L'avare fastueux/Nota storica
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NOTA STORICA
"Dopo il buon esito del mio Burbero benefico " - narra il Goldoni - "non avevo fatto niente; dicevo scherzando di voler riposare sui miei allori; ma era la paura di non riuscire una seconda volta come la prima che m’impediva di corrispondere ai desideri dei miei amici e contentare me stesso; cedetti finalmente alle sollecitazioni altrui e a quelle del mio amor proprio. Buttai l’occhio sull'Avaro fastoso; questo carattere si dà tanto in natura che avevo a temere solo la stragrande copia di originali. Tolsi il protagonista dalla classe dei risaliti per evitare il pericolo di urtare i grandi. Questa commedia assai poco nota e che tanti vorrebbero conoscere sofferse singolari peripezie ". (Mémoires, P. III, cap. XX). Dopo un ampio riassunto del lavoro, del quale cita anche intiere scene, continua: "La prima persona a cui feci vedere la commedia, quando la ritenni in grado di apparire, fu il Préville; gli avevo destinato la parte del Marchese, ero ben felice di sentire il suo parere su questo personaggio e sulla commedia in generale. Mi sembrò contento dell’uno e dell'altra; gli feci notare la difficoltà di rendere con verità la parte della quale stava per incaricarsi; conosco, mi disse, questo bel carattere. Incoraggiato da un così riputato attore feci fare la lettura del lavoro all’Assemblea della Comédie Française. Ebbe voti favorevoli e contrari e fu accettata con correzioni. Io non ero avvezzo a tal genere di accoglienza, ma "via" dissi a me stesso, "né orgoglio, né ostinatezza". Taglio qualcosa, qualcosa aggiungo, correggo, abbellisco l’opera mia " (ibid., cap. XXVII). Ma qui le Memorie corrono troppo. L’epistolario integra il racconto. Il Goldoni rinviò la commedia agli attori con queste parole: "Rimando l'Avaro fastoso, raccomodato press’a poco come voi ne faceste richiesta, e vi prego di voler fissare il giorno per una seconda lettura. Non venni alla prima, temendo che la bontà vostra per me mi facesse arrossire e v’impedisse di dire l’animo vostro francamente come desideravo. Sono rimasto commosso del modo con cui avete accolto la mia commedia e dei consigli salutari e assennati che vi piacque darmi. Feci le correzioni che credetti necessarie per rendere la commedia degna di voi e del pubblico. Le vedrete voi stessi, ma di grazia non me ne chiedete altre, perchè m'è insopportabile toccare e ritoccare dieci volte la stessa cosa. Per questo vi prego, signori, di accoglierla come la troverete o di rifiutarla se avesse la disgrazia di non piacervi" (26 aprile, 1773 - Raccolta di studi dedic. ad Al. d’Ancona. Firenze, 1901, p. 128). La commedia fu accettata, ma dalla prima lettura alla recita trascorsero ben quattr'anni. Appena in lettera del 3 settembre 1776 all’Albergati se ne ritrova la traccia. "Quello che più interessa presentemente l’onore mio è una nuova commedia di cui non le sarà ignoto il titolo. Quest’è l'Avaro fastoso che dopo quattro anni di noioso riposo è destinato a comparire sulla scena di Fontanablò per il dì 15 del prossimo ottobre. Se merita di essere continuato a Parigi e se si pubblica colle stampe, mi farò un onore e un piacere di farne pervenire immediatamente a V. E. una copia. Lusingandomi, come l’amor proprio lusingasi facilmente, che l’opera mia possa avere qualche fortunata riuscita, e prevedendo che in tal caso l’Italia hh* vorrà conoscerla, ho provato di farne io medesimo la traduzione, parendomi cosa malagevole troppo il tradurre una commedia letteralmente, e credendo che un saggio ed onesto traduttore non osi permettersi il cambiamento di quelle frasi che suonano male nel paese, per cui traduce. Non vi è che l’autore che possa farlo, se ha bastante talento per riuscirvi. Io senza esaminare il mio talento l’ho fatto. Se l’originale non merita, la traduzione lo seguirà nell’obblio: se ha qualche incontro, le due nazioni l’avranno quasi nel medesimo tempo; e chi sa che il mio dramma in Italia non abbia la sorte di essere rappresentato da un Albergati, da un Zaguri, ecc. ecc. Questo sarebbe il colmo della mia gloria". (Spinelli, Fogli sparsi del G., p. 122).
Causa una malattia che tenne a letto un mese il Préville, la commedia che doveva essere la prima della serie fu l’ultima e non si diede a Fontainebleau che giovedì 14 novembre [1776]. "Les Comédiens François répresentèrent L’Avare fastueux, comédie en cinq actes en prose, de M. Goldoni, suivi de "Crispin rivai de son maître", comédie en un acte, en prose, de Le Sage "(Journal des spectacles réprésentés devant leurs Majestés depuis le 2 janvier 1776 jusqu’au 30 decémbre de la même année: comunicazione della gentile signora L. Blake-Buequet, a cui si deve anche la coscienziosa copia del ms. francese della presente commedia). I ministri, gli ambasciatori, gli ufficiali - racconta il Goldoni - eran tutti partiti. - Ai comici stanchi era mancata la voglia di studiare e più ancora quella di provare. "Vedendo la critica posizione della mia commedia chiedo modestissimamente se fosse possibile di sospenderne la recita. Ma non ce n’erano altre in repertorio; mi si fece credere che non si poteva farne a meno. Vado alla prima rappresentazione. Mi metto al solito posto in fondo al palcoscenico dietro la tela: c'era tanto poca gente che non si poteva accorgersi degli effetti buoni o cattivi, e la commedia finisce senza segno alcuno d’approvazione o di disapprovazione. Torno a casa, non vedo nessuno. Tutti fanno le valigie, e io le mie. Tutti partono e parto anch’io" (Mem., ibid.). Per istrada cerca le ragioni dell’insuccesso: sì, il momento male scelto, la scarsità del pubblico, ma trova che alcuni esecutori non avevano capito la parte; così il Bellecour [Chateaudor] confuse il fastoso col vanaglorioso, la Drouin [Araminte] d’una mamma bisbetica e petulante fece una madre nobile, il Préville [Marquis] non aveva saputo dire le sue frasi spezzate in modo da farne intendere il senso. Avrebbe dovuto impedire la recita! Insomma, tornato a Parigi, ai comici che l’invitano a un’adunanza per decidere la ripresa del lavoro, scrive ringraziando, e il miglior mezzo di provare la sua riconoscenza gli sembra sia quello di risparmiare a loro e a sé nuove inutili pene. "Ritengo la commedia caduta. Non sono nè avaro nè prodigo, e la ritiro senz’altro" (22 novembre I 776, Rabany, op. cit. p. 304).
Un aneddoto rintracciato da Giuseppe Ortolani tra le carte dell’Albergati (Archivio Tognetti, Blbl. Comunale di Bologna) cerca alla sfortuna dell'Avare fastueux ragioni ch’egli relega giustamente nei regni della fantasia. Scrive al citoyen, già marchese, Francesco Albergati Capacelli un a noi sconosciuto citoyen Noré, che dice d’aver conosciuto molto bene il Goldoni a Parigi. "Un incidente che voi forse ignorate ha privato la scena francese d’un carattere nuovo per essa, ch’egli [Goldoni] aveva trattato d’una maniera degna del suo genio e della sua penna. Egli compose l'Avaro fastoso, commedia in 5 atti. Fu rappresentato, secondo il costume, a corte prima che nella capitale. Il carattere dell’avaro fastoso ch’egli dice d’aver osservato in Italia [la prudenza del buon Goldoni!], ov’era assai comune, non giunse nuovo a Versailles e sembrò calcato su di un personaggio assai in vista. L’individuo vi si riconobbe perfettamente e del pari fu anche riconosciuto. Il giorno dopo mandò a dire al Goldoni che gli sarebbe dispiaciuto se la commedia si fosse data a Parigi e quest’avviso fu accompagnato da diecimila lire offerte quale indennizzo. Goldoni indispettito gettò il manoscritto nel fuoco (!) e risolse di non scrivere altro. Ricusò il denaro, ma gli fu mandato di nuovo; e sia per paura o per rispetto finì con accettarlo".
All’Albergati il Goldoni stesso dà notizia dell’insuccesso con lettera nota a noi solo in questo breve riassunto del Tognetti, senza data (Biblioteca Comun. di Bologna, Spogli Ortolani): "Dice d’aver dato il suo Avaro fastoso alla Corte in Fontanablò (sic). Ma sì freddamente è stato recitato che non vuol esporlo in Parigi. Lo ha tradotto in italiano. Si è saputo in Venezia. L’Ecc.mo S.r Andrea Querini di S. M. Formosa lo ha dimandato per i suoi nepotini, e glielo spedisce". La traduzione dunque è contemporanea alla recita. Traduzione molto libera se raffrontata con l’originale com’è noto oggi a noi, ma forse vicina all’una o all’altra delle lezioni tentate dall’autore per rendere il lavoro meno ostico al palato dei comici francesi. Diverso intanto lo scioglimento - che risponde al riassunto delle Memorie - con i personaggi tutti in scena, secondo la buona tradizione, compresi il gioielliere che ricupera la sua merce. Giacinto, sceso da letterato pitocco a ricattatore, e il notaio. Il protagonista non pensa più a una comoda fuga, ma fatto buon viso ad un bruttissimo giuoco, s’accinge coi suoi invitati a festeggiare nozze non più sue. La chiusa, strozzata, del copione può apparire originale, ma non aveva nulla di goldoniano. L’impose verisimilmente all’autore economia di tempo nella recita. Vi hanno altre innovazioni più o meno felici. Con la promozione al titolo comitale Casteldoro cresce a trenta il numero de’suoi invitati, di che si preoccupa non poco Frontino data l’avarizia del padrone che non voleva pagare neanche il conto di una cena di soli tre invitati. Savia cosa ritenne questa volta il G. presentare al pubblico, prima ch’entri in scena, quel Marchese che aveva contribuito all’insuccesso della commedia originale. Del suo intercalare bene bene benissimo si fa qua e là buon uso comico. Si duole il conte di non trovare a dispetto di forti spese e vistosi doni, che ingratitudine e ingiustizia. " Bene, bene, benissimo" interloquisce il marchese. E il conte: "maledettissimo intercalare!" "Quelle sottise" diceva Araminte quando sente il numero degli invitati. Con maggior effetto comico la traduzione: "Quest’è un uomo che si rovina". Casteldoro avverte il cavaliere, arrivato allora e ignaro che la sua Eleonora sta per isposare il conte, che di là ci sono persone di sua conoscenza cioè Araminta e sua figlia. "Andate", gli dice, "vi diranno là delle nuove che voi non potete ancora sapere, ma che vi faranno piacere". Evidente dunque la ricerca di maggior comicità. Prolissità e nuovi particolari sciupano la scena col sarto (A. I, V). Quella con Giacinto (A. III, II), delle più fredde già nell’Avare fastueux, è allungata non poco da un’aggiunta, dove il G. si vendica dei comici del Théâtre français. Il poeta non dedica più un "poème" al suo mecenate, ma una "commedia ". Così anche nelle Memorie, ma nel copione alla parola pièce cancellata si sostituiscono livre e poème - correzioni suggerite da riguardo agli attori o da essi volute. Il traduttore fece poi il comodo suo.
Nella forma italiana la commedia si fa più pesante e domina la consueta verbosità goldoniana. Una breve battuta come si l'on vous annonce, elle tremble, è diluita così: " Quando vi sente o vi vede venire, ella cambia di colore e trema e vorrebbe nasconclersi ". A un laconico quel homme! risponde un pettegolo che uomo singolare che è mio fratello! La breve arguta scena dove il conte approfittando d’una leggera indisposizione di Eleonora si affretta a sospendere la famosa cena, perde ogni sapore nella prolissa veste della traduzione (a. III, III). A svelare sinceramente il suo cuore ad Araminta, a confessarle cioè come per assestarsi abbia bisogno della dote di sua figlia, il cavaliere sfila (nella traduzione) un lungo ben tornito discorso che prende tutta una pagina di stampa.
Messe a confronto le due commedie non si può non concludere - per la maggior agilità del dialogo e della forma - a favore della lezione originale. Il francese del G. non vuol esser quello di Boileau o di Molière, ma se non è la bella liscia strada maestra, non v’incespichi mai in certi aguzzi ciottoloni che farebbero vedere le stelle al meno pedante dei puristi. False eleganze, barbarismi e i più goffi e più buffi gallicismi (ella negligenta tutto, allumando, il marchese è incantato, la figlia è guadagnata, addirizzatevi a un libraio, ecc.) infiorano a ogni passo questa traduzione e non s’intende come potessero sfuggire al Goldoni che se non fu un precursore di padre Cesari e del marchese Puoti mandava in Italia ancora dopo il ’70 lettere, poesie e dediche che non mostrano avesse scordato a tal segno la lingua del suo paese.
A Parigi gli amici del Goldoni, desiderosi di vedere la commedia sulla scena della capitale, restarono male alla notizia del ritiro e s’adoperavano a rimuovere l’autore dalla sua decisione. Se gli attori si fossero mostrati proclivi a recitarla ancora, egli non si sarebbe opposto. Invece erano disgustati quanto lui. " Era una commedia nata sotto cattiva stella ", - scrive il Goldoni - " bisognava temerne gl’influssi, condannarla all’obblio, e il mio rigore giunse al punto di rifiutarla pure a chi me la chiedeva per leggerla (Mém., ibid.). Ma neanche questa volta fu irremovibile. Perchè appena " uno dei più grandi signori del Regno " (il conte di Provenza?) volle sentirla, il G. s’affrettò a contentarlo. Lesse mirabilmente la parte del Marchese un tale di cui le Memorie tacciono il nome, e il resto una signora, pure anonima, con molta facilità e garbo. La commedia parve piacesse, e l’autore n’ebbe lodi. Dunque il rovescio del Burbero che alla lettura in casa Du Deffand capitombolò per rialzarsi trionfalmente alla recita.
Passano gli anni e crescendo l'età e i bisogni il G. pensa a trarre dall’obblio il suo poco avventurato lavoro per risarcire con una sua fortunata ripresa la Comédie d’un prestito avutone ch'egli non era in grado di pagare altrimenti. Manda perciò all’amico Molé (v. nota al Burbero benefico) la commedia ritoccata " con la massima cura " e s’augura che si reciti almeno dopo la sua morte. Aveva 82 anni. Ma non rinuncia alla speranza più bella e nell'espansiva intimità della lettera se ne confida all’affettuoso intermediario. "Ma perchè, amico mio, mio vero amico, non avrò la consolazione di vederla recitare me vivo? Tutti quelli che la conoscono, dopo i cambiamenti che vi ho fatto, ne sono tanto contenti. Tutti quelli che venivano a vedermi nel tempo del mio lungo ritiro [avea trascorso l’inverno a casa accasciato da avversità e dolori] non facevano che parlarmi del mio Avaro fastoso. Mi pare che tutti l’attendano impazienti" (lettera del 21 marzo 1789. Strenna dei bambini rachitici. Venezia, 1907). Sì, la commedia potrebbe cadere, ma non già se gli attori vi mettessero l’impegno che bastò a salvare altre non senza difetti. E fa dei bei castelli in aria il caro e buon vegliardo e distribuisce anche le parti. Il Molé s’era offerto d’esser lui l'avaro, ma la parte vuole "un acteur à manteau". Meglio il Naudet. E la Bellecour Araminte e Des Essarts il Marchese... Alle altre parti pensi l’amico che meglio conosce gli attori. E questa esecuzione dopo 16 anni d’attesa sarà l’ultima sua gioia...
Di che natura fossero alcuni dei cambiamenti operati risulta da questo passo d’una lettera al Palissot, senza data ma verisimilmente del 1788 per l'allusione che si fa all’edizione Zatta nascitura che l’occupava tutto: "appena sarò libero mi adopererò a rendere trattabile la parte del marchese nel mio Avaro fastoso e avrò l’onore di farvi conoscere le mie correzioni. Discorreremo insieme di questa commedia... " (Oeuvres complètes de M. Palissot. Nouvelle édition. Paris, MDCCCIX, vol. III., pag. 367) Lo scoglio nel quale era incagliato un Préville doveva dunque esser reso meno pericoloso.
Ma le speranze non si realizzano. Trascorso un altro ben lungo periodo, il Goldoni amareggiato tocca seccamente in lettera al Molé un’ultima volta il penoso tasto. "Permetterai, signore ed amico carissimo, che metta alla fine di questa lettera quattro parole sul mio Avaro fastoso. Se la Comédie française non se ne cura, fatemi il piacere di rendermi quell’ultima copia che vi ho consegnata e che m’è necessaria a causa di certe ultime correzioni che non ho qui con me... " (21 ottobre 1791, Strenna cit.)
Queste le malinconiche peripezie d’un lavoro, al quale le ultime faville d’un ingegno grandissimo non erano bastate a dar vita. Poche le critiche sincrone raccolte. Il celebre tragico Le Kain, che fu certo tra i votanti della Comédie annota in suo diario - in data 8 maggio 1773 - che il meglio dell' Avare fastueux gli pareva la figura del marchese. Non tutto il resto era di suo genio, ma data la fama dall’autore, il pubblico gli avrebbe fatto grazia di molte altre cose " (Mémoires de L., ecc., Paris, 1825, p. 237). L’esito diede torto alla benevola profezia. La Correspondance del Grimm non risparmiò il caduto. " L’Avare fastueux del Goldoni non è neppure un buon abbozzo. Tutti i mezzi impiegati sono ricercati e meschini " (ed. Grimm, Tourneux, T. XI, p. 361). Carlo Gozzi, maligno col Nostro fino all’ultimo, gioì di fischi che non c’erano stati. "Il Goldoni volle seguire a coltivare la sua fortuna scrivendo commedie nell’idioma francese e compose in quel linguaggio un’altra commedia, intitolata Le (sic) Avare fastueux che fu in quei teatri fischiata" (Opere edite ed inedite, 1802, Zanardi, vol. XIV, p. 129). Parecchi critici scorgono nella grave età dell’autore una delle ragioni dell’insuccesso. Così il Petitot. "L’a. f. non ebbe punto fortuna. Questa gradazione di carattere era drammatica, ma difficile a render bene. Goldoni non aveva abbastanza forza comica per colpirla. D’altra parte era assai vecchio; e le moltissime opere da lui composte avevano potuto infiacchire il suo talento "(Répertoire du théàtre français, Comédies, XVII. Paris, 1818, p. 366). E Alexandre Pey: "L’argomento era abbastanza felice e il carattere del personaggio principale assai ben disegnato; ma l’esilità dell’intreccio e la freddezza dello stile che si risentiva dell’età dello scrittore, fecero cadere questa commedia (Nouvelle biographie generale, vol. XXI, 1857, p. 106). Meno conciso ma più severo G - è, ossia il Ginguené: " Egli [G.] ebbe nel 1773 un’altra ispirazione, ma non fu così felice (come col Burbero)" e ricordate le sorti dell’A. F, continua: "Questo carattere era però degno del teatro: il soggetto era bene concepito, ma l'esecuzione apparentemente troppo debole; l’età dell’autore si faceva troppo sentire; d’altra parte sembra ch’egli si fosse ingannato sull’effetto comico d’uno de’ suoi personaggi principali. E un uomo che ha il vezzo di non finire mai le sue frasi e d’intercalarvi, a qualunque proposito, delle parole parassite come così va bene. Se ne trovano parecchi di tal sorta nelle commedie italiane del G.; ciò che fa credere che piacevano molto in Italia. Préville si prese questa parte, ma lo stesso Préville non poteva far passare in Francia, e specialmente a Corte, un’abitudine per un carattere" (Michaud, vol. XVII, 1854, p. 109; il giudizio fu riprodotto con l’intero nome dall’autore in Storia delle lettere e delle arti in Italia, ordinata per cura di G. Rovani, Milano 1857, p. 166). Al Royer il soggetto parve piuttosto roba da romanzo (Histoire universelle du théâtre, Paris, 1870, IV, p. 288): Il "contrasto nella figura del protagonista, spinto all’eccesso," nota il Pròlss, "fa di quel conte Casteldoro un essere bicipite" (Gesch. des neueren Dramas, Lipsia, 1881, vol. I, parte 2^, pag. 227). Il silenzio che accolse quest’avare è peggio dei fischi, "scrive il Klein, "Da una salva di fischi la commedia può rialzarsi, un’accoglienza glaciale uccide. Critica e storia della letteratura non possono accoglierla neanche come scheletro, come riassunto nel loro museo anatomico, che pur lo scheletro d’un simile lavoro va in polvere anche se toccato da lievissimo soffio " (Geschichte des Drama’s VI, p. 476). Laconica la condanna dell’Hauvette: "Non basta un’antitesi a creare un personaggio" (Littérature ìtalienne, 1906, p. 366). Invece, a detta del Rabany, in questo Conte di Casteldoro che perde l’un dopo l’altro due buoni partiti perchè chi lo crede prodigo e chi avaro c’è "una vera idea comica, "che però a poche righe di distanza diventa soltanto" ingegnosa "e non passa il livello del vaudeville. E subito entra in ballo il Molière, creatore di caratteri universali, col suo Arpagone (C. G., le théâtre et la vie en Italie, 1896, p. 272). Gli risponde Pietro Toldo che l’avare molieresco, sempre capolavoro, è meno universale che non paia al Rabany ed è - cosa già da altri notata - anzitutto fastoso egli pure. La commedia del Goldoni "ha a sua volta tratti geniali. Malgrado la sua mania di brillare, Casteldoro spende da usuraio, da usuraio ama e alla passione più forte sacrifica il suo amore" (L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie. Torino, 1910, p. 376).
Anche l'arguto esame del Chatfield-Taylor prende le mosse da Molière: "Se Arpagone non fosse venuto al mondo un secolo prima di lui, il conte di Casteldoro, l'avaro fastoso che caccia in tasca una pallottola di carta ogni volta che alla sua mensa si stura una bottiglia e affama i cavalli dei suoi invitati come i propri, sarebbe potuto passare per un taccagno veramente
originale. Se lo sciocco Mr. Jourdain, sedotto dal suo amore per la nobiltà, non avesse già bussato alle porte della società, questo stesso Casteldoro dal titolo comperato che invano tenta di entrare in una casta a lui chiusa, poteva essere accolto come l'arrivista tipico. Ma egli non è originale né come avaro né come risalito; perciò la commedia, che da lui s’intitola, diventa interessante solo per la sua forza scenica e la limpidità con cui sono tracciati uno o due dei caratteri minori: specialmente il Marchese di Courbois, azzurro di sangue quanto scarso di borsa. Ma anch’esso non è che un parente francese del Marchese di Forlipopoli, di Don Marzio e del Conte di Rocca Marina". E si meraviglia il critico americano che Goldoni nelle Memorie s’occupi di questa più che di qualunque altra delle sue commedie quasi a convincere chi legge come sia stata ingiusta la condanna. No, risponde il Taylor, la sua ultima commedia cadde perché meritava di cadere e quel tal sacco, dal quale anche dopo il Vecchio bizzarro Goldoni aveva tratto tante meravigliose commedie (fr. Memorie, II, cap. 23) questa volta "era vuoto davvero" {Goldoni, a biography, New York, 1913, p. 530-531).
All'Avare fastueux il Toldo dedica pure uno studio speciale con accenni a una possibile fonte. Esiste alla Nazionale di Parigi un’omonima commedia manoscritta, recitata nel 1720 (Fonds français, ms. 24, 343). L’apre un monologo di Scappino che, intollerante del suo umile mestiere, vuol farsi autore. Scriverà una commedia: Mon maître sur ma foi jouera le premier rôle. |
L'affinità appare evidente nella figura principale. Meno nell’intreccio, che si svolge intorno al matrimonio d’un figliolo dell’avaro. Ma si fa un gran parlare d’un sontuoso banchetto, per il quale sono in aspra lotta fasto e taccagneria, si discorre d’abiti di grande apparenza e di poca spesa, e vi ha domestici che con la consueta loquacità informano della buffa occulta spilorceria del padrone... Che cosa concluderne? Sentiamo il Toldo: "Io non so se il Goldoni abbia letto o veduto rappresentare codesto A. f., del quale non ho raccolto altre notizie.... Fra il conte di Chateaudor ed Argante corrono, senza dubbio, intime relazioni e v’è pure simiglianza nella parte rappresentata dai servi e in quel banchetto, che nelle due commedie pesa, come un incubo, sui protagonisti ed anche sugli uditori. Queste somiglianze non bastano però, a mio credere, perché il secondo degli avari fastosi debba ritenersi necessariamente dipendente dal primo. In quello del Goldoni l’intreccio è in buona parte diverso.... Del resto, più che di questione di fonte, trattasi qui d’indagine artistica. È curioso, ma non impossibile, che a due scrittori sia venuto in mente di svolgere lo stesso tema ed è interessante di vedere i diversi atteggiamenti e le varie espressioni della loro vis comica " (P. Toldo, L’Avare fastueux, Giorn. stor. d. letter ital.., 1909, e. III, p.p. 336-337). E da questo parallelo emergono difetti e pregi del lavoro goldoniano; incoerenza e ingenuità nel Conte, che tien testa al sarto e all’orefice, ma si fa gabbare da uno scrittorello di genealogie; ingenuo il sarto che rivela senza necessità le sue male arti. E perché Araminta che è pur donna di senno
sposa quel ridicolo marchese? Leonora e il cavaliere per simulare una passione che non si vede, abusano delle interiezioni, e il secondo sempre "vola", come un precursore dell’aviazione, dice il Toldo, per assicurare la bella del suo "onesto affetto". Questi, certo non tutti, i difetti notati dal Toldo. Forse gli sfugge il più forte: in tutto il lavoro s’avverte più artifizio che arte, non la concitazione del poeta che scrive quanto l’estro gli detta. L’Avaro fastoso è opera di chi a mente fredda, con l’abilità che l’esperienza gli crea, combina figure e trovate. Ma qua e là sprazzi di genialità comica rilevano ancora l'autore delle Baruffe e dei Rusteghi: il qui pro quo tra il conte e Araminta, generato dalla sua pretesa prodigalità, e l’altro col Marchese che gli chiede Leonora per suo figlio mentre l’altro crede si tratti di quattrini, e ancora la scena dove l’avaro, secondo volgono le speranze del matrimonio e della dote, accende e spegne le candele. Altra scena, e ottima, è ancora quella dove Fiorillo, rimasto al buio, scambia il conte per Frontino e deride la spilorceria del padrone.
Checché si pensi intorno alla relazione dell’Avare fastueux con l’anonimo suo precursore, il titolo almeno - antitetico come nella prima commedia francese del Goldoni - non era nuovo al teatro. Il quale altri falsi prodighi ebbe ancora, prima e dopo il Goldoni: Le faux généreux on le bienfait anonyme di Moulier de Moissi, ree. nel 1745 e ancora Le faux géneréux del Bret che è del 1758, l’Avare cru bienfaisant di J. L. Desfaucherets del 1784, lavoro mediocre che non si salvò dai fischi (Ditionnaire des théâtres de Paris), e " O avaro dissipador " di Manoel de Figueiredo, il cui solo titolo - scrive il Braga - mostra l’ingegno e l’inventiva da chi concepì tale argomento, non trattato da nessuno dei tanti scrittori drammatici d’alcuna nazione e che tuttavia è un ridicolo comune che s’incontra tutti i giorni nel mondo " (Braga, A baixa comedia e a opera no seculo XVIII, 1871, p. 275). Peccato che di questa commedia del Figuereido (n. nel 1725, m. nel 1801), la cui operosità si svolse parallela alla goldoniana, il Braga non possa dirci la data. A noi non fu possibile rintracciare il lavoro. Achille Neri ricorda ancora un Avare fastueux, manuscrit du XVIII siecle, in versi, offerto in vendita in un catalogo Claudin, ma non poté vederlo (Giorn. stor. e letterario della Liguria, ]902, p. 55).
Carità di patria insinua nei giudizi dei critici la più generosa indulgenza verso quest’ultimo prodotto della musa goldoniana. Se alla Francia si deve riconoscenza d’averlo ospitato, essa - argomenta Luigi Carrer - va debitrice al Goldoni d’averle restituito il gusto della buona commedia. "E ciò col Burbero benefico, con l’Avaro fastoso, capilavori tutti e due, che non temono, il primo segnatamente [restrizione opportuna!], il confronto di qualsivoglia commedia d’antico o moderno autore."Ma tornando sull’argomento avverte che la malaventura dell’Avaro non era dovuta solo all’essere questa la seconda delle commedie francesi, ma anche al lavoro in sè (Carrer, Saggi su la vita e su le opere di C. G„ Venezia, 1825, p. I, pag. 162. p. III, pag. 139). E il Meneghezzi che nelle commedie composte a Parigi trova il meglio della produzione goldoniana, offre incenso di esagerate lodi anche a questa {Della vita e delle opere di C. G., Milano, 1827, p. 133). Per la stessa via si mette il Borghi, per altri riguardi sì benemerito. Proclama egli
capolavori tanto il Burbero che l' Avaro e deplora che questo si sia dato una volta sola "malgrado i molti pregi di cui abbonda" (Modena a C. G., 1907, p. 101). Non men caldo elogiatore il Giovagnoli che ammira l’antitesi veramente sapiente e meravigliosa del fasto e dell’avarizia, così "stupendamente delineata e sintetizzata nel Conte di Casteldoro dell'Avaro fastoso" (Meditazioni d’un brontolone, p, 213). Altri pregi nota il Galanti:"Gl’imbarazzi e le situazioni equivoche di tutta la commedia rendono l’Avaro fastoso uno de’ lavori più vivaci e più fini del nostro poeta. "Per questo la commedia, "meteora" che "apparve e passò... meriterebbe di riapparire e di esser giudicata ancora dal pubblico" (C. G. a Venezia nel sec. XVIII, Padova, 1882, p. 460, 467). Il Malamani sente nella commedia la grave età del Maestro, ma vi nota anche pregi eminenti: "I sessantacinque gli pesavano già sulla schiena, l’estro era tardo, stanco il cervello. Nell’Avaro fastoso (Goldoni) avea fondate di molte speranze, e infatti, benché al disotto di parecchi de' suoi lavori, ha però scene stupende e tali bellezze da compensare i difetti. Essa è certo il tramonto d’un genio, ma un tramonto illuminato dall’arte" (Nuovi appunti e curiosità goldoniane. Venezia, 1887, pp. 142-143). Commedia " veramente originale " sembra al Caprin (C. G., la sua vita, le sue opere, Milano, 1907, p- 228). "Se... come studio di carattere" - giudica il Masi - l’Avare fastueux è certamente superiore al Bourru bienfaisant,...come esecuzione di commedia, ci sembra immensamente inferiore". E loda l'ottima comicità del motivo fondamentale, e per quel che riguarda i rapporti di questo coll’avaro del Molière, già discussi dal Rabany, aggiunge: "Non tanto... nel carattere dell’Avaro il G. ha imitato infelicemente il Molière, bensì in quella serie di quadretti staccati, nei quali il carattere dell’Avaro fastoso si esperimenta, ma nei quali il Molière non è emulato, ed il vero Goldoni, il fecondo inventore e intrecciatore di situazioni comiche prorompenti dal fondo della commedia, non c'è più" (Scelta di commedie di C. G., Firenze, 1897, vol. I. p. XXVI).
Di traduzioni, oltre all’italiana, lavoro dello stesso autore, che venne a luce la prima volta nel vol. IX (1789) dell’ed. Zatta, conosciamo solo due inglesi:
Avarice and ostentation — A comedy in five acts translated from the italian of Carlo Goldoni, in The theatrical Recorder by Thomas Holcroft, London, 1805. Contiene anche una nota sulla commedia e aneddoti goldoniani estratti dalle Memorie (cfr. Catal. della Race, dramm. di L. Rasi, 1912, pag. 419).
The spendthrift miser, in The comedies of C. G. edited with an Introduction by Helen Zimmern. Collection of Masterpieces of foreign Authors. London, 1892. Nell’introduzione è detto che nessun’altra del Goldoni s’accosta forse meglio di questa alle comédies de société della Francia moderna (pp. 29-30).
Intorno a recite di questo novissimo Avaro goldoniano sulle nostre scene sappiamo solo che dal 1828 l’ebbe nel suo repertorio - con quale fortuna? - la Reale Sarda (v- Costetti, la Comp. R. S. 1893, p. 50). Ma più volte ne fu chiesta la ripresa. Nel 1829 il co. Carlo Ritorni ne’ suoi preziosi Annali del Teatro della città di Reggio, contento del felicissimo esito di un Ricco insidiato mai dato prima colà, " augurava che si cavassero spesso
"simili tesori dagli erari vastissimi del Goldoniano repertorio" e nominava in primo luogo l'Avaro fastoso (pag. 42). Enrico Montazio, in un suo Sermone ai goldonianissimi Filodrammatici Concordi di Firenze, avrebbe voluto che recitassero, più che le commedie correnti, quelle lasciate in una vergognosa e immeritata inazione dai comici, come l’Avaro fastoso..." (La Rivista, Firenze, 28 marzo 1846). E proprio a Firenze, stando alla Maschera (3 febbraio 1897,) questo si doveva recitare del bicentenario, ma forse vi è confusione col Geloso avaro, commedia d’ambiente fiorentino, di cui Jarro avea chiesto ripetutamente la ripresa. Anche Ferruccio Benini pel novembre di quell’anno promise l'"esecuzione" del Fastoso (la Maschera 15 giugno 1907)... Nelle Terminazioni d’un’operosa Accademia letterario-drammatica Veneta, sorta nel 1775 a Venezia, è spesso parola dell’Avaro fastoso che tra il 1776 e il ’78 dovette essere uno dei lavori più cari a quei dilettanti. E certo per questi dilettanti Andrea Querini, che fu pure nel loro consiglio, l’avea chiesta al Goldoni (vedi sopra). (Cod. Cicogna 2999 del Museo Correr. Comunicazioni di Giuseppe Ortolani).
E. M.
La stampa dell'Avare fastueux fu compiuta sulla trascrizione diligentissima del manoscritto della commedia, giacente presso l’archivio della Comédie Française a Parigi, fatta dalla signora L. Blake Buequet, per invito del prof. Edgardo Maddalena, e collazionata dallo stesso archivista signor Couet. Il manoscritto non appare di mano dell’autore; ma del Goldoni sono certo le correzioni ed aggiunte in inchiostro rosso, da noi di volta in volta indicate. La nostra stampa è del tutto fedele al manoscritto: ogni correzione grafica abbiamo segnato in nota: solo abbiamo aggiunto, per facilità di lettura, moltissimi accenti trascurati dall’autore e qualche lineetta d’unione, poiché il Goldoni ora ne fa uso e ora se ne dimentica. — L'Avaro fastoso che abbiamo stampato in Appendice, cioè la traduzione dell’Avare fastueux compiuta dall’autore, uscì la prima volta a Venezia, l’anno 1789, nel t. IX dell’edizione Zatta; e fu ristampato a Lucca (Bonsignori, t. IX, 1790), a Bologna (a S. Tommaso d’Aquino, ’91), a Livorno (Masi, t. XXVI, ’92) e ancora a Venezia (Garbo, t. IX, '96: sul frontespizio di questa commedia si legge impresso: "in Torino, 1796, appresso Franc. Prato"). Si trova poi nelle principali raccolte di commedie goldoniane del secolo decimonono. Noi abbiamo seguito fedelmente il testo dell’ed. Zatta, tenendo pur conto delle ristampe.