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ATTO TERZO | 319 |
Camilla. Caro signor Pantalone, io non vi dirò mai che andiate. Soffrirò tutto per voi e per le vostre care figliuole, ma è cosa certa, che ogni momento che qui restate, mi costa un tormento, uno spasimo, un batticuore.
Pantalone. No ve indubitè, fia mia. Doman ve svoderemo la casa.
Celio. E sarà possibile, signora Camilla, che vogliate perdere tutto ad un tratto il merito della vostra virtù, e che abbandoniate queste povere sfortunate?
Camilla. (È grazioso questo signore!)
Silvio. Coronate l’opera, e non dubitate. (a Camilla)
Camilla. (Anche questi colla sua flemma è particolare).
Florindo. Non perdete di vista la fama, l’eroismo, la gloria, (a Camilla) Aiutatemi, signor Petronio, aiutatemi a persuaderla. (a Petronio)
Petronio. Volete voi il mio consiglio? (a Camilla)
Camilla. Non ho bisogno di altri consigli. Ditemi un poco, signori miei, voi altri che mi parlate in favore di questa famiglia, che avete compassione di queste povere signorine, non impiegherete per loro che parole inutili, che consigli vani? Se sentite pietà di loro, perchè non cercate voi stessi di sovvenirle? Non hanno forse bastante merito per persuadervi? Ecco la via di soccorrerle, e di render loro giustizia. Chi ha dell’amore per esse, le può sposare. Chi ha della stima soltanto, può dar loro il modo di essere collocate. Voi lo potete fare, e dovete farlo. Questa è la vera pietà, questo è il vero eroismo, la vera gloria, e non il raccomandarle ad una povera donna, che ha fatto quanto ha potuto, col sagrifìzio del proprio cuore e della propria tranquillità.
Pantalone. Oh cara, oh vita mia, oh come che la parla pulito! La par tutta mia fia. Par che l’abbia imparà da mia fia.
Celio. (Lo scongiuro è forte. L’impegno è grande. Amo Clarice. Ma oh cieli! che mi consiglia il mio cuore?)
Clarice. (Siamo obbligate al buon amor di Camilla, ma noi non saremo meritevoli di tal fortuna).