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gno. Guardami bene: io sono Policarpo tuo. Tu ti trovi nel santuario della tua famiglia, e questi pedalini stessi (agitandoli) rappresentano uno di quei teneri vincoli sui quali riposa il matrimoniale consorzio. Eufemiuccia! dà un poco di pizzichi alle tue sembianze e riconduci la mente sul sentiero della realtà e di questo salottino dove aleggia la domestica gioia e dove anche la domestica dorme sul canapè. Eufemia! infilami l’ago....cidenti! m’è cascato!
Policarpo si mette pecoroni alla ricerca dell’ago, che dev’essere sparito in una delle tante crepe polverose dell’ammattonato.
Eufemia, guardando il marito carponi, si fa rossa d’indignazione e borbotta:
— Martel ha ragione. L’uomo è un animale tanto basso che non c’è alcuno che lo equipari.
Policarpo s’insinua sotto il tavolino e riceve dal figlio Agenore, una pedata sopra un occhio. Il genitore, offeso, irritato, alza