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vanti alla scomparsa fulminea dei membri della famiglia.

Per un momento, egli crede d’esser ecceduto nell’esercizio della paterna potestà, e mezzo tonto, entra nella camera da letto. Eufemia, curva sui cuscini, pare oppressa dai singulti. Policarpo la piglia dolcemente sotto le ascelle, con movimento di burocratica tenerezza.

Memore delle parole della cittadina Grippa, Eufemia si rivolta come una biscia e dice a Policarpo:

— Tutto è inutile, o signore! io rifiuto di dare i miei amplessi agli uomini. Io comincio a mettermi in isciopero.

— Eufemia! — dice Policarpo, trasognato — tu non sai quello che dici. La tua esagitata parola dimostra l’abrogazione delle tue facoltà mentali. Eufemia! guardami: guardami bene.... sono Policarpo.

— No; tu sei un animale tanto basso, che non vi è alcuno che ti equipari.