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92 Capitolo tredicesimo

emetteva dei fragori che somigliavano perfettamente ai rulli prolungati del tuono udito in lontananza.

Per un po’ di tempo il mpungu si limitò a far udire la sua voce, poi si diede a scuotere furiosamente i rami vicini, facendo piovere sui cacciatori una vera pioggia di frutta e di foglie, quindi con un salto immenso si slanciò su di un grosso ramo che si curvava verso terra, forse coll’intenzione di lasciarsi cadere giù.

— Eccolo!... — gridarono Antao ed Asseybo, retrocedendo vivamente.

Alfredo non si era mosso, nè aveva staccata l’arma dalla spalla. Vedendo il gorilla in piedi sul ramo, col pelame arruffato, gli occhi in fiamme, le labbra contratte che mostravano i lunghi denti, alzò rapidamente la canna e fece fuoco.

L’enorme scimmia lanciò un ruggito furioso che echeggiò come uno scoppio di tuono, ma che tosto si cambiò in un grido di dolore che aveva qualche cosa d’umano, poi abbandonando bruscamente il ramo, con un secondo salto guadagnò la piattaforma protettrice.

— È colpito! — gridò Antao, passando la sua carabina ad Alfredo.

Delle larghe gocce di sangue, filtrando attraverso i rami incrociati del nido, cadevano al suolo bagnando le erbe ed una era andata a colpire il portoghese, lordandogli la camicia.

Alfredo, sempre impassibile, aveva rialzata la seconda carabina per mandare al mostro una seconda palla, ma non poteva scorgerlo.

— Che sia morto? — chiese Antao, che ricaricava prontamente l’arma del compagno.

— Non lo credo, — rispose il cacciatore. — Odo i rami della piattaforma scricchiolare.

— E la ragazza?...

— Credo che non ci resti che vendicarla, Antao.

— Ma troveremo almeno il suo cadavere.

— Bada!...

— Eccolo, padrone!... — urlò Asseybo.

Il gorilla era tornato a balzare sul ramo. Con una mossa fulminea sfuggì alla seconda palla del cacciatore, ma invece di scendere risalì più in alto, come se avesse intenzione di rifugiarsi sugli ultimi rami.