Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte I/Capitolo XVIII

Capitolo XVIII

Cenno de’ suoi primi vescovi
Come Beneveuto fu invasa e devastata dai Goti, e in proceder di tempo restaurata da Narsete.

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Capitolo XVIII

Cenno de’ suoi primi vescovi
Come Beneveuto fu invasa e devastata dai Goti, e in proceder di tempo restaurata da Narsete.
Parte I - Capitolo XVII Parte I - Note alla prima parte

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CAPITOLO XVIII


Ma il Cristianesimo diffuso in Benevento alquanto prima che in altre città del mezzodì d’Italia mutò in poco tempo i costumi e le credenze religiose de’ suoi abitatori, e da quell’epoca sino alla invasione dei Goti la storia ecclesiastica si sostituì alla civile in Benevento ed assunse ampie proporzioni. Io non prenderò a discutere l’ardua questione accennata da alcuni storici municipali se S. Pietro nel trasferirsi a Roma ebbe a soffermarsi alcuni giorni in Benevento; locchè [p. 150 modifica]non è possibile di accertare, e, dato anche che fosse, non aggiungerebbe importanza di sorta alla nostra Istoria.

Gli Apostoli, come si ha dalle storie ecclesiastiche, spedirono in diverse parti d’Italia i più facondi dei loro discepoli, affine di propagarvi la fede cristiana, mediante la predicazione; e a fare che sortisse buon esito una sì ardua impresa cominciarono dalle più cospicue città, nella fiducia che, converse queste al Cristianesimo, sarebbe tornato più agevole indurre coll’esempio le città minori a professare la medesima fede. Ed è ammesso da tutti che S. Pietro mandò ai beneventani il suo discepolo Fotino, per ritrarli dall’idolatria. Questi adempì con molto zelo e prudenza al suo solenne mandato; cosicché la massima parte dei beneventani, per la virtù della sua parola, nonché per l’esempio d’una vita incolume d’ogni macchia, accettò di buon grado il Cristianesimo, abiurando il culto dei politeisti, e lo stesso Fotino fu il primo vescovo di Benevento come risulta dalla cronologia dei nostri vescovi, e dalle opere di varii scrittori ecclesiastici. Di questo primo vescovo di Benevento ci fa difetto qualsiasi altra notizia, poiché per ordine degl’imperadori Diocleziano e Massimiano furono date alle fiamme le primissime scritture della Chiesa di Benevento. A S. Fotino successero undici altri vescovi, di cui ignoransi anche i nomi. É ritenuto pure dagli scrittori patrii che i celebri S. Nicandro e S. Marciano che propagarono con invitto animo la religione cristiana nella Campania e nel Sannio, sullo scorcio del primo secolo della chiesa, traessero anche in Benevento, non molto prima dei loro martirio, ad avvalorare la fede di Cristo, e a dissipare le ultime reliquie del paganesimo. E una tale opinione non ci apparirà all’intutto infondata, se ci faremo a considerare che nella nostra pubblica biblioteca si custodisce la loro vita minutamente narrata, e porremo mente alle antiche tradizioni e al fervore dei beneventani per la nuova religione nei primi secoli della Chiesa.

Nell’anno del Signore 305 fu assunto a vescovo di Benevento il glorioso Taumaturgo S. Gennaro. Fiorì questo gran Santo, ai tempi del pontefice S. Marcellino Romano, e [p. 151 modifica]degli imperadori Diocleziano, e Massimiliano, e, insieme a Festo Diacono e Desiderio lettore della Chiesa beneventana, riportò in Pozzuoli la corona del martirio. Quattro volte, narrano i nostri storici municipali, furono tolte e poi riportate in Benevento le reliquie di S. Gennaro: la prima volta da Casa Marciana nella sua chiesa extra moenia della città di Napoli l’anno 325: la seconda volta, per opera del principe Sicone, furono trasferite in Benevento ai 22 ottobre dell’anno 825, e collocate nella Cattedrale; la terza volta, nel tempo di Papa Adriano IV l’anno 1156, vennero da Benevento traslatate a Monte Vergine; e infine da questo celebre santuario in Napoli al 17 gennaio 1494. Nella metropolitana di Benevento è fama che sotto l’altar maggiore fosse stata riposta una cassettina di piombo con alcune reliquie di S. Gennaro. Della sua vita non sappiamo altro che il martirio, e i prodigi che ci furono narrati dalla leggenda religiosa; e solamente da storici sacri e profani si è disputato per più secoli del luogo ove il santo sorti i natali; se cioè in Napoli, o in Benevento.

Io non prenderò a trattare di proposito siffatta questione che fu esaurita da tanti scrittori; ma solo mi limiterò ad accennare i più speciosi argomenti addotti da coloro, e sono i più, che, a dileguare ogni dubbio sulla patria di S. Gennaro, studiarono le tradizioni e i documenti esistenti in Benevento. Essi si riducono 1°. alla immutata tradizione che fosse Benevento la patria del Santo, e che quivi avesse operato tutti i suoi prodigi; 2°. all’opinione della massima parte degli autori sacri e profani che trattarono tale materia, e massime dei più antichi; 3°. alla qualità di protettore di Benevento che gli si attribuisce in tutti gli antichissimi breviarii manoscritti che tuttora si conservano nella nostra biblioteca capitolare; 4°. alla costante tradizione che addita tuttora ai curiosi la casetta privata di S. Gennaro, dinanzi a cui si celebra in ogni anno dal popolino una festicciola pel suo onomastico; ed è pure a notare a questo proposito che Quella sola casa in quel punto della città avanzò ai tremuoti che diroccarono tutte le case circostanti. Nè deve [p. 152 modifica]omettersi la volgare opinione tenuta viva per tanti secoli nella nostra plebe; che cioè tutte le madri, le quali presero ad abitare la stanza, ove si ritiene che nacque il santo, si erano sconciate nel parto, o avean dato nascimento a mostri: 5°. al leggersi in tutte le antiche scritture di Benevento che la madre di S. Gennaro dimorò sempre in questa città, e quivi si addormentò nel Signore. E a tutto ciò bisogna aggiungere gli usi e i costumi della primitiva chiesa introdotti dalle costituzioni politiche, e per più secoli rimasti inalterati, di non ammettere nei vescovadi che i soli paesani, e il non essersi mai nei tempi più antichi dubitato della patria di S. Gennaro. E in prova che solo in tempi recenti si è tentato da taluni scrittori di contendere a Benevento la gloria di aver dato al santo i natali, mi limito ad accennare il breve poema di Fra Berardino Siciliano dell’ordine dei minori, il quale, son circa quattro secoli, poetando in ottava rima sulla traslazione del corpo di S. Gennaro da Monte Vergine in Napoli, scriveva nel rozzo stile usato dai rimatori claustrali di quel tempo:

«Fu S. Gennaro, come appare scritto,
«In la città di Benevento nato».

Altri corpi di santi furono poco dopo trasferiti in Benevento da facoltosi cittadini, uno dei quali edificò a sue spese l’antichissima chiesa di S. Festo, e le ceneri di S. Liberatore martire furono collocate in una nicchia nel tempio di S. Sosia. E da quell’epoca ne fu sempre celebrata in Benevento la festa nella contrada che si denomina S. Liberatore a Cupolo, da un antico tempietto dedicato ivi a quel santo, e di ciò si ha memoria sin dall’anno del Signore 1031.

Durante la persecuzione dei cristiani, dodici fratelli africani, figli a Bonifacio e Tecla, consorti cristiani, furono in varie guise straziati in Benevento, e dopo che subirono il martirio in diversi luoghi della Puglia, ne furono trasferiti i mortali avanzi nel tempio di S. Sosia in questa città, e in quel torno di tempo fu coronato dell’aureola di martire Piato Prete, nato nel distretto di Benevento, del quale fan [p. 153 modifica]menzione Mario della Vipera e altri scrittori. E anche in quel tempo S. Ippolito, prete, per serbar salda la fede nei beneventani trepidanti per l’immane martirio di tanti illustri seguaci della nuova fede, co’ suoi fervidi sermoni accrebbe di molto in Benevento il numero dei cristiani.

Nell’anno del Signore 465 ascese al vescovado di Benevento S. Tammaro uno dei sacerdoti compagni di S. Prisco, che diede opera indefessa a propagare la fede di Cristo. Gli fu eretta una chiesa presso il fiume Tammaro che prese in seguito il nome dal romitorio del santo, e la sua spoglia mortale, chiusa in una grand’arca di marmo, fu deposta dal cardinale Arigone sotto l’altar maggiore della Metropolitana.

E siccome in quei tempi ferveva la gara di acquistare e custodire gelosamente i corpi dei santi, così la spoglia mortale di S. Marco vescovo di Bovino fu riposta in Benevento in una chiesa titolare a lui dedicata dalla nobilissima famiglia Savariani, che ne godeva, come fondatrice, da 400 anni il Jus patronato, e la presentazione del parroco; ma in appresso, essendo stata diroccata quella chiesa, furono le ceneri del santo trasferite nella chiesa di S. Andrea della Piazza, oggi detta Seminario.

S. Apollonio, il XVI vescovo di Benevento, visse nel tempo del pontificato di Papa Silvestro, e si attirò talmente l’odio degli idolatri che sebbene volgessero più miti tempi per il Cristianesimo, atteso l’assunzione al trono di Costantino il grande, fu tuttavia astretto a ritrarsi in un eremo a breve distanza da Benevento. Ed ivi

«Non fece per viltade il gran rifiuto

ma a guisa di romito, come seppe meglio, adempì con molta alacrità alla sua cura pastorale. Gli successe S. Cassiano, il quale visse intorno all’anno 340, durante il pontificato di S. Giulio. Serbasi il corpo di questo santo nel tempio di S. Sofia, e gli fu dedicata in Benevento una chiesa parrocchiale che fu poi demolita, e della quale non sopravanza alcuna memoria.

Intanto orde innumerabili di popoli della Germania, [p. 154 modifica]di novità e di rapine, irruppero nella bella Italia, e, messo a sondo l’antico imperio di Roma, corsero da padroni le belle contrade, dopo che Alarico, fatto più animoso per la morte di Stilicone, entrò vincitore nell’anno 410 nella città stata per più secoli dominatrice dell’universo. Indi a poco furono anche le provincie del mezzogiorno d’Italia devastate dai Vandali, dagli Eruli, e dai Goti, e v’ha di scrittori i quali affermano che alla città di Benevento ebbero a ridondare assai danni da parte di quei popoli, stante l’amore posto dai beneventani alla religione di Cristo (Piperno). Ma di ciò niente è dato attingere dall’istoria o dalle locali tradizioni, poiché in tutto intervallo di tempo trascorso dalla morte di Alarico ai primi anni della dominazione di Odoacre in Italia, le nostre cronache non fanno menzione di danni arrecati alla città dai popoli invasori.

S. Sofio fu il XXIV vescovo di Benevento, e alcuni fanatici, mossi da intolleranza religiosa, lo trucidarono insieme al suo arcidiacono Benigno, perlocchè furono poi amendue venerati dai fedeli come martiri. L’atrocità del caso irritò i beneventani che diedero di piglio alle armi, ed ebbe luogo una terribile zuffa dopo la quale gli idolatri che erano in Benevento furono mandati in bando. E allora tonò per la città una voce che chiamava il popolo a libertà, traendo profitto che il re Odoacre trovavasi messo alle strette dai Goti, e stava racchiuso in Ravenna. I popoli convicini, indignati della uccisione del santo, offrirono in loro aiuto le persone e le robe; e si mise in armi un poderoso esercito, col quale azzuffatosi i regii che erano in Puglia ebbero sempre la peggio. Ma appena Odoacre seppe di questo fatto, tentò, mediante l’opera di alcuni vescovi, di sedare i tumulti di Benevento, incolpando dell’uccisione del vescovo S. Sofio i pochi che di proprio capo l’eseguirono, senza un suo ordine, e promise ai cittadini vantaggi d’ogni sorta, se fossero accorsi in suo aiuto, mentre nel medesimo tempo il re Teodorico li lusingava per trarli a combattere in suo favore. I beneventani presero tempo a risolversi, affine di seguire l’insegna di quegli a cui più avesse arrisa la fortuna. E dopo di [p. 155 modifica]essersi tenuti irresoluti per il corso di due anni, vedendo infine che piegavano le cose in favore di Teodorico, riconobbero la sovranità dei Goti, con questo che la città serbasse l’antica forma di senato e di maestrato, e che si fosse dichiarata esente dalla contribuzione dei terreni, e libera da presidio, salvo in tempo di guerra; le quali condizioni furono accolte, e sempre puntualmente osservate dal re Teodorico, il quale fu anche largo di altre concessioni alla nostra città, sicché T esempio di Benevento fu seguito da molte città della Puglia. I beneventani tennero inviolata la fede insegnata loro dal principe degli Apostoli, per opera del suo discepolo Fotino e dei successori di questo, ma tuttavia, nei tempi della dominazione gota, esistevano ancora in Benevento alcune reliquie del gentilesimo, e non pochi Ariani, massime nella plebe. I napoletani, insieme agli Eruli di Odoacre, molti dei quali professavano il Gentilesimo, aggredirono i beneventani occupati nelle vendemmie, e riuscì ad essi di mettere a sacco e a fuoco le campagne e le ville, e depredata poi la città, trassero ad espugnare Siponto collegata coi beneventani. Ma questi, benché posti in rotta nel repentino assalto, non indugiarono ad allearsi coi cittadini di Siponto, sicché avendo i napoletani messi gli steccati sui colli di S. Restituta, i Sipontini, sostenuti dai beneventani e dai soldati di Teodorico, che aveano in custodia la città, mossero arditamente contro il nemico con animo deliberato di venire con esso alle mani. Ma ciò non ostante, vedendosi inferiori di numero, richiesero di consiglio il vescovo S. Lorenzo, e da questi inanimati i beneventani e i Sipontini riportarono nel dì seguente una compiuta vittoria sui napoletani. E per questa memoranda battaglia fu eletto protettore di Benevento P Arcangelo S. Michele, poiché si fece correre una voce nel popolo che il detto Arcangelo avesse il dì innanzi predetta al vescovo la prossima vittoria.

Nel giorno 25 luglio 526 fu assunto al Pontificato S. Felice IV cittadino beneventano. Egli nacque da Castronio Fimbrio, patrizio di Benevento, e trovavasi già investito della dignità di cardinale del titolo di S. Silvestro all’Esquilino allorché [p. 156 modifica]fu eletto pontefice succedendo al papa Giovanni I, morto prigioniero di Teodorico re d’Italia che professava la religione ariana. La chiesa cattolica registrò il nome di Felice IV nel catalogo dei santi, ed il clero romano ne celebra l’ufficio il 30 gennaio. (Feuli, I papi e i cardinali beneventani).

In quel mentre per la morte di Teodorico era scemata la potenza dei Goti in Benevento, e i cittadini, vogliosi di buoni ordinamenti civili, spedirono ambasciatori al celebre Belisario, instando che deputasse qualche suo fidato a reggere la città. E fu allora spedito in Benevento Procopio Cesariense, uomo preclaro per dottrina e civile virtù che dettò l’istoria della guerra gotica. Ma questi, secondo asserisce il Baronio, fu mandato da Belisario non solo ad assumere il governo di Benevento, ma altresì a raccogliere dell’oro per provvedere ai bisogni della guerra. La resa di Benevento ai greci fu ritenuta da Procopio come un’impresa segnalata, e ne fece menzione nelle sue istorie.

Nell’anno 545 Totila re dei Goti cinse d’assedio Benevento, ove i greci non aveano lasciato alcun presidio.

La città era munita di forti mura, e la maggioranza dei cittadini deliberata a difenderla; ma la instabile plebe si divise tosto in due fazioni: delle quali l’una propendeva pei greci, e l’altra pei Goti. Di tali interne dissenzioni l’accorto Totila trasse il maggior profitto possibile, dando a intendere ai beneventani che egli non altro si proponeva che di sottrarli alla tirannide dei greci. Queste parole furono una favilla caduta in una polveriera, dacché l’intera plebe tumultuando fece ressa all’ordine dei patrizii, che riteneva non doversi dar fede ai detti di Totila, e che fosse debito dei beneventani di tenersi nella fede di Giustiniano.

Ma intanto che i patrizii e la plebe contendeano in tal guisa, il valoroso Totila, dando ai muri un sierissimo e subito assalto, ridusse in suo potere la città. (Platina, Collenuccio). La plebe ebbe tosto a disilludersi delle concepite speranze, poiché i Goti entrati in città furibondi, la empirono di stragi, benché poco dopo dovessero desistere dal sangue per ordine di Totila, che annuì di buon grado alle preghiere dei cittadini. Ma non debbo trasandare che non sono [p. 157 modifica]concordi gli scrittori intorno a un tal fatto, giacché Procopio, Acazio Scolastico, Leonardo Aretino, Carlo Sigonio e altri autori scrissero che Totila avesse la città senza colpo ferire.

Totila antivedendo che i beneventani, amanti del viver libero, si sarebbero mostrati sempre proclivi a ribellarsi a qualsiasi dominazione, e d’altra parte difettando di numerosa gente da guerra per presidiarla, ne fece diroccare le mura che la circondavano, e la ridusse nelle condizioni quasi d’un villaggio, per essere rimasta povera di abitatori, e priva della maggior parte de’ suoi edificii. La resa di Benevento, città reputatissima a quei tempi, tolse ardire a tutti i popoli confinanti, per maniera che senza contesa alcuna si sottoposero all’impero dei Goti tutte le finitime provincie. Simone Basso, nostro concittadino, scrive che i Goti non solo infierirono contro i beneventani nel 514 allorché ebbero in lor mano la città, ma altresì quattro anni dopo in cui, per essersi ricoverato nella rocca del nostro Campidoglio un presidio imperiale, la distrussero con altri sontuosi edifizii, dando la città in preda alla scelleranza e avidità dei soldati. Ma una tale opinione non è divisa, che io sappia, da verun altro scrittore.

Intanto Narsete, raffermata in Italia la pace, trasse in Benevento, che dopo tante sciagure non serbava quasi un’orma dell’antico splendore ed opulenza, e attese con indefesse cure a riedisicarla, vago di veder risorta dalle sue rovine una delle più illustri e antiche città d’Italia. Però ritenendo che a costruir le muraglie secondo l’antico vasto circuito facea d’uopo d’una ingente spesa, stimò di circoscriverne l’ambito a quella parte ov’era l’antico Campidoglio con le contigue contrade sovrapposte al dosso d’un umile colle. Per tal modo, disegnato un sito più lungo che ampio, lo cerchiò di fortissimi muri, e si avvalse del fiume Calore, affine di fortificarlo dalla parte settentrionale. Rifece la rocca del Campidoglio, ed eresse molte torri d’ogni intorno alla muraglia. In questa limitazione della città addivennero porte, col nome di Porta Aurea e Porta Rufina, gli archi, i quali erano stati eretti sin dalla loro origine nel bel mezzo della [p. 158 modifica]città: trionfale quello di Traiano, e destinato l’altro a sostenere una torre che fu denominata de’ Rufini, dal casato d’una tale famiglia. Nella detta riedificazione della città il circuito dei pubblici muri fu angusto e inferiore al presente, poiché le muraglie che da un lato fiancheggiano la chiesa di S. Renato, oggi intitolata alla Vergine Annunziata, correvano direttamente sino ad una chiesa denominata di S. Angelo, ove si apriva una delle porte della città. Quindi estendevansi per la strada dell’Olivola sotto il palazzo Arcivescovile, e il monastero di S. Pietro sino alla piazza detta delle Calcari, cioè per tutto lo spazio compreso tra la vecchia Porta Rusina, e il luogo detto delle Fornaci, che contiene i quartieri di Porta Rusina e del Triggio. Tutto l’altro fabbricato che oggi si vede fu aggiunto da Arechi, sicché per più secoli questa parte aggiunta appellossi città nuova, e città vecchia tutta quella parte che fu costruita da Narsete. E i beneventani, memori dei ricevuti benesicii, eressero al duce greco una statua che sovrapposero ad una base statuaria, in cui incisero un’iscrizione, della quale, infranta e mutilata la base, vedeasi un frammento prima del tremuoto dell’anno 1688 in una bottega sotto la collegiata chiesa di S. Spirito, e che, restituito nella sua interezza dal Garrucci, è il seguente:

spectabili viro

justitia admirabili castita-

te conspicuo reparatori fori pro

magna parte conlapsi in ruinam

conditori curiae restitutori ba-

silicae cum porticibus sagitta-

riorum regionis viae novae

reparatori thermarum commodiana-

rum restitutori collegiorum repa-

ratori porticus dianae reparatori

basilicae longin1 ac totius prope civi-

tatis post hostile incendium condi-

tori ob insignia eius in omnem pro-

vinciam et praecipuae in se et patriam

suam merita populus beneven-

tanus ad aeternam memoriam

statuam collocavit.

[p. 159 modifica]Benché non si legga il nome dell’eroe a cui fu dedicata la statua per essere incompiuta l’iscrizione, pur tuttavia, che che ne abbia detto il Garrucci, a me pare evidente che al solo Narsete si addica il nome di restauratore di Benevento, e che giustamente i cittadini si proposero con un tal monumento di tramandare agli avvenire la memoria dei beneficii di Narsete. Di più è indubitato che dopo la nascita del Signore, e per il volgere di otto secoli, non fu Benevento conversa in ruine che per opera di Totila, e quindi non avendo avuto luogo altra restaurazione ai danni apportati dal fuoco nemico, egli è chiaro che l’iscrizione non possa alludere che a Narsete. Nè osta a ciò che nell’iscrizione è mentovato il portico di Diana, poiché Procopio Cesariense, che scrisse nel medesimo secolo, ricorda il tempio della fortuna: e nella vita di S. Benedetto è ricordato un tempio d’idoli in Montecassino, e l’Alcuino discorse del Paganesimo dei napoletani, e lo stesso Panteon di Roma, ove erano adunate le statue di tutti gli Dei, fu ridotto molto dopo a rito cristiano; sicché da ciò ben traggo argomento a ritenere che a quei tempi, benché prevalesse il Cristianesimo, non era però spenta l’idolatria.

Or mentre Narsete dimorava in Benevento trasse a visitarlo la sua nepote S. Artella, vergine costantinopolitana, più comunemente nota in Benevento col nome di S. Artelaide. Nacque questa santa di nobilissimo lignaggio, ed ebbe per genitori Lucio proconsole ed Antusa. Essa a dodici anni consacrò a Cristo la sua verginità, e fece rifiuto d’un illustre matrimonio propostole da Giustiniano. E però i suoi genitori, per sottrarla a qualsiasi pericolo, la mandarono celatamente in Italia, scortata, secondo l’usanza dei tempi, da alcuni eunuchi, affinchè convivesse sicura con Narsete suo zio. Ma siccome lungo il suo viaggio per Benevento erasi soffermata a Siponto, per visitare nel monte Gargano la famosa spelonca dell’Arcangelo S. Michele, ove depose ricchissimi doni, così Narsete le trasse incontro, seguito da molta turba, e da Siponto per Lucera la condusse in Benevento; e all’annunzio della sua venuta mosse alla sua volta l’intera [p. 160 modifica]cittadinanza, per essersi ovunque diffusa la fama della sua santità. La Vipera scrive che S. Artella visse 16 anni, nove mesi ed otto giorni, e si congettura che passò di vita intorno all’anno 557. Fu seppellita nella chiesa di S. Luca presso la porta detta Rufina, e quella chiesa fu poi denominata S. Artellese, e conservò un tal nome sino allo scorcio del secolo decimo settimo. Alcune reliquie di questa santa furono dopo qualche tempo trasferite, dalla chiesa dove venne sepolto il suo corpo, alla cattedrale, e riposte sotto l’altare maggiore. La chiesa beneventana celebra ai 3 marzo col rito doppio il natale di S. Artella che è annoverata tra i santi beneventani.

Qui in ultimo cade in acconcio di accennare ad una quistione assai malagevole, e non mai trattata di proposito dai nostri scrittori; cioè definire qual sia stata la popolazione e l’antico circuito di Benevento prima dell’invasione dei Goti ed io tenterò di risolverla brevemente innanzi di dar termine alla prima parte di questa istoria.

Si è ripetuto da tanti che la popolazione di Benevento nei suoi tempi migliori ascendesse a quasi 200 mila abitanti, ma niuno mai si diede cura d’investigare qual fondamento abbia avuto una tale opinione, non accolta mai dagli storici locali, e che non può esser presa sul serio per le seguenti ragioni. Niuno ha mai creduto che Benevento ai tempi della Colonia romana, o del principato longobardo, si fosse estesa dalla parte che si dimanda del Castello, da cui soltanto non è circondata da fiumi; e invece, secondo incerte tradizioni e stante non poche macerie e avanzi di antiche muraglie che si mirano in altri punti delle adiacenti campagne, si fa stima che la città si fosse estesa dagli altri tre lati; ma ciò osta alla concorde testimonianza di tutti gli storici antichi e moderni, da cui si ha che Benevento, la quale per la sua postura dà quasi immagine d’una penisoletta, non fu mai attraversata dai fiumi Sabato e Calore. Inoltre di tutti gli antichi insigni monumenti di cui parlano le nostre istorie, o esistono tuttora gli avanzi, o è indicato il luogo ove furono eretti, e tutti conteneansi nell’attuale recinto della città; la qual [p. 161 modifica]cosa si renderebbe inconcepibile se si ritenesse che Benevento si fosse in altri tempi tant’oltre dilatata. Questi argomenti e la conforme opinione di alcuni viventi archeologi, di cui ho altamente in pregio la dottrina, m’indussero a frugare in antichi manoscritti per venire in chiaro delP antica estensione di Benevento; ed ecco il risultato delle mie indagini.

L’ambito delle mura di Benevento comprendeva quanto è ora da Porta Somma a porta S. Lorenzo, ma oltre di questa, e propriamente lungo la via Appia, si prolungava la città a mò di grosso sobborgo sino al lembo quasi del fiume in cui è ora il ponte fratto. E anche fuori Porta Rufina molti edificii formavano un altro borgo, di cui scorgiamo ancora un avanzo nelle case che fan corona al piano ove soglionsi tenere le fiere annuali, e altri gruppi di case fiancheggiavano la strada che ora si dice di S. Pasquale. Ed ha faccia di menzogna la volgare diceria che Benevento, allargandosi verso occidente, si fosse distesa di là del Calore lungo la contrada detta Pantano, non ostante le ragioni che si adducono da alcuni cronisti, poiché, da documenti che ho consultati, risulta soltanto esservi stato in quel luogo un gruppo di case che non facea parte della città, ma costituiva un villaggio, 0, a meglio dire, un ridotto di coloni e servi, e che questi abitarono quei borghi nel tempo dei longobardi e non già dei Romani. Chi ha qualche contezza degli usi del medioevo non ignora che in quei secoli, in cui non anche erasi abolita la servitù, i coltivatori conseguivano in ricambio dei loro servigi alcune terre con un certo numero di bovi per coltivarle, e altri pochi animali, nei quali consisteva la così detta dote del sondo. Laonde gli abituri aggruppati un tempo nel sondo di Pantano si possedevano dai servi e dai coloni. E dalla cronaca di S. Sofia e dalla Cassinese si deduce che le donazioni delle terre fatte ai monasteri non erano mai disgiunte dalla dote dei servi e bestiami.

Adunque Benevento con i borghi adiacenti poteva contenere ne’ suoi più felici tempi non più di 40 mila abitanti.

[p. 162 modifica]Nè deve credersi che una sì limitata popolazione contraddica al fatto di essere stata Benevento una delle più importanti città del mezzogiorno d’Italia, e in seguito la metropoli d un floridissimo e potente stato; imperocchè è innegabile che le primarie città Sannite, meno forse per qualche tempo la sola Boiano, non ebbero giammai una molto estesa popolazione. E anche nel medio evo, durante la dominazione longobarda, non furono in queste contrade le città nè vaste, nè popolose; cosicchè non fa d’uopo di esagerazioni per conciliare due cose solo in apparenza contrarie, cioè la non ampia popolazione di Benevento e il fatto che, tanto nell antichità che nei tempi di mezzo, fu essa riguardata sempre come una delle primarie città del mezzodì d’Italia.