Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/455


447

ginale. Se lo sciocco Mr. Jourdain, sedotto dal suo amore per la nobiltà, non avesse già bussato alle porte della società, questo stesso Casteldoro dal titolo comperato che invano tenta di entrare in una casta a lui chiusa, poteva essere accolto come l'arrivista tipico. Ma egli non è originale né come avaro né come risalito; perciò la commedia, che da lui s’intitola, diventa interessante solo per la sua forza scenica e la limpidità con cui sono tracciati uno o due dei caratteri minori: specialmente il Marchese di Courbois, azzurro di sangue quanto scarso di borsa. Ma anch’esso non è che un parente francese del Marchese di Forlipopoli, di Don Marzio e del Conte di Rocca Marina". E si meraviglia il critico americano che Goldoni nelle Memorie s’occupi di questa più che di qualunque altra delle sue commedie quasi a convincere chi legge come sia stata ingiusta la condanna. No, risponde il Taylor, la sua ultima commedia cadde perché meritava di cadere e quel tal sacco, dal quale anche dopo il Vecchio bizzarro Goldoni aveva tratto tante meravigliose commedie (fr. Memorie, II, cap. 23) questa volta "era vuoto davvero" {Goldoni, a biography, New York, 1913, p. 530-531).

All'Avare fastueux il Toldo dedica pure uno studio speciale con accenni a una possibile fonte. Esiste alla Nazionale di Parigi un’omonima commedia manoscritta, recitata nel 1720 (Fonds français, ms. 24, 343). L’apre un monologo di Scappino che, intollerante del suo umile mestiere, vuol farsi autore. Scriverà una commedia:

Mon maître sur ma foi jouera le premier rôle.
Ah que par ce moyen ma pièce sera drôle!
Il est tout à la fois avare et fastueux.
Fort bien, voilà d'abord le titre, il est heureux....


L'affinità appare evidente nella figura principale. Meno nell’intreccio, che si svolge intorno al matrimonio d’un figliolo dell’avaro. Ma si fa un gran parlare d’un sontuoso banchetto, per il quale sono in aspra lotta fasto e taccagneria, si discorre d’abiti di grande apparenza e di poca spesa, e vi ha domestici che con la consueta loquacità informano della buffa occulta spilorceria del padrone... Che cosa concluderne? Sentiamo il Toldo: "Io non so se il Goldoni abbia letto o veduto rappresentare codesto A. f., del quale non ho raccolto altre notizie.... Fra il conte di Chateaudor ed Argante corrono, senza dubbio, intime relazioni e v’è pure simiglianza nella parte rappresentata dai servi e in quel banchetto, che nelle due commedie pesa, come un incubo, sui protagonisti ed anche sugli uditori. Queste somiglianze non bastano però, a mio credere, perché il secondo degli avari fastosi debba ritenersi necessariamente dipendente dal primo. In quello del Goldoni l’intreccio è in buona parte diverso.... Del resto, più che di questione di fonte, trattasi qui d’indagine artistica. È curioso, ma non impossibile, che a due scrittori sia venuto in mente di svolgere lo stesso tema ed è interessante di vedere i diversi atteggiamenti e le varie espressioni della loro vis comica " (P. Toldo, L’Avare fastueux, Giorn. stor. d. letter ital.., 1909, e. III, p.p. 336-337). E da questo parallelo emergono difetti e pregi del lavoro goldoniano; incoerenza e ingenuità nel Conte, che tien testa al sarto e all’orefice, ma si fa gabbare da uno scrittorello di genealogie; ingenuo il sarto che rivela senza necessità le sue male arti. E perché Araminta che è pur donna di senno