La Famiglia De-Tappetti/IX - Rivolta femminile
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IX.
Rivolta femminile.
Sono le otto e tre quarti di sera. Sul tavolino, coperto da un vecchio scialle a scacchetti verdi e turchini, risplende un lume a petrolio col piede lucido per l’untume, il cristallo incrinato e un giornale ridotto a paralume col sussidio d’una spilletta arrugginita e di due mollichelle di pane masticato. Questo paralume, da oltre due anni, forma l’orgoglio dell’autore, Policarpo De-Tappetti, il quale, con gli occhiali sul naso e il labbro inferiore penzoloni, sta rifacendo la punta a un par di vecchi pedalini che paiono rosicchiati dai sorci. Agenore, con un paio di forbicette, fa una quantità di ritagli di carta, ai quali, mentalmente, si propone d’appiccare il fuoco, appena i genitori abbiano voltato le spalle. La signora Eufemia, vestita di percalle a righe pistacchio, è sprofondata nel vecchio monumentale seggiolone comprato all’asta pubblica per lire 14,75, e destinato a serbatoio di pulci per uso esclusivo della famiglia. La signora Eufemia è assorta nella lettura di un mezzo foglio, dentro al quale Rosa ha portato la senape destinata ai pediluvii di Policarpo.
L’attenzione della signora Eufemia è concentrata su questo breve resoconto:
— Domenica le donne radicali di Parigi tennero un gran comizio. Luisa Michel teneva la presidenza. Era vestita di nero. Essa disse: “È giunta l’ora della rivolta per le donne. Il codice civile è fatto contro di lei; essa lo deve riformare. Se essa lo avrà sarà libera. Vi dovete rifiutare a lavorare se non vi pagheranno come volete„. Martel disse: “L’uomo è un animale tanto basso, che non ve n’è alcuno che lo equipari. Mercanteggia il cibo alla donna, quando non glielo ruba„. Un’altra donna, la cittadina Grippa, disse: “Rifiutatevi di dare i vostri amplessi agli uomini. Non siate più operaie, se non vi mettono allo stesso livello dell’uomo: non siate più donne perdute: scioperiamo. Lo Stato dovrebbe indennizzare la donna tutte le volte che questa prestasi a farsi fecondare„.
Questa lettura getta il turbamento nel cervello ancora verginale, nonchè idiota, della signora Eufemia, mentre Policarpo, da cinque minuti sani, si riprova inutilmente a introdurre il filo nella cruna dell’ago. Agenore, con la fatale irriverenza di questo secolo, guarda gli sforzi del genitore con sorriso di scherno.
Policarpo ci si prova ancora sei o sette volte, poi si inquieta e dice a Eufemia:
— Fammi il piacere d’infilarmelo tu, perchè io non ce la fo.
E volgendosi al piccolo Agenore:
— E non è lecito a qualsiasi prole ostentare la prevaricazione d’una perniciosa ilarità, mentre il genitore è periclitante nell’adempimento delle sue funzioni notturne, hai capito?
E poi alla moglie:
— Eufemia! Saresti dunque sorda alla voce del dovere nonchè a quella del tuo consorte?
Eufemia trasalendo:
— Che vuoi?
— Infilare quest’ago.
La signora Eufemia, con accento pieno di amarezza:
— Riformate prima il codice civile, o Policarpo, e poi v’infilerò.
Policarpo, stupefatto, guarda fisso il paralume, poi guarda Agenore, che guarda la mamma, che guarda Policarpo, che dice:
— Eufemia, rientra in te stessa, tu sei evidentemente sotto l’erubescenza d’un sogno. Guardami bene: io sono Policarpo tuo. Tu ti trovi nel santuario della tua famiglia, e questi pedalini stessi (agitandoli) rappresentano uno di quei teneri vincoli sui quali riposa il matrimoniale consorzio. Eufemiuccia! dà un poco di pizzichi alle tue sembianze e riconduci la mente sul sentiero della realtà e di questo salottino dove aleggia la domestica gioia e dove anche la domestica dorme sul canapè. Eufemia! infilami l’ago....cidenti! m’è cascato!
Policarpo si mette pecoroni alla ricerca dell’ago, che dev’essere sparito in una delle tante crepe polverose dell’ammattonato.
Eufemia, guardando il marito carponi, si fa rossa d’indignazione e borbotta:
— Martel ha ragione. L’uomo è un animale tanto basso che non c’è alcuno che lo equipari.
Policarpo s’insinua sotto il tavolino e riceve dal figlio Agenore, una pedata sopra un occhio. Il genitore, offeso, irritato, alza la testa, batte nel tavolino, si fa un bernoccolo, il lume traballa, minaccia di rovesciarsi e Policarpo strilla:
— Figlio sciagurato! Tu vuoi dunque abbandonarti al massacro di chi t’ha dato la vita? (uscendo di sotto alla tavola) Tu hai attentato al lume dei miei occhi e a quello a petrolio, che avrebbe potuto distruggere nelle fiamme il nostro modesto patrimonio e anche il matrimonio, te compreso, mostro d’ingratitudine! chi t’ha insegnato di venire alle mani coi piedi?
Policarpo alza sopra Agenore un braccio minaccioso, precursore d’uno schiaffo paterno.
Agenore scappa in cucina.
Eufemia corre nella camera da letto esclamando:
— Dire che mi sono prestata a farmi fecondare da un uomo simile e.... senza indennità governativa!
Policarpo rimane atterrito, estatico, davanti alla scomparsa fulminea dei membri della famiglia.
Per un momento, egli crede d’esser ecceduto nell’esercizio della paterna potestà, e mezzo tonto, entra nella camera da letto. Eufemia, curva sui cuscini, pare oppressa dai singulti. Policarpo la piglia dolcemente sotto le ascelle, con movimento di burocratica tenerezza.
Memore delle parole della cittadina Grippa, Eufemia si rivolta come una biscia e dice a Policarpo:
— Tutto è inutile, o signore! io rifiuto di dare i miei amplessi agli uomini. Io comincio a mettermi in isciopero.
— Eufemia! — dice Policarpo, trasognato — tu non sai quello che dici. La tua esagitata parola dimostra l’abrogazione delle tue facoltà mentali. Eufemia! guardami: guardami bene.... sono Policarpo.
— No; tu sei un animale tanto basso, che non vi è alcuno che ti equipari.
— Ma no: Eufemiuccia! io sono Policarpo tuo, sono quel Policarpo identico al quale sei unita in nodo indefettibile: raccogli i tuoi ricordi! tu hai associato la tua vita integerrima alle mie immacolate generalità, e questa unione è stata fecondata.
Eufemia con accento drammatico:
— Arrestatevi; io non intendo più di prestarmi a farmi....
— Eufemia: tu dunque vuoi postergare i santi doveri di sposa e di madre?
— Voglio essere posta allo stesso vostro livello.
— Come! tu vorresti emarginare le pratiche? le circolari? archiviare gli atti? protocollare delle evasioni?
— Voi avete fatto il codice civile contro di me! — urla donna Eufemia.
— Signora! — conclude gravemente Policarpo — voi accusate un pubblico funzionario d’avere manomesso il palladio della convivenza civile, e questo è il colmo dell’animadversione, contro gli ordinamenti sociali. Voi offendete, in me, il funzionario, il marito, l’uomo, il Policarpo, voi, voi che dovreste essere l’angelo del cubicolo familiare, voi che....
Dopo un minuto di riflessione:
— Fra noi due dovrà, ulteriormente, intercedere una separazione di beni e di toro....
— Ma che toro! — esclama Eufemia. — L’uomo è un animale così basso che non c’è toro che lo equipari.