La Costa d'Avorio/13. La caccia al gorilla
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Capitolo XIII
La caccia al gorilla
I tre cacciatori, nascosti fra le alte erbe che coprivano quella piccola radura, cercavano di scrutare il folto fogliame del grande albero, sperando di scoprire il mostruoso gorilla o la sua prigioniera, ma l’ombra proiettata da quell’enorme ammasso di rami e di foglie era troppo nera per poter discernere qualche cosa. Il nido, o meglio la piattaforma costruita su due dei più grossi rami, si scorgeva confusamente a circa sette metri dal suolo.
Asseybo non si era adunque ingannato arrestandosi in quel luogo ed il mostro doveva trovarsi lassù, poichè di tratto in tratto si udiva la sua rauca respirazione ed i legni della piattaforma scricchiolare.
Non era però cosa facile costringerlo a scendere, poichè tali scimmioni ordinariamente non assalgono se prima non vengono feriti, e poi di rado abbandonano gli alberi sui quali hanno fabbricato il loro covo, non ignorando forse che la piattaforma è sufficiente a difenderli.
— Per ora non possiamo assolutamente far nulla, — mormorò Alfredo, agli orecchi di Antao. — Con questa oscurità non è cosa prudente aprire il fuoco.
— Se provassimo a mandare una palla sotto la piattaforma?...
— Può attraversare i rami e colpire la donna.
— È vero, non ci avevo pensato, Alfredo. Ma che la negra sia proprio lassù?...
— Se non è stata uccisa, deve trovarsi ancora sulla piattaforma.
— Ma si dovrebbe udire qualche gemito. Essendo ferita, il mostro deve averla ridotta in tristi condizioni con la sua poca galanteria.
— Frenerà i gemiti per tema d’irritare il bestione.
— Che non vi sia modo di accertarsi se è lassù?... Quella povera ragazza m’interessa, Alfredo.
— Ti dico che se si trova su quest’albero la salveremo.
— Dimmi, hanno il sonno profondo i gorilla?...
— Perchè mi fai questa domanda?...
— Se fossi certo che il rapitore non si svegliasse, vorrei cercare di salire lassù.
— Sei pazzo, Antao. Una simile imprudenza non te la permetterò mai. Accomodiamoci alla meglio fra queste erbe ed aspettiamo pazientemente l’alba.
— Circondiamo l’albero?
— Sì, tu va’ a coricarti alla mia destra ed Asseybo alla mia sinistra. Se il gorilla scende, lo vedremo. —
Il portoghese ed il negro si allontanarono strisciando senza far rumore e si sdraiarono dall’altra parte del grosso tronco, coprendo la batteria delle carabine per difendere le capsule dall’umidità della notte.
Le ore passavano lente come se fossero diventate doppie, ma il gorilla non lasciava l’albero protettore. Lo si udiva però sempre russare e qualche volta voltarsi, facendo scricchiolare le traverse della piattaforma.
Cosa strana però e che inquietava tutti e tre i cacciatori: l’amazzone non dava segno di vita. Tendevano sempre gli orecchi sperando di udire qualche gemito, ma senza alcun risultato.
Alfredo cominciava a temere che la disgraziata invece di essere stata portata lassù, fosse stata uccisa e poi gettata in mezzo a qualche folto macchione.
Finalmente verso le tre e mezzo una luce biancastra cominciò ad apparire all’orizzonte, facendo impallidire gli astri. Essendo l’alba brevissima in quelle regioni equatoriali, fra pochi minuti ci si doveva vedere anche sotto la foresta.
Già qualche uccello cominciava a svegliarsi facendo udire un timido gorgheggio, mentre gl’insetti si levavano a sciami salutando la prima ondata di luce dorata con acuti ronzìi. Una banda di pappagalli grigi ruppe bruscamente il silenzio che regnava sotto gli alberi, con un cicalìo assordante.
In alto, verso la piattaforma, si udirono tosto degli scricchiolìi, poi un lungo sbadiglio: il gorilla si svegliava.
Antao ed Asseybo avevano subito raggiunto Alfredo e tutti e tre guardavano in alto, sperando di scorgere qualche lembo del vestito dell’amazzone, ma i rami erano intrecciati troppo strettamente per poter vedere che cosa si trovava sopra la piattaforma.
— Amici miei, — disse ad un tratto Alfredo, con viva emozione. — Temo che la povera ragazza non si trovi lassù.
— Comincio a crederlo anch’io, — disse Antao, — ma almeno la vendicheremo.
— Scorgi nulla, Asseybo?
— Non vedo che un piede del mpungu sporgere dalla piattaforma, — rispose il negro.
— Snidiamolo, Alfredo, — disse il portoghese. — Io non me ne andrò di qui, se prima non avrò la certezza che quella disgraziata non si trova lassù!
— Non ho alcuna intenzione di risparmiare il mostro, Antao. Tenetevi presso di me e non fate fuoco se non siete sicuri del colpo od il gorilla ci farà a pezzi.
In quel momento si udì in alto un sordo brontolìo ed i rami che formavano la piattaforma gemettero.
— In guardia, — disse Alfredo, scostandosi dall’albero e puntando in alto la carabina.
Il gorilla, accortosi della presenza dei tre cacciatori, cominciava ad irritarsi e manifestava la sua collera battendosi l’ampio petto, il quale risuonava come un tamburone. Ad un tratto comparve sul margine della piattaforma, ma per un solo istante; quell’apparizione fu rapida, ma bastò ad Antao per farsi un’idea dell’aspetto spaventoso di quei giganti delle foreste, allorquando sono irritati.
Il suo pelame grigio ferreo era diventato irto come quello di un gatto in collera; i suoi muscoli poderosi pareva che fossero raddoppiati di volume, mentre la sua brutta faccia manifestava una collera selvaggia, ripugnante, con quei suoi occhi infossati, grigi, ma che avevano uno strano splendore.
— Morte di Saturno!... — mormorò Antao. — È ben brutto quel diavolone di scimmia! —
Alfredo intanto cercava di scoprire il formidabile avversario per mandargli una palla nel cranio o nel petto, ma il mpungu, non giudicando fosse giunto il momento d’impegnare la lotta, si teneva riparato nel suo ampio nido, senza mostrare la più piccola parte del suo corpo.
La sua collera però aumentava di momento in momento. Non si batteva più il petto coi pugni, ma ora lanciava dei ruggiti, suoni strani che cominciano con una specie di latrato, che poi si cambiano in un sordo brontolìo e che finiscono in un ruggito infinitamente più potente di quello dei leoni e che pare non esca dalla gola, ma dalle ampie cavità del petto. Talora invece emetteva dei fragori che somigliavano perfettamente ai rulli prolungati del tuono udito in lontananza.
Per un po’ di tempo il mpungu si limitò a far udire la sua voce, poi si diede a scuotere furiosamente i rami vicini, facendo piovere sui cacciatori una vera pioggia di frutta e di foglie, quindi con un salto immenso si slanciò su di un grosso ramo che si curvava verso terra, forse coll’intenzione di lasciarsi cadere giù.
— Eccolo!... — gridarono Antao ed Asseybo, retrocedendo vivamente.
Alfredo non si era mosso, nè aveva staccata l’arma dalla spalla. Vedendo il gorilla in piedi sul ramo, col pelame arruffato, gli occhi in fiamme, le labbra contratte che mostravano i lunghi denti, alzò rapidamente la canna e fece fuoco.
L’enorme scimmia lanciò un ruggito furioso che echeggiò come uno scoppio di tuono, ma che tosto si cambiò in un grido di dolore che aveva qualche cosa d’umano, poi abbandonando bruscamente il ramo, con un secondo salto guadagnò la piattaforma protettrice.
— È colpito! — gridò Antao, passando la sua carabina ad Alfredo.
Delle larghe gocce di sangue, filtrando attraverso i rami incrociati del nido, cadevano al suolo bagnando le erbe ed una era andata a colpire il portoghese, lordandogli la camicia.
Alfredo, sempre impassibile, aveva rialzata la seconda carabina per mandare al mostro una seconda palla, ma non poteva scorgerlo.
— Che sia morto? — chiese Antao, che ricaricava prontamente l’arma del compagno.
— Non lo credo, — rispose il cacciatore. — Odo i rami della piattaforma scricchiolare.
— E la ragazza?...
— Credo che non ci resti che vendicarla, Antao.
— Ma troveremo almeno il suo cadavere.
— Bada!...
— Eccolo, padrone!... — urlò Asseybo.
Il gorilla era tornato a balzare sul ramo. Con una mossa fulminea sfuggì alla seconda palla del cacciatore, ma invece di scendere risalì più in alto, come se avesse intenzione di rifugiarsi sugli ultimi rami.
Alfredo gettata via l’arma scarica, prese quella di Asseybo e fece nuovamente fuoco contemporaneamente ad Antao.
La grande scimmia questa volta ricevette le due palle in pieno petto. Fu vista arrestarsi un istante portandosi una mano sulle ferite sanguinanti, poi le forze improvvisamente l’abbandonarono e quell’enorme corpo rovinò pesantemente attraverso i rami del sicomoro, e schiantandoli venne a cadere con sordo fragore, quasi ai piedi del tronco.
— È morto!... — esclamò Antao.
— Sali, Asseybo, — disse Alfredo. — Forse lassù vi è il cadavere della povera ragazza. —
Il negro s’aggrappò ai rami bassi del sicomoro e si mise ad arrampicarsi lungo il tronco con quell’agilità sorprendente che è una particolarità delle razze negre. In meno di venti secondi giunse alla biforcazione dei rami e aggrappatosi ai margini della piattaforma, vi si issò con un solo slancio.
— Nulla? — chiesero Alfredo ed Antao, con ansietà.
— Nulla, — rispose il negro.
— Non vi è alcuna traccia della ragazza, nemmeno un lembo delle sue vesti?...
— Non vi sono che dei ciuffi di peli e dei rimasugli di frutta. —
Una sorda esclamazione irruppe dalle labbra del portoghese.
— Nulla!... —
Poi incrociando le braccia e guardando l’amico che pareva immerso in profondi pensieri, gli chiese:
— Cosa faremo ora?...
— Cosa faremo?... — rispose Alfredo. — Frugheremo la foresta, nè la lasceremo se prima non avremo trovato il cadavere della giovane negra.
— Torniamo al campo?...
— Più nulla abbiamo da fare qui. Sono impaziente di rivedere i due dahomeni.
— Temi qualche cosa?...
— Non so, ma da qualche minuto un sospetto mi tormenta.
— E quale?...
— La inesplicabile sparizione delle nostre casse.
— Morte di Saturno!... È vero, Alfredo. Mi pare stranissima la sparizione e stento a credere che siano stati i gorilla a portarle via, specialmente visto che non ve n’era che uno su quest’albero.
— È precisamente per questo che attribuisco ad altri il furto.
— Ma a chi?...
— Alle spie che ci seguivano.
— Uragani e folgori!... — esclamò Antao, colpito da quella risposta. — Questo sospetto non mi era venuto in mente e temo che...
— Che cosa?...
— Che quel povero gorilla non avesse preso parte alcuna al rapimento della ragazza.
— Lo credo anch’io, Antao, ma dai due dahomeni sapremo forse qualche cosa.
— Ma a quale scopo le spie avrebbero rapito l’amazzone?...
— L’avranno riconosciuta per una loro compatriota, forse avranno creduto che noi la tenessimo prigioniera per giovarci della sua conoscenza del Dahomey e l’avranno portata con loro, credendo di liberarla.
— Torniamo presto al campo, Alfredo. Bisogna dilucidare questo mistero e se i nostri sospetti sono fondati, dare la caccia ai ladri.
— È ciò che faremo, poichè le casse rubate contengono ciò che più m’interessa e soprattutto le nostre munizioni e gli oggetti di scambio. —
Affrettarono il passo rifacendo il cammino percorso, ed un quarto d’ora dopo giungevano al campo dinanzi al quale, fedeli alla minacciosa consegna ricevuta, vegliavano i due dahomeni appoggiati ai loro fucili.