Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo XIX

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CAPO XIX.

Lega di Giustiniano con gli Etiopi e gli Omeriti contro la Persia. — Descrizione del mar Rosso. — Terra de’ palmeti donata a Giustiniano da Abocaralo. — Saraceni soprannomati Maddeni; altri di essi antropofaghi. — Etiopi detti Auzomiti. — Due porti. — Navigli di particolare costruzione sul mare etiopico, e nelle Indie. — Blemj e Nobati. — Tempio inalzato da Diocleziano presso di Elefantina, File nomandone il luogo. — Empj sagrifìzii di que’ barbari. — Giustiniano lo atterra.

I. Giustiniano dopo la passata sconfitta risolve legarsi con gli Etiopi e gli Omeriti1 contro de’ Persiani. Qui cade in acconcio che io descriva il suolo abitato da questi popoli, e narri i vantaggi sperati dall’imperatore in virtù di tale confederazione.

II. La Palestina da oriente ha per limite il mar Rosso2. Questo dalle Indie estendesi alle frontiere del romano imperio, ed in una delle sue rive sorge Aila3 [p. 100 modifica]laddove appunto il mare terminando forma un piccolissimo stretto, e chi lo naviga mira alla sua destra da mezzogiorno le montagne egizie, ed alla manca da settentrione un vasto deserto; nè perde, viaggiandovi, la terra di vista, sino a che non approdi all’isola Iotaba4, lontana mille stadj e non meno da Aila. L’isola è popolata di alcuni ebrei, liberissimi ognora prima dell’imperator Giustiniano. Inoltrando viemmaggiormente, l’occhio non scuopre più terra alla destra, avvegnachè da sinistra si cali ogni notte a dormire sulla ripa, rendendovi i banchi di sabbia la navigazione fra le tenebre molto pericolosa. Hannovi eziandio varj porti, opera della natura non dell’uomo, e l’entrarvi è agevol cosa in ogni tempo.

III. Valicati i confini della Palestina metti il piede in quel de’ Saraceni, dimoranti ab antico sopra terra ferace di palmeti, non allignandovi altro albero comunque, e donata da Abocaralo, signor di lei, a Giustiniano, riportandone in guiderdone la filarchia de’ palestini Saraceni, dov’egli governa, temuto, i barbari sudditi, e col valore e con la molta esperienza sua guardò e mantiene tuttavia libero il paese dalle nemiche scorrerie; in oggi nondimeno all’imperatore il solo titolo resta d’un tal dominio, non traendone profitto [p. 101 modifica]alcuno. Il mezzo della regione, che a percorrerlo vorrebbonvi dieci giornate di cammino, è al tutto spopolato in causa della grandissima aridità sua, il perchè nulla offre di memorabile, s’eccettui il vano presente fattone da Abocaralo al romano imperatore; e qui termina quanto divisava narrare in proposito.

IV. Subito dopo il palmeto appresentansi i Saraceni chiamati Maddeni5, sudditi degli Omeriti, i quali hanno stanza nella regione presso del mare. Oltrepassati costoro, più altre genti è fama riscontrarsi prima di giugnere ai Saraceni detti antropofagi; seguono poscia gl’Indiani, ma su de’ mentovati popoli, argomento di molte favolose narrazioni, lasciamo ad ognuno il parlarne come la pensa.

V. Gli Etiopi, nomati ancora Auzomiti dalla principale città loro6, soggiornano rimpetto agli Omeriti, nell’opposta ripa: la distanza tra essi agguaglia cinque giorni ed altrettante notti di navigazione con propizio vento, accordando il non avervi scogli di veleggiar liberamente colle tenebre; a questo mare taluni danno il nome di Rosso. Tutto il resto poi, di qua partendoci e andando insino alla ripa o alla città d’Aila, viene [p. 102 modifica]appellato golfo Arabico, per essersi in altri tempi colla voce Arabia indicato quanto havvi paese da trascorrere prima di arrivare nel territorio della città di Gaza7, soggetta in allora all’arabo monarca. [p. 103 modifica]

VI. Il porto degli Omeriti donde si fa vela per l’Etiopia è nomato Bulica, e quello che mette sul continente di essa regione diconlo porto degli Aduliti, giacendo non più che venti stadj lontano da Aduli8, città distante dodici giornate da Auzomide.

VII. In questo mare e nell’indiano vedrai navigli di una costruzione affatto particolare, non spalmati di pece o d’altra cosiffatta materia, nè tampoco fermate da chiodi le assi loro, ma unicamente da lacci. È non pertanto ridicolo il supporre derivatane la pratica dall’incontrarvisi pietre calamitate e quindi attraenti il ferro; i vascelli imperiali forniti abbondantemente di questo metallo, ed in corso al par degli altri per quelle acque smentiscono del tutto il preteso fenomeno; diremmo piuttosto con verità maggiore che gl’Indiani e gli Etiopi mancano di ferro ed il portarvene è dalle leggi proibito sotto pena capitale. Ciò basti del mar Rosso e delle vicine spiagge.

VIII. Partendoci dalla città degli Auzomiti perverremo con trenta giorni di pedestre cammino alle egiziane [p. 104 modifica]frontiere del romano imperio, dove sorge Elefantina9.

IX. In questo intervallo menan lor vita parecchie nazioni, ed anche i Blemj ed i Nobati, frequentissimi popoli; i Blemj sonvi al centro, ed i Nobati alla riva del Nilo10; nè già un tempo i confini dell’imperio erano gli stessi che oggi, ma si proseguiva a camminare sette altre giornate per arrivarvi. L’imperatore Diocleziano visitando que’ luoghi, considerato lo scarso loro profitto in causa delle pochissime terre coltivabili, estendendosi la scogliera all’intorno del Nilo per lungo tratto nel suolo, ed il molto danaro che richiedeva il mantenimento dei presidj, e di soprappiù che i Blemj stanziati nei dintorni della città d’Oasis11 predavano [p. 105 modifica]quanto mai paravasi loro innanzi, l’imperatore, diceva, indotto da sì forti motivi persuase ai Nobati di abbandonare la terra natale promettendone loro di migliore presso del Nilo; ei sperava liberare così dai guasti la campagna vicina ad Oasis e indurre que’ barbari a prendere le difese della regione, come di cosa propria, contro le scorrerie de’ Blemj. I Nobati di buon grado accettarono l’offerta, e vennero a popolare le rive del Nilo a breve spazio dalla città di Elefantina. Diocleziano accordò pure ad entrambi un annuo sussidio in danaro acciò guardassersi dall’apportar danni ai Romani; ma eglino, avvegnachè ricevano ancora tale regalia, non astengonsi punto dal predare la regione, essendo in realtà connaturale a tutta la barbarica gente il rifiutarsi ad ogni maniera d’obbedienza se non che dal timore costretti d’una guarnigione pronta sempre a gastigarne le ribalderie.

X. Diocleziano edificò parimente un castello in altra delle isole del Nilo vicino ad Elefantina, inalzandovi un tempio ed altari comuni ai Romani ed ai barbari, e ne commise i sacri riti a sacerdoti d’ambe le genti, nella speranza che la partecipazione delle cose divine dovesse insieme legarli con inviolabile e santa amicizia, ed in memoria di ciò pose al luogo il nome di File12. [p. 106 modifica]Questi due popoli adorano le pagane divinità, e specialmente Iside, Osiride e Priapo, alle quali i Blemj aggiungono sagrifizj di umane vittime al Sole.

XI. I barbari quindi sino a’ dì nostri furono possessori del tempio di File, ma Giustiniano credè opportuno demolirlo, e Narsete persarmeno, dichiaratosi come scrivemmo13 fautore delle parti romane, fece eseguire mentre reggeva quelle contrade l’ordine antedetto, [p. 107 modifica]imprigionandone i sacerdoti e mandando gl’idoli a Bizanzio. Ma torniamo a quello onde siamo digressi.

Note

  1. Nome forse derivato da quello d’Himiar, proprio del sovrano e significante il re rosso. La costoro città reale dicevasi Mariaba, o, come si legge nell’arabo, Mareb, voce che in essa lingua dinotavate la preminenza. Gli Arabi ne fanno il soggiorno di Belkis regina di Saba, la quale recossi a visitare Salomone. Ora non ne esistono che le vestigia. Macrobj erano pur detti anticamente.
  2. Nomato Pontico dagli antichi, e dai moderni geografi seno Persico.
  3. Da Strabone detta castello, e posta su d’un luogo appartato del seno Arabico, lunge mille dugento sessanta stadj dal porto de’ Gazei (lib. xvi).
  4. Di quest’isola, a breve intervallo dall’Arabia, fa menzione lo storico Malco nelle sue Cose bizantine. V. Storici min., tom. iii.
  5. Il significato di questo arabico nome è quello di uomini attaccati alle miniere.
  6. Azomiti secondo Stefano bizantino. Vopisco in Aureliano dice che i cittadini di lei furono condotti prigionieri nel trionfo di quell’imperatore, e Paolo Diacono (Miscellae, lib. xvi) scrisse che Giustiniano, correndo l’anno decimosesto del suo imperio, debellò il monarca loro. Di Azomiti fa menzione parimente Arriano nel periplo del mare Eritreo.
  7. Gaza è città della Giudea nel fine,
    Su quella via che in ver Pelusio mena:
    Posta in riva del mare, ed ha vicine
    Immense solitudini di arena.


    Due furono le città di questo nome ed a breve distanza tra loro. L’antica, fabbricata dai Maccabei, ebbe rinomanza per le imprese di Sansone, che trasportonne sopra gli omeri le porte alla sommità del vicino monte, e scosse quindi le colonne del tempio, atterrollo, morendovi egli stesso con un grandissimo numero di Filistei. L’altra fu celebre per essersi valorosamente difesa contro i Macedoni capitanati da Alessandro, il quale investendone le mura venne ferito nella spalla da un colpo di catapulta. I suoi cittadini poi ben anche quando videro entro le mura il nemico non cessarono dal guerreggiare, ma concentratisi morirono tutti combattendo. Il Macedone condusse in ischiavitù i figli e le mogli loro e ripopolò la città colle genti intorno, valendosene come d’un presidio per la guerra. «È lontana Gaza dal mare circa venti stadj, ma la via vi sale arenosa e profonda, ed il mare è tutto limaccioso nelle adiacenze. Era città grande sulle cime d’un colle alto, e fortissime mura la circondavano. È l’ultima che si abiti nell’ingresso della solitudine per chi viene dalla Fenicia nell’Egitto» (Arr., Spediz. di Aless., tom. i, lib. ii).

    Ecco in fine l’elogio fatto da Polibio a questa popolazione: «A me sembra giusto insieme e convenevole di rendere ai Gazei la meritata testimonianza. Imperocchè quantunque nelle gesta belliche non sieno più valorosi degli altri abitanti della Celesiria, molto pertanto li avanzano nel coltivare le società e nel serbare la fede, ed al tutto irresistibile è la loro audacia. » (lib. xvii, § 40).
    Gaza esiste tuttavia, ma decaduta moltissimo dal suo primiero splendore.

  8. Nomata dal Cosmografo (lib. iv, cap. 6) Adule, e da Plinio (lib. vi) Aduliton, e Adulitarum oppidum. Essa dava il nome al seno del mare su cui giaceva, ed era un celebre emporio di quelle regioni, nel quale trasportavasi il migliore avorio, detto perciò adulico.
  9. Tolemeo e Strabone non parlano che d’un’isola di questo nome. Leggiamo parimente in Plinio (lib. v, cap. 9): Elephantis insula intra novissimum catarracten quatuor millia passuum, et supra Syenen sexdecim millia habitatur, navigationis Ægyptiacae finis. Mela però (lib. i, cap. 9) fa menzione anche della città esistente nell’isola coll’egual nome: Nilus, dice, usque ad Elephantidem urbem Ægyptiam atrox adhuc fervensque decurrit. Leggiamo in Tacito che Elefantina e Siene costituivano, vivendo Tiberio, i limiti del romano imperio, trasportati di poi al mar Rosso. (Annali).
  10. Uno dei maggiori fiumi del mondo. Vedi le lettere di Gio. Batt. Ramusio, e di Girolamo Fracastoro, per tacere di quanto ne scrissero con diligenza somma i viaggiatori moderni.
  11. Chiamata da Strabone Auasis. Il qual nome orientale sembra derivatole dall’aspetto che prende veduta da lunge, e tradurrebbesi in italiano pelle di pantera; formando i suoi fabbricati sopr’arida e sterile terra una punteggiata superficie non dissimile nell’effetto al mantello della prefata belva. In essa fu rilegato Giovenale (secondo il suo Scoliaste) per avere dato del calvo Nerone all’imperatore Domiziano, ed ebbe i natali il famoso grammatico Apione contro cui Flavio scrisse due libri. Intorno a questa città V. parimente Erodoto, La Talia, o sia lib. iii, e le note del suo traduttore Mustoxidi.
  12. La comunanza de’ tempj fu conosciuta sino dalle età più remote un mezzo efficacissimo per conciliare gli animi de’ popoli, e indurli a vivere in buona concordia tra loro; quindi è che quegli Ionj, i quali dall’Europa migrarono sui lidi della Caria, e que’ Doriesi che misero la sede loro ne’ luoghi dintorno, fondaronsi tempj comuni, erigendo i primi in Efeso quello di Diana, e gli altri in Triopia quello d’Apollo. «E là congregandosi colle mogli e co’ figli ne’ giorni destinati li solennizzavano con sagrifizj, con mercati, con certami equestri, ginnici e musici, e con pubblici donativi agli Dei. E mentre sedeano a spettacolo, mentre mercatantavano, mentre davansi altre significazioni d’amore, intanto se ci aveano offese fatte ad una città, giudici fissi per la dieta o decidevano la guerra co’ barbari, o trattavano la riunione dei Greci tra loro. Servio Tullio anch’egli onde conciliare e congiungere le genti latine, sicchè scindendosi o guerreggiandosi tra loro non fossero al fine spogliate della libertà dai barbari intorno........ consigliavali che fondassero a spese comuni in Roma un tempio di asilo inviolabile, ove le città riunite sagrificassero ogni anno per se stesse e per tutti, facendovi concorso nei tempj che destinerebbero» (Dionigi d’Alic., lib. iv; V. inoltre Polibio, lib. ii, § 39; e Pausania, lib. vii). Diocleziano ascese il trono correndo l’anno 284 dell’era volgare, domò l’Egitto nell’anno quarto del suo imperio, e morì nell’anno 304 dell’era suddetta.
  13. Cap. 15, § 9 di questo libro.