, Oronta è quella
Che piangesti trafitta.
Griselda.   Oh figlia!
Oronta.   Oh madre!
Roberto. (Ora torno a sperar felice sorte). (da sè
Corrado. Quest’è colei che consegnommi in fasce
Il Re Gualtier, quando la prima volta
Si sollevaro8 i popoli soggetti.
Vide che lor spiaceva una tal figlia,
Onde ucciderla finse, e a me la diede,
Perchè al Re di Sicilia in di lui nome
Consegnar la dovessi: ivi cresciuta
Coll’amor di Roberto, ora ritorna
Della sua vera genitrice al seno.

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Griselda. Ben mel predisse il core, e non l’intesi.

Oh dolcissima figlia, al sen ti stringo!
Oronta. Cara madre diletta, umil t’abbraccio.
Gualtiero. Roberto, è tempo omai che la tua fede
Abbia il merto condegno: io ti concedo
Oronta in moglie.
Roberto.   Oh me felice appieno!
Prendi, o cara, la destra.
Oronta.   Eccola. Io sono
Ben tre volte felice allor che acquisto
Genitor, genitrice e sposo a un tempo.
Gualtiero. Vieni, sposa diletta, in su quel trono
Or più che mai dovuto alla tua fede:
Vieni, e teco conduci il caro figlio.
In esso riconosca un degno erede
Del mio trono Tessaglia, e se v’è alcuno,
Che s’opponga al decreto, or si produca.
Corrado. Tutti approvan, Signor.
Ottone.   Più non temere,
Me pentito, trovar chi ti contrasti.
Griselda. Vengo a felicitar il cor di sposa,
Vengo a beare il cor di madre, e vengo
A risarcir della mia gloria i danni.
Apprender puole9 O dal mio esempio il mondo,
Che grande non è sol chi nasce tale,
Ma chi tal per virtù rende se stesso.
Chi ha l’onore e la fè per suoi compagni,
Non può errar della gloria il bel sentiero.
Ignobile non è chi ha l’alma grande,
Nè vile è mai chi ha la virtude in seno.


Fine della Commedia.

  1. Nel testo dell’ed. Zatta: No.
  2. Nel testo: puoi.
  3. Così nella Griselda d’Apostolo Zeno. Nell’ed. Zatta si legge: Ma perdona.
  4. Così nella Griselda dello Zeno. Nell’ed. Zatta c’è una semplice virgola.
  5. Così il testo. Lo Zeno, dice più semplicemente e chiaramente: “Fa ch’io vada agli Elisi, ombra superba, - Con l’onor di mia fede; e ch’ivi additi - Le tue belle ferite, - Opra già de’ tuoi lumi, or del tuo braccio”.
  6. Nella Griselda dello Zeno: Qual Regina ho a voi scelta.
  7. Nel testo: Ecco.
  8. Ed. Zatta: sollevarono.
  9. Forse puote.