Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo XXI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XXI.
I. Ermogene dopo la vittoria de’ Persiani sulle ripe dell’Eufrate andò incontanente ambasciadore a Cavado per domandargli pace; ma tutto fu vano, essendo ancora il re grandemente invelenito contro dei Romani.
II. Belisario in pari tempo ricevè ordine di tornare in Bizanzio, e giuntovi ebbe la capitananza dell’esercito raccolto a combattere i Vandali, riportando Sitta1 il comando delle truppe contro la Persia, da dove in quello stante le armi reali, condotte dal canarange, da Aspebedo e da Mermeroe, mettevan piede nella Mesopotamia.
III. Questi nelle marce loro non incontrato impedimento alcuno, presero tosto ad assediare Martiropoli2, essendovisi rinchiusi Buze e Bessa per difenderla. Tale città, situata nella regione detta Sofanene, ha da settentrione alla distanza di dugento quaranta stadj Amida, e poco lontano dalle sue porte il fiume Ninfio3, che divide i confini dell’imperio e del regno. I terrazzani però avvegnachè investiti fortemente dal nemico, respinsero pieni di coraggio i primi assalti, ma con tutta la bravura loro ben si capiva che non avrebbero fatta lunga resistenza per lo mal essere di quelle mura impotenti a reggere contro una gagliarda scossa; oltre di che mancavano là entro e vittuaglie e macchine all’uopo. Sitta pervenuto colle truppe ad Attaca4, terra lontana da Martiropoli cento stadj; posevi gli accampamenti non osando procedere innanzi, ed aveva seco l’ambasciadore Ermogene, partitosi altra fiata da Bizanzio5. Accadde poi in quel mezzo cosa meritevole di narrazione.
IV. Havvi antichissima costumanza tra Romani e tra Persi di mantenere col pubblico danaro esploratori nel paese nemico, incaricati di osservare quanto vi succede per trasmetterne quindi avviso al duce loro, e la maggior parte di essi conservano fedeltà ed amore ai propri concittadini; altri per lo contrario, disleali, manifestano cui non dovrebbero le più arcane cose. Ora uno di questi recatosi da Giustiniano appalesògli tutte le trame dei barbari, e v’aggiunse che i Massageti6 erano dispostissimi a strigner lega seco loro per dare il guasto alle romane terre. L’imperatore, dopo varie interrogazioni conosciutane la verità, indusselo per danaro di riportare agli assediatori di Martiropoli, come gli Unni suddetti, lasciatisi dal partito nemico subornare, marciavano di già contr’essi. Divulgatasi pel campo la nuova destò negli animi del canarange e di tutto l’esercito costernazione sì grande che nessuno più sapea qual consiglio abbracciare.
V. Non guari dopo tali vicende Cavado afflitto da grave malattia spedì in traccia del persiano Mebode, suo confidentissimo, ed intertenutosi dapprima a ragionare seco del figliuolo Cosroe e della regale successione, disvelògli alla per fine i suoi grandi timori non i Persiani cangiassero qualche parte di ciò che aveva in proposito deliberato. Mebode allora il pregò di fidargli il testamento, assicurandolo che i sudditi non avrebbonlo in cosa veruna disubbidito. Ed il re fecegli scrivere l’ultima sua volontà, destinando Cosroe al trono; dopo di che uscì prestamente di vita7.
VI. Terminata la cerimonia della pompa funebre Coase voleva impossessarsi del regno, Mebode però il contraddisse rammentandogli non essere a chicchessia accordato l’ascendere di per sè alla suprema onoranza, ma doversi questa compartire dall’unanime consenso degli ottimati del regno; e quegli sperando ottenerne i voti, di leggieri condiscese ad attendere la costoro sentenza. Ragunatosi pertanto il consiglio Mebode lesse il testamento a favore di Cosroe, e la rimembranza del virtuoso defunto ebbe tanto potere su quegli animi, che tutti ad una voce proclamaronlo signor loro; di tal guisa e’ pervenne a conseguire la monarchia persiana.
VII. Sitta ed Ermogene, per tornare alle guerresche faccende, presi da grave timore non Martiropoli s’arrendesse, nè avendovi altronde mezzo di soccorrerla, fecero una deputazione ai comandanti nemici, la quale, giunta alle costoro tende, sì disse: «Voi non v’accorgete, o Persiani, che ributtando la pace involontarj tradite la causa del re vostro, e gl’interessi comuni ad ambe le genti. Gli ambasciadori di Giustiniano per accomodare le nostre querele arriveranno in brev’ora; ed intrattanto noi siamo più che disposti a darvi statichi scelti intra le prime romane famiglie per rimovere ogni dubbio sulla verità di quanto asseriamo. Ritiratevi adunque dalle nostre frontiere, acciò sieno le conferenze pienamente libere e tranquille». Pronunciate appena queste parole capita dalla Persia un messo apportatore della morte di Cavado, della elezione di Cosroe, e dei torbidi nati in tale frangente. Le nuove udite ed insiem la paura che sorvenissero gli Unni persuasero ai duci persiani di accettare le offerte condizioni, e gl’imperiali diedero loro in ostaggio Martino e Senecione guardia di Sitta: levatosi quindi l’assedio tornarono le truppe nel regno, e dopo la partenza loro incontanente gli Unni comparvero su le imperiali terre, dove, più non trovando i Persiani, fecero brevissima dimora.
Note
- ↑ V. cap. 19, § 4; cap. 15, § 2.
- ↑ Conosciuta in oggi sotto il nome di Miafarekin, distante da Amida non maggior intervallo di quello che un ben cinto camminatore, per usare la frase di Erodoto, possa scorrere in una giornata.
- ↑ Altri leggono Nimfeo. Basilinfa o Barema nei geografi orientali; Plinio il descrive sotto il nome di Tigri.
- ↑ È forse la nominata Astaca da Appiano nella Guerra siriaca.
- ↑ V. cap. 13, §3.
- ↑ Bellissima è la descrizione di questo popolo fatta da Erodoto. «I Massageti, ei dice, hanno vestimento e vivere simile a quello degli Sciti. Cavalieri pugnano e pedoni, chè e nell’uno e nell’altro sono valenti. Arcieri ed astati, costumano di portare bipenni. Oro e rame usano in ogni cosa: perocchè in quanto si spetta alle aste, alla punta delle saette, ed alle bipenni non usano se non se rame: ma quanto alla testa si pertiene, ai cingoli, alle fasce delle ascelle, ornano d’oro. Similmente intorno al petto dei cavalli cingono loriche di rame; ma d’oro sono le redini, i morsi, e le bardature. Ferro ed argento non usano punto; chè di ciò non v’ha il minimo che nel paese loro. Il rame poi e l’oro v’è immenso in copia. Di tali istituti si servono. Ciascuno sposa una donna; ma di queste usano in comune, avvegnachè ciò che dicono i Greci farsi dallo Scita, non sono già gli Sciti che il fanno, bensì i Massageti. Quando il Massageta sia tocco di desiderio per una donna, appeso il turcasso davanti al carro, con essa si mischia senza altro rispetto. Per essi non è proposto nessun limite all’età, ma allorquando uno diviene vecchio, tutti prossimi convenendo lo sagrificano, e con esso altro gregge; e lessate le carni banchettano. Ciò essi stimano beatissimo; e quegli che finisce per malattia nol mangiano, ma il sotterrano, reputando disgrazia che non sia pervenuto al sagrificio. Nulla seminano, ma di bestiame vivono e di pesci, e questi in copia grandissima provengono loro dal fiume Arasse. Di latte son bevitori. Unico fra gl’Iddii onorano il Sole, al quale sagrificano cavalli, e la ragione del sagrificio è questa. Al velocissimo degli Iddii tribuiscono il velocissimo de’ mortali (lib. i, trad. di A. Mustoxidi).»
- ↑ «Cavado ristabilitosi in trono vi sedè, più che prima dispotico altri anni trenta, cosicchè in due volte la sua monarchia giunse agli anni quarantuno (Agazia, lib. iv, cap. 11).» L’epoca della sua morte corrisponde all’anno quinto di Giustiniano imperatore ed al 532 dell’era volgare.