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non dedica più un "poème" al suo mecenate, ma una "commedia ". Così anche nelle Memorie, ma nel copione alla parola pièce cancellata si sostituiscono livre e poème - correzioni suggerite da riguardo agli attori o da essi volute. Il traduttore fece poi il comodo suo.

Nella forma italiana la commedia si fa più pesante e domina la consueta verbosità goldoniana. Una breve battuta come si l'on vous annonce, elle tremble, è diluita così: " Quando vi sente o vi vede venire, ella cambia di colore e trema e vorrebbe nasconclersi ". A un laconico quel homme! risponde un pettegolo che uomo singolare che è mio fratello! La breve arguta scena dove il conte approfittando d’una leggera indisposizione di Eleonora si affretta a sospendere la famosa cena, perde ogni sapore nella prolissa veste della traduzione (a. III, III). A svelare sinceramente il suo cuore ad Araminta, a confessarle cioè come per assestarsi abbia bisogno della dote di sua figlia, il cavaliere sfila (nella traduzione) un lungo ben tornito discorso che prende tutta una pagina di stampa.

Messe a confronto le due commedie non si può non concludere - per la maggior agilità del dialogo e della forma - a favore della lezione originale. Il francese del G. non vuol esser quello di Boileau o di Molière, ma se non è la bella liscia strada maestra, non v’incespichi mai in certi aguzzi ciottoloni che farebbero vedere le stelle al meno pedante dei puristi. False eleganze, barbarismi e i più goffi e più buffi gallicismi (ella negligenta tutto, allumando, il marchese è incantato, la figlia è guadagnata, addirizzatevi a un libraio, ecc.) infiorano a ogni passo questa traduzione e non s’intende come potessero sfuggire al Goldoni che se non fu un precursore di padre Cesari e del marchese Puoti mandava in Italia ancora dopo il ’70 lettere, poesie e dediche che non mostrano avesse scordato a tal segno la lingua del suo paese.

A Parigi gli amici del Goldoni, desiderosi di vedere la commedia sulla scena della capitale, restarono male alla notizia del ritiro e s’adoperavano a rimuovere l’autore dalla sua decisione. Se gli attori si fossero mostrati proclivi a recitarla ancora, egli non si sarebbe opposto. Invece erano disgustati quanto lui. " Era una commedia nata sotto cattiva stella ", - scrive il Goldoni - " bisognava temerne gl’influssi, condannarla all’obblio, e il mio rigore giunse al punto di rifiutarla pure a chi me la chiedeva per leggerla (Mém., ibid.). Ma neanche questa volta fu irremovibile. Perchè appena " uno dei più grandi signori del Regno " (il conte di Provenza?) volle sentirla, il G. s’affrettò a contentarlo. Lesse mirabilmente la parte del Marchese un tale di cui le Memorie tacciono il nome, e il resto una signora, pure anonima, con molta facilità e garbo. La commedia parve piacesse, e l’autore n’ebbe lodi. Dunque il rovescio del Burbero che alla lettura in casa Du Deffand capitombolò per rialzarsi trionfalmente alla recita.

Passano gli anni e crescendo l'età e i bisogni il G. pensa a trarre dall’obblio il suo poco avventurato lavoro per risarcire con una sua fortunata ripresa la Comédie d’un prestito avutone ch'egli non era in grado di pagare altrimenti. Manda perciò all’amico Molé (v. nota al Burbero benefico) la commedia ritoccata " con la massima cura " e s’augura che si reciti almeno dopo la sua morte. Aveva 82 anni. Ma non rinuncia alla speranza più bella e nell'espansiva intimità della lettera se ne confida all’affettuoso intermediario. "Ma