L'amore paterno/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Celio, Silvio, Florindo, Petronio ed Arlecchino.
Celio. Animo, animo, bisogna venire con noi.
Arlecchino. Sior no: in casa de Camilla no ghe voggio più andar.
Florindo. Dite di non volerci andare, e ci siete?
Arlecchino. Ghe son? Se ghe son, i m’ha condotto per forza. I me gh’ha strascinà, e questa l’è una impertinenza, che i galantomini no i se conduse per forza.
Celio. Noi vi abbiamo persuaso, noi vi abbiamo condotto, ma non vi abbiamo usata violenza.
Arlecchino. Sior sì, per causa vostra son vegnù qua, che no ghe voleva vegnir.
Florindo. Volete voi ch’io vi dica, come ci siete venuto?
Arlecchino. La me farà grazia de dirmelo, perchè mi no lo so.
Florindo. Fate attenzione all’imagine, e ditemi se vi è della fantasia, (a Petronio) Avete mai veduto la commedia rappresentata da’ burattini? (ad Arlecchino)
Arlecchino. Sior sì, l’ho vista; e cossa gh’intrio mi con i burattini?
Florindo. I burattini sono regolati da un ferro, confìtto loro nel capo, e da alcuni fili attaccati alle loro mani ed ai loro piedi. Non si muovono che per via de’ fili, non camminano che coll’aiuto de’ fili, non vanno di loco in loco che col mezzo del ferro che li conduce, e non parlano che colla voce di colui che li fa giocare. Eccoci al caso nostro. Voi siete il burattino. Amore è colui che vi giuoca. La passione è il ferro che vi conduce, non vi movete che coi fili del desiderio, e spinto dall’affetto, e tirato dalla bellezza, siete fin qui venuto senza saper di venirci. Eh! che vi pare della novità del pensiere? (a Petronio, pavoneggiandosi)
Petronio. Maravigliosa.
Arlecchino. Come? a mi burattin? Dirme a mi che son una testa de legno? Sangue de mi! cammino colle mie gambe, e penso colla mia testa, e no ghe ne voi più saver de Camilla. E anderò via, e no ghe tornerò più. (E pur gh’è un filo che me move, e un ferro che me vorria trattegnir).
Celio. Ma via, caro Arlecchino, acchetatevi. Vediamo se vi è il modo di accomodare questa faccenda.
Arlecchino. No gh’è caso, l’è impussibile, no l’accomoderemo mai più.
Silvio. Siete voi ragionevole?
Arlecchino. Me par de sì.
Silvio. Fate che la ragione vi guidi.
Arlecchino. No gh’è remedio.
Florindo. Signor Pretonio, persuadetelo voi.
Petronio. Lo persuaderò io.
Arlecchino. Xe impussibile.
Petronio. Ecco il mio consiglio. Fate tutto quel che volete.
Arlecchino. Bravissimo, no ghe ne vôi più saver.
Celio. Quand’è così, è superfluo di più parlarne. Amici, andiamo, egli non merita che ci prendiamo pena per lui; anzi dobbiamo persuadere Camilla ad abbandonarlo del tutto.
Silvio. Lasciamolo nella sua ostinazione.
Florindo. Sì, abbandoniamolo alla sua villana risoluzione. Andiamo a convincere, andiamo a disingannare Camilla.
Petronio. Il mio consiglio è approvato. Andiamo.
Arlecchino. Le diga, le senta, le se ferma. No son po gnanca ustinà, come le me crede.
Celio. Sì, bravo. L’uomo di garbo conosce poi la ragione. Siete ancora in tempo. Siamo qui per voi. (Si vede che è innamorato. Prevaliamoci del momento). (agli altri)
Silvio. Consigliatevi col vostro cuore.
Florindo. Il filo, il filo del vostro amore.
Petronio. No, il mio consiglio.
Celio. Permetteteci di parlare a Camilla.
Silvio. Vedetela.
Florindo. Andiamola a ritrovare. Facciamola qui venire.
Petronio. No, il mio consiglio.
Arlecchino. Cossa gh’intra el vostro conseggio? Cossa me rompeu la testa co sto vostro conseggio? (a Petronio)
Celio. Presto, presto, Camilla. (parte)
Florindo. Sì, Camilla, Camilla. (parte)
Petronio. È contento Arlecchino di veder Camilla? (a Silvio)
Silvio. Sì, è contento.
Petronio. Bene. Faccia quel che gli pare. In ogni maniera avrà sempre seguitato il mio consiglio. (parte)
Arlecchino. (Son confuso, no so gnanca mi, me sento un fogo, una smania, un battimento de cuor).
Silvio. Arlecchino.
Arlecchino. Signor.
Silvio. Ecco Camilla che viene.
Arlecchino. Camilla?... voggio andar via.
Silvio. No, amico, non partirete. Amore non vi permetterà di partire. (parte)
Arlecchino. Amor m’impedirà de partir? Sior no. Cossa èlo sto amor? Elo un mago che me possa incantar? No gh’ho paura, voggio andar via. (vede Camilla) Ah, ecco là la magia che m’incanta.
SCENA II.
Camilla ed Arlecchino.
Camilla. (Briccone! trattarmi in tal modo, usarmi una simile crudeltà? Meriterebbe ora ch’io lo scacciassi).
Arlecchino. (Vorria, e no vorria; ma no, mi no ho da esser el primo).
Camilla. (Pretenderà ch’io vada a pregarlo. L’ho avvezzato male, e se mi mette il piede sul collo, quando sarò sua moglie mi tratterà come un cane).
Arlecchino. (Ho proprio volontà de guardarla; ma se la guardo, son fritto).
Camilla. (Chi sa mai cosa pensa? Chi sa mai con quale intenzione sia qui ritornato?)
Arlecchino. (Coraggio, el vol esser coraggio. Andar via senza dirghe niente). (in atto di partire)
Camilla. (Si schiarisce con un poco di caricatura, senza guardarlo.)
Arlecchino. (Si ferma, e si rivolta verso Camilla. S’incontrano cogli occhi, e restano un poco ammutoliti.)
Arlecchino. Servitor suo. (dolcemente, in atto di voler partire)
Camilla. Serva sua. (inchinandosi con mestizia)
Arlecchino. (No la me dise gnanca, che resta?)
Camilla. (Ha intenzione ancora di lasciarmi? )
Arlecchino. (No, no la voggio pregar. No sarà mai vero, no me voggio avvilir).
Camilla. (È un cane, è un barbaro, senza pietà, senza discrezione).
Arlecchino. (Animo, risoluzion). (in atto di andarsene)
Camilla. (Parte).
Arlecchino. (Bisogna andar via). (come sopra)
Camilla. (Mi lascia, mi abbandona?)
Arlecchino. (Sì, ho risolto, bisogna andar), (va sino alla scena per partire.)
Camilla. Ah, mi sento morire. (si getta sopra una sedia)
Arlecchino. (Sì ferma e si rivolge a guardarla) (Ah, me recordo adesso del ferro e dei fili dei burattini; el gh’ha rason. Amor me move i brazzi, le gambe, la testa, el cuor). Camilla, ve sentìu mal?
Camilla. Oimè, mi sento... un’oppressione di cuore... una mancanza di respiro... un gelo interno, un sudor freddo, un tremor nelle membra, tutti segni mortali.
Arlecchino. Poveretta! Animo, animo, coraggio, no sarà gnente.
Camilla. Crudele! (guardandolo dolcemente)
Arlecchino. (Oh poveromo mi!) Lèvete suso, Camilla.
Camilla. Non posso.
Arlecchino. Provete, che t’aiuterò.
Camilla. (Sì alza, e torna cadere sopra la sedia) Non mi reggo in piedi.
Arlecchino. Dame le man a mi tutte do.
Camilla. Sostienmi. (gli dà le mani)
Arlecchino. Non aver paura, (prende per le due mani Camilla; ella si va alzando, e traballa. Quando è alzata, torna a cadere sulla sedia, ed Arlecchino cade ancor egli, e si ritrova in terra.
Arlecchino. Aiuto.
Camilla. (Balza dalla sedia) Ah poverino! t’hai fatto male?
Arlecchino. Estu guarida?
Camilla. Sì, sono guarita.
Arlecchino. Son guarido anca mi. (s’alza)
Camilla. Caro il mio Arlecchino. (singhiozzando)
Arlecchino. Cara la mia zoggia. (singhiozzando)
Camilla. Mi vuoi tu bene? (come sopra)
Arlecchino. Tutto el mio ben per ti. (come sopra)
Camilla. Sì, è vero, tu mi vuoi bene, ma il povero signor Pantalone...
Arlecchino. Possa cascar la testa a sior Pantalon.
Camilla. Cosa ti ha fatto signor Pantalone?
Arlecchino. Noi m’ha fatto niente: no ghe voggio mal, ma in sta casa mi no lo posso soffrir. Per el magnar, pazenzia. I xe in quattro, i te costerà assae, ma pasenzia; ma se t’ho da sposar, se ho da vegnir in sta casa, mi no vôi nissun. Ti sa el mio temperamento, mi no vôi nissun. Pantalon; do fiole, una predica, l’altra canta; vien della zente, i fa conversazion. Gh’è quel maledetto Scapin. In somma, fin che xe in casa sta zente, mi no ghe voi più vegnir.
Camilla. Ma possibile che io non abbia tanto potere?...
Arlecchino. Vien zente. No vôi sentir altre istorie. Pénseghe suso, e se vederemo. (parte)
SCENA III.
Camilla sola.
Per una parte ha ragione. Mi ha parlato in una maniera, ch’io sono quasi convinta. Io credo che a quest’ora ogni altra donna avrebbe licenziato il signor Pantalone, e pure son così tenera, sono così impegnata, che ci ho ancora della difficoltà.
SCENA IV.
Pantalone, Clarice, Angelica, Celio, Silvio, Florindo, Petronio e Camilla.
Pantalone. Vegnì vegnì, fie mie. (a Clarice ed Angelica) No gh’è bisogno de altri discorsi. Avemo sentio tanto che basta.
Camilla. Ah signor Pantalone! Arlecchino ha fissato il chiodo. Non vi è rimedio.
Pantalone. Savemo tutto. Compatì se la passion m’ha fatto commetter un azion un poco troppo avanzada. Ho ascoltà, ho sentio. Mi son persuaso, le mie putte xe persuase, e bisogna andar.
Camilla. Caro signor Pantalone, io non vi dirò mai che andiate. Soffrirò tutto per voi e per le vostre care figliuole, ma è cosa certa, che ogni momento che qui restate, mi costa un tormento, uno spasimo, un batticuore.
Pantalone. No ve indubitè, fia mia. Doman ve svoderemo la casa.
Celio. E sarà possibile, signora Camilla, che vogliate perdere tutto ad un tratto il merito della vostra virtù, e che abbandoniate queste povere sfortunate?
Camilla. (È grazioso questo signore!)
Silvio. Coronate l’opera, e non dubitate. (a Camilla)
Camilla. (Anche questi colla sua flemma è particolare).
Florindo. Non perdete di vista la fama, l’eroismo, la gloria, (a Camilla) Aiutatemi, signor Petronio, aiutatemi a persuaderla. (a Petronio)
Petronio. Volete voi il mio consiglio? (a Camilla)
Camilla. Non ho bisogno di altri consigli. Ditemi un poco, signori miei, voi altri che mi parlate in favore di questa famiglia, che avete compassione di queste povere signorine, non impiegherete per loro che parole inutili, che consigli vani? Se sentite pietà di loro, perchè non cercate voi stessi di sovvenirle? Non hanno forse bastante merito per persuadervi? Ecco la via di soccorrerle, e di render loro giustizia. Chi ha dell’amore per esse, le può sposare. Chi ha della stima soltanto, può dar loro il modo di essere collocate. Voi lo potete fare, e dovete farlo. Questa è la vera pietà, questo è il vero eroismo, la vera gloria, e non il raccomandarle ad una povera donna, che ha fatto quanto ha potuto, col sagrifìzio del proprio cuore e della propria tranquillità.
Pantalone. Oh cara, oh vita mia, oh come che la parla pulito! La par tutta mia fia. Par che l’abbia imparà da mia fia.
Celio. (Lo scongiuro è forte. L’impegno è grande. Amo Clarice. Ma oh cieli! che mi consiglia il mio cuore?)
Clarice. (Siamo obbligate al buon amor di Camilla, ma noi non saremo meritevoli di tal fortuna).
Angelica. (Siamo nate infelici, e siam costrette a soffrire).
Florindo. Camilla mi ha parlato al cuore. Camilla mi ha intenerito. Queste giovani mi muovono a compassione. Vorrei... convien risolvere... ma convien pensare... Che cosa direbbe il signor Petronio?
Petronio. Per me direi... Sì signor, si protrebbe... Quando mai... per esempio...
Pantalone. Per esempio, delle chiaccole senza sugo.
Florindo. Orsù, la gloria mi consiglia, la pietà m’inspira. Sarò io il primo ad insegnare altrui la via della compassione. Signora Angelica, io vi offerisco la mano.
Silvio. Fermatevi. Voi siete mosso a sposarla dalla gloria e dalla pietà, io dal merito e dalla stima. Decida la signora Angelica a chi vuol conceder la mano.
Angelica. lo non ardirò di rispondere, senza l’autorità di mio padre.
Pantalone. Fia mia, no so cossa dir. Desidero che ti sii contenta, ma considera che ti è la segonda, e me dolerave assae de veder a far un torto alla prima.
Florindo. Per me è tutt’uno. Sposerò la prima, se vi contentate.
Celio. Piano, signore. Io amo la signora Clarice. Esitai lungo tempo, ma non ho cuore di vederla sagrificata ad un imeneo senza amore. S’ella è di me contenta, ho risolto, e le offerisco la destra.
Clarice. Che dite voi, signor padre?
Pantalone. Estu contenta, fia mia?
Clarice. Contentissima.
Pantalone. E mi, più che contento. (Clarice e Celio si danno la mano)
Florindo. Decida dunque la signora Angelica.
Angelica. Giacché mio padre l’accorda, accetterò la mano del signor Silvio.
Silvio. Una tal preferenza mi onora. (si danno la mano)
Florindo. Son contentissimo in ogni modo. Avrò io il merito di aver provocato gli animi all’eroismo, alla gloria; che dice il signor Petronio?
Petronio. Vi faccio il mio umilissimo complimento.
Pantalone. Son rinato, ho acquistà dies’anni de vita, no ghe xe adesso l’omo più felice de mi. El cielo ha provisto le mie creature. La virtù xe premiada, el merito xe ricompensà; ma con bona grazia de sior Florindo, la causa de tutto sto ben xe Camilla.
Camilla. Ah sì, io non posso bastantemente spiegarvi la mia contentezza. Presto presto, mandiamo a chiamar Arlecchino.
SCENA ULTIMA.
Arlecchino, Scapino e detti.
Arlecchino. Son qua, ho inteso tutto, me consolo con lor signori. Me rallegro co ste do signore che le sia proviste, me rallegro co sior Pantalon, che el sarà contento. E adesso che la casa ha da esser libera e desbarazzada, son qua, Camilla, se ti vol, son pronto a darle la man.
Camilla. L’accetto col maggior piacere del mondo, contenta di aver soddisfatto all’amore, e alla compassione. (si danno la mano)
Pantalone. Sor fora de mi dall’allegrezza. Me giubila el cuor. Siori, compatime se dago in trasporti de giubilo, de consolazion. Son pare. Amo le mie care fie, e no ghe xe al mondo amor più grando, amor più forte dell’Amor Paterno.
Fine della Commedia.