La Colonia Eritrea/Parte III/Capitolo XXI

Capitolo XXI

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Parte III - Capitolo XX Conclusione
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CAPITOLO XXI.

(1896-1899)



Pratiche di pace e per liberare e soccorrere i prigionieri — Si intromette il Sommo Pontefice — Insuccesso di mons. Macario — Missione Nerazzini — Convenzioni stipulate col Negus — Preliminari di pace e liberazione dei prigionieri — Rimane insoluta la questione dei confini — Il programma di raccoglimento del ministero Di Rudinì — Seconda missione Nerazzini — Invio di Cicco di Cola — Il Governatore Civile — Ultimi avvenimenti etiopici — Ribellione e spodestamento di Mangascià.

Avvenimenti dalla parte del Sudan — L’Inghilterra scesa in lizza contro il Kalifa — Campagna anglo-egiziana negli anni 1896-97-98 — Cessione di Kassala — Battaglia di Ondurmann — Caduta della Mahdia — Il Nilo riaperto alla civiltà europea.


Terminata la infelice campagna del 1895-96, la Colonia fu ridotta sul piede di pace, colle sole forze sufficienti a tenere in rispetto i Ras tigrini; e le cure dell’Italia si rivolsero interamente alle trattative diplomatiche per liberare e soccorrere i prigionieri dello Scioa e per ottenere un componimento con Menelik.

Un comitato di signore, presieduto dalla marchesa di Santafiora dama d’onore di S. M. la Regina, per mezzo di pubbliche sottoscrizioni aveva raccolto in tutto il regno dei vistosi soccorsi, e fino dal 25 maggio 1896 aveva potuto inviare verso lo Scioa il prete polacco Varsowiz-Rey, cui si era aggiunto il padre [p. 290 modifica]Audin, per farne la distribuzione ai prigionieri. Questa missione dopo molte peripezie e dopo la morte del suo capo, cui sottentrò l’Audin, giunse il 14 agosto all’Harrar dove ebbe a sostare inerte per circa un mese prima di potere far pervenire ai prigionieri gli aiuti che essa portava, essendo stata contrastata in mille maniere da ras Maconnen.

Nello stesso tempo anche il Sommo Pontefice interveniva di propria iniziativa in favore dei prigionieri, ed il 6 luglio spediva a Menelik in missione speciale monsignor Macario, incaricato di far pratiche per ottenerne la liberazione. Egli giunse ad Adis Abeba il 14 agosto 1896 e vi fu ricevuto con grandi onori e riguardi ma non potè ottener nulla da Menelik, che dichiarò volersi giovare dei prigionieri per avere delle garanzie di pace coll’Italia.

Da parte sua il Governo italiano, mentre valendosi segnatamente dell’opera dell’ingegnere svizzero Illg faceva preparar terreno pei negoziati di pace e per la liberazione dei prigionieri, destinava per inviato ufficiale dell’Italia presso il Negus il solito dottor Nerazzini, il quale partito da Napoli il 3 giugno, giunse il 6 ottobre in Adis Abeba, munito di istruzioni diplomatiche e di copiosi soccorsi pei prigionieri. In pari tempo per provvedere ad una nuova e più importante missione qualora le circostanze lo richiedessero, o le esigenze di Menelik fossero inconciliabili colle istruzioni date a Nerazzini, fu inviato il generale Valles a Massaua, ove rimaneva pronto a partire per lo Scioa. [p. 291 modifica]

Ma l’opera del Generale non ebbe ad occorrere, perchè Nerazzini in poco più di 15 giorni dopo il suo arrivo ad Adis Abeba, potè concludere col Negus due convenzioni speciali, l’una contenente i preliminari di pace fra l’Italia e lo Scioa; l’altra le condizioni per la liberazione dei prigionieri.

I preliminari di pace contenevano approssimativamente quanto segue:

1.° Cessazione dello stato di guerra; pace ed amicizia perpetua tra i due paesi.

2.° Abolizione del trattato d’Uccialli.

3.° Riconoscimento dell’indipendenza assoluta dell’Etiopia.

4.° Concessione provvisoria della linea Mareb-Belesa-Muna finchè Delegati dell’Italia e dello Scioa avessero fissato entro un anno, di comune accordo, la frontiera e obbligo all’Italia di non cedere frattanto ad altre potenze il territorio etiopico.

Rimandavano poi ad altra occasione la conclusione di accordi commerciali e industriali.

La convenzione relativa ai prigioneri stabiliva la loro libertà, il loro concentramento ad Harrar e successivo invio a Zeilà; la facoltà alla Croce Rossa di avanzare fino a Gildessa, e lasciava arbitro il Governo italiano di fissare l’indenizzo pel loro mantenimento.

Naturalmente, sebbene l’ottenuta liberazione dei prigionieri destasse in tutta Italia un senso di vivissimo compiacimento, le altre condizioni dei preliminari di pace apparvero piuttosto ostiche, e non per riguardo all’abolizione del trattato d’Uccialli e del seguente protettorato [p. 292 modifica]sull’Etiopica, che l’Italia ne aveva avuto già abbastanza ed era disposta a privarsene senza rammarico; ma per riguardo alla questione dei confini dell’Eritrea, che rimaneva sempre aperta e faceva temere un’umiliante riduzione loro, od appigli per una nuova guerra.

Vi fu anche chi dubitò della generosità di Menelik nel lasciare arbitro il Governo italiano di fissare la somma per pagare il mantenimento dei prigionieri, e chi criticò l’opera diplomatica del Nerazzini ritenendone i risultati eguali o meno favorevoli di quelli già concessi dal Negus a Salsa il 16 marzo nel convegno al Farras Mai.

Tuttavia, considerato che l’Italia sarebbe stata disposta a qualunque sacrificio per liberare quei prigionieri che erano nelle mani di Menelik, e considerato anche la poca fiducia che generalmente inspirano le promesse, le offerte ed i patti di Menelik, la maggioranza della popolazione si adattò facilmente a sanzionare non sfavorevolmente l’opera del Nerazzini, tantopiù che la somma pagata pei prigionieri (somma che si conobbe poi di circa 10 milioni) non poteva essere colossale, essendovisi rimediato coi fondi già votati per la guerra senza ricorrere alla necessità di uno speciale e nuovo stanziamento che gravasse sul bilancio.

In seguito alla convenzione stipulata da Nerazzini ed approvata pienamente dal Governo, i prigionieri italiani raccolti allo Scioa furono riuniti in scaglioni e per la via dell’Harrar dal dicembre 1896 al maggio 1897 in numero [p. 293 modifica]di circa 1500 rientravano in Italia, preceduti da un drappello di 50 uomini che il Negus stesso con cavalleresco pensiero volle offrire alla nostra Regina pel suo giorno natalizio (20 novembre).

Gravi frattanto fervevano in Italia le discussioni intorno alla politica coloniale. Il ministero Di Rudini, pressato dall’opposizione parlamentare, aveva dovuto fare tali dichiarazioni alla Camera che lasciavano supporre una possibile e graduale riduzione della Colonia, e fin l’abbandono dell’altipiano.

A tal uopo si era anche deciso a rimettere in vigore la carica di Governatore Civile della Colonia, e poi designava a coprirla il noto antiafricanista R. Bonfadini.

Ma la temuta liquidazione della Colonia destò l’avversione nella maggior parte della popolazione, che per quanto contraria a nuovo avventure e ad imprese guerresche, era però mal disposta a lasciare andare in fumo tutto il frutto di tanti sacrifici già fatti; e sorsero anche dispareri in seno allo stesso Gabinetto; così che alla fine temporeggiando, abbandonò ogni idea di riduzione dei nostri possedimenti coloniali, e si dispose invece a voler conservare la linea di confine del Mareb-Belesa-Muna, scegliendo poi come governatore civile l’on. Ferdinando Martini, il quale per aver fatto parte della Commissione d’inchiesta del 1891 e per avere più volte e scritto e parlato intorno all’Africa italiana con competenza ed amore, venne riconosciuto universalmente adatto all’alta carica. [p. 294 modifica]

A risolvere la penosissima questione dei confini, nel marzo 1897 fu mandato ad Adis Abeba una seconda volta il Nerazzini; ma senza frutti. Sulla fine dell’anno stesso vi andò poi il tenente colonnello Cicco di Cola che vi si trova tuttora e che tanto dal gabinetto Di Rudinì quanto dall’attuale di Pelloux, succeduto nel giugno 1898, avrebbe per missione speciale di indurre il Negus a considerare come stabile la predetta frontiera.

Morto in questo frattempo Ras Alula in seguito a ferita riportata in battaglia contro il vecchio Ras Agos dello Scirè, che vi rimase ucciso, Mangascià che non dava più alcun disturbo all’Italia, si risollevava contro Menelik, che sulla fine del 1898 mandò a domarlo e a spodestarlo, affidando l’incarico e la successione a ras Maconnen.

Il Ras già ritenuto tanto amico all’Italia, alla quale però ha fatto tanto male, ha avuto ragione di Mangascià ed al suo posto si è già installato a Capo del Tigrè.

Uno scambio di cortesie tra lui ed il Governatore della Colonia e di lettere tra Menelik ed il nostro Re fanno ritenere favorevolmente risolta la quistione dei confini secondo i desideri dell’Italia e del Parlamento.

*

Intanto che tra l’Italia e l’Abissinia si svolgeva il periodo di trattative che dura tuttora, dalla parte del Sudan si compievano dei grandi avvenimenti.

I tristi risultati della battaglia d’Adua [p. 295 modifica]ebbero un contraccolpo anche in Inghilterra, la quale desiosa di venire in soccorso dell’alleata, avventuratasi in Africa per secondare la sua politica coloniale, e più specialmente timorosa che questa dovesse perdere anche Kassala assediata dai Mhadisti, ciò che avrebbe costituito un loro trionfo e consolidato il dominio del Kalifa, il 14 marzo 1896 deliberava l’immediata ripresa della campagna anglo-egiziana contro il Sudan.

Però, sebbene questo grande avvenimento venisse a determinare un nuovo orientamento nella politica coloniale europea e ad attirare gli sguardi e le cupidigie delle potenze verso la lunga ed importantissima valle del Nilo, l’Italia non solo abbandonò ogni idea di nuove avventure verso il Sudan, ma si dispose a cedere anche Kassala.

Essa si adattò tanto più volentieri a tale cessione in quanto che, sul gennaio del 1897 proprio pochi giorni dopo che il generale Baldissera lasciava il governo della Colonia al generale Viganò, vennero contro di essa nuovamente ed improvvisamente in campo i dervisci.

Essi passarono il Gasc in numero stragrande, e devastando e razziando, si avanzarono fin presso Agordat.

Il generale Viganò fu sollecito ad accorrere alla difesa, e raccolte celeramente le sue truppe disponibili nella predetta località, riuscì ad arrestare l’invasione nemica che si faceva minacciosissima.

I dervisci stettero di fronte ai nostri [p. 296 modifica]alcuni giorni senza osare di attaccarli malgrado la loro grande superiorità numerica; quindi dovettero ritirarsi verso il Gasc lasciando i segni della devastazione sul loro passaggio.

In seguito a questa novella sorpresa che se non ebbe dolorose conseguenze lo si deve al pronto accorgimento del generale Viganò, così sollecito ed efficace nel porvi riparo, apparve sempre più pericolosa ed onerosa per l’Eritrea una frontiera occidentale spinta fino a Kassala, e poichè questa località, secondo l’articolo 2 del protocollo 2 aprile 1891 non poteva ritenersi che occupata provvisoriamente e per conto dell’Inghilterra, il Governo italiano ne patteggiò con essa la cessione che venne poi fatta il 19 dicembre 1897.

Frattanto proseguivano le operazioni degli anglo-egiziani lungo il Nilo, con esito disastroso per il Kalifa.

L’Inghilterra aveva affidato l’impresa al Sirdar dell’esercito egiziano, generale Kitchener, uno degli ufficiali inglesi che ebbero a sostenere parecchie lotte contro il Mahdismo, dandogli in sott’ordine molti ufficiali e graduati inglesi. L’Egitto doveva invece fornire le sue finanze ed i suoi soldati Fellàh.

Il Sirdar imprese le operazioni militari nella primavera stessa del 1896 procedendo lentamente, ma ordinatamente e tenacemente, come sanno fare gli inglesi, verso Dongola, che con l’aiuto di flottiglie salienti pel Nilo e di ferrovie costruite lungo le sue sponde fu occupata nel settembre di detto anno.

Dopo questo primo successo la campagna [p. 297 modifica]fu sospesa per lasciar tempo ai preparativi, e fu ripresa nel maggio 1897 procedendo su Berber, che venne in potere degli anglo-egiziani nei primi di settembre.

Fu sospesa di nuovo e per gli stessi motivi nell’inverno seguente; ed intanto il colonnello Parsons sostituiva a Kassala il dominio italiano, preparando al Sirdar la via dell’Atbara, sulle cui sponde nell’aprile 1898 egli sconfiggeva a Umdabia le forze degli emiri Mahmud ed Osman Digma, e nell’agosto 1898 poteva concentrare 25000 uomini e 48 cannoni.

Il Kalifa mediante sforzi disperati potè mettere insieme 40,000 uomini e si apprestò alla difesa del suo dominio in Ondurmann; ma quivi all’alba del 2 settembre fu attaccato da tutte le forze del Sirdar e disastrosamente sconfitto, perdendovi 18,000 uomini e 3,000 prigionieri.

Questa battaglia segnò la fine della Mahdia il cui capo seguito da pochi si è ritirato, senza speranza di rifarsi, sulle montagne di Kordofan, abbandonando i suoi tesori, la tomba del Mahdi, il corso e le feraci sponde del Nilo, in potere degli Anglo-Egiziani.

Il grande avvenimento ha dischiuso un nuovo orizzonte alla colonizzazione.

Le potenze europee dai possedimenti costieri che circondano tutta l’Africa, si tendono le mani verso le misteriose regioni dell’interno, e studiano già dei colossali progetti di viabilità a vapore che spazzeranno la barbarie e cambieranno la faccia al continente nero. [p. 298 modifica]

Era così destino, che i danni sofferti dall’Italia nella battaglia d’Adua fossero compensati dai benefici generali apportati alla causa della civiltà 1.





Note

  1. A contrastare il frutto di quei successi che all’Inghilterra ed all’Egitto costarono tante spese e tanti sacrifici, avveniva frattanto uno strano incedente, cioè l’occupazione di Fascioda nel Nilo a 600 km. circa da Kartum per parte dei Francesi.
    Dopo la caduta del dominio di Emin Pascià nelle ricche regioni equatoriali, queste attrassero gli sguardi e destarono le cupidigie della Francia, e quando poi, ripresa la campagna contro il Sudan, le sorti dell’impresa Mahdista si videro già decise, la Francia intraprese verso di esse due spedizioni laterali, una dal Congo francese comandata dal maggiore Marchand, un altra dall’Abissinia col marchese Bonchamps.
    Ma l’Inghilterra vegliava, e mentre le sue truppe anglo-egiziane salivano il Nilo ricacciandosi avanti i Mahdisti, faceva muovere dalla parte opposta, cioè dall’Uganda il maggiore Macdonald ad affermare i diritti inglesi sulle regioni equatoriali.
    Senonchè Macdonald essendoglisi ribellati i sudanesi, dovette fermarsi a mezza via, mentre Marchand invece il dieci luglio 1898 per la via del Congo, dell’Ubanghi e del Bahr el Gazal potè giungere con 8 ufficiali e 120 uomini del Senegal a Fascioda. Bonchamps ammalatosi per via dovette rinunciare all’impresa.
    Gravissimo incidente generò questo fatto tra la Francia e l’Inghilterra, la quale dopo aver sostenuto tante lotte e tante spese per la riconquista del Sudan si vedeva occupare una città che è la chiave dei laghi equatoriali.
    Il Sirdar Kitchener dopo la battaglia del 2 settembre andò tosto ed in persona con un battaglione Sudanese, su pel Nilo ad occupare anch’egli la Città, lasciando alla diplomazia la soluzione dello strano incidente.
    Più che il diritto e la ragione i giganteschi armamenti tosto preparati dall’Inghilterra, indussero la recalcitrante Francia a richiamare più o meno velatamente il Marchand che abbandonò la sua conquista nelle mani degli anglo-egiziani.