Istituzioni di diritto romano/Introduzione/Sezione III/Quarto periodo/Capitolo V

Quarto periodo - Capitolo V - Vicende del Diritto Romano dopo Giustiniano

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Quarto periodo - Capitolo V - Vicende del Diritto Romano dopo Giustiniano
Quarto periodo - Capitolo IV Introduzione - Sezione IV
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CAPITOLO V.

Vicende del Diritto Romano dopo Giustiniano

A) In Oriente.

§. 194. L’Edifizio Legislativo, opera dell’Imperatore Giustiniano appariva in Oriente, Romano troppo e nella forma e nella sostanza, e generalmente lo giudicavano come un lavoro fuori di tempo e di luogo. Ai popoli Orientali riusciva specialmente duro, che le leggi cui dovevano obbedire fossero scritte in lingua straniera. Di qui ebbero origine le parafrasi greche per l’uso, prima delle scuole, poi del foro. [p. 135 modifica]

§. 192. Teofilo uno dei compilatori delle Istituzioni, ne diede l’esempio, e per l’uso dei suoi scolari di Costantinopoli rivestì di greca forma quel libro elementare. Di questa parafrasi greca fatta da Teofilo, più manoscritti giunsero fino ai tempi nostri, sui quali la migliore edizione che sia stata fatta è quella di Reitz (La Haye 1751), in cui il testo greco è accompagnato da una traduzione latina, e da molte note. Il lavoro di Teofilo è importante per noi, perchè ci mostra come si interpretassero le Istituzioni ai tempi nei quali erano state pubblicate, e come le interpretasse chi aveva contribuito a comporle.

§. 193. Anche i Digesti furono obietto di molte parafrasi, fra le quali quella che ebbe a godere di credito maggiore, fu la grande parafrasi di Stefano. La parafrasi del Codice eseguita da Talleleo, fu pure assai stimata. Doroteo, altro compilatore delle Istituzioni, compose dei Commentarj sul Digesto, sul Codice e sulle Novelle.

§. 194. Non molto dopo la morte di Giustiniano, Giuliano Professore di Diritto a Costantinopoli, pubblicò un Compendio in lingua latina di 125 Novelle, sotto il titolo di Epitome Novellarum, che i Glossatori nel Medio Evo chiamarono per antonomasia Novella. Quasi contemporaneamente comparve una traduzione latina di 134 Novelle Greche, che poi fu chiamata Corpus Authenticum, per distinguerla dall’Epitome di Giuliano.

§. 195. La moltiplicità delle Costituzioni emanate dai successori di Giustiniano, i Commentarj diffusi e talvolta contradittorj, le traduzioni non sempre esatte delle leggi Romane, tuttociò unito alla repugnanza, che fin da primo i popoli Orientali avevano sempre avuto, per le compilazioni troppo Romane ordinate da Giustiniano: faceva desiderare una nuova Revisione della Legislazione, una pubblicazione autentica, ed in lingua greca della medesima. E Leone l’Isaurio credè satisfare a questo desiderio nell’anno 740 con la sua scelta delle leggi, sunto in 18 titoli. Ma questo lavoro, perchè manchevole ed arbitrario, ben presto fu disprezzato. [p. 136 modifica]

§. 196. Basilio il Macedone nel prendere le redini dello Stato, volle fare per i suoi tempi, quello che Giustiniano aveva fatto quasi 3 secoli innanzi pei proprj; e però nell’anno 876 nominò una Commissione che doveva redigere in lingua Greca un Codice Generale, il quale senza trascurare la Legislazione precedente fosse adattato ai bisogni della epoca. E mentre la Commissione lavorava a quest’opera, pubblicò una specie di Manuale per l’insegnamento, ad imitazione delle Istituzioni di Giustiniano, e composto di 40 Titoli. Poco prima di morire ordinò una Revisione di quel suo Prochiron, ma essa non ci è che imperfettamente conosciuta.

§. 197. Basilio essendo morto prima che fosse compiuta la sua grande opera, della quale aveva incaricato la Commissione sopra ricordata, suo figlio Leone il Filosofo fece ultimarla, e la pubblicò nell’anno 887, sotto il nome di Basiliche in onore del proprio padre Basilio, che ne aveva concepito l’idea, e fatto imprenderne l’esecuzione. Costantino Profirogenito 60 anni dopo pubblicò una nuova edizione dei libri Basilici, riveduta e corretta; quest’opera era divisa in 60 libri, dei quali completi nè abbiamo soli 36. La migliore edizione, che ne sia stata fatta è quella dell’Heimbach (Lipsia 1833 e seg.). Nei Basilici è sparita la distinzione fra Istituzioni, Pandette, Codice e Novelle, queste diverse fonti vi sono confuse insieme, ed i principj giuridici ricavati indistintamente da esse tutte, sono riuniti sotto le stesse rubriche, e perfino confusi con regole e definizioni puramente dommatiche. Il Diritto Romano vi è modificato, per adattarlo ai bisogni ed alle idee del tempo. A questi libri Basilici furono poco dopo aggiunti degli scolj, ossia osservazioni al testo, tratti dalle antiche parafrasi delle opere di Giustiniano.

§. 198. Leone pubblicò anche una Collezione di sue Novelle, che nel numero di 113, tennero dietro ai Basilici. Molte opere produsse la letteratura giuridica Bisantina, e specialmente manuali e compendii, collezioni di regole di Diritto, e, confronti delle disposizioni contenute nei Basilici. Anche dopo la distruzione dell’Impero Greco, i libri Basilici rimasero come [p. 137 modifica]fondamento della Legislazione. I Turchi infatti, come i Barbari nell’Occidente, lasciarono ai vinti le loro leggi. Tuttavia in pratica era adoperato moltissimo e rispettato quasi legge, un Prontuario del Diritto, opera di un Costantino Armenopulo che visse nel XIV Secolo.

B) In Occidente

§. 199. Le Compilazioni di Giustiniano erano destinate per l’Oriente, ma quando egli ebbe vinto gli Ostrogoti, che si erano impadroniti della Italia: riconquistato questo paese, ve le introdusse qual legge, e le fece studiare nelle Scuole, come resulta dalla Sanctio Pragmatica dell’anno 554 conservataci da Giuliano nel suo libro Epitome Novellarum.

§. 200. Da quest’epoca in poi, e lo ha dimostrato fino all’evidenza il chiarissimo Savigny nella sua Istoria del Diritto Romano nel Medio Evo, questo Diritto resse sempre l’Italia nonostante i mutamenti politici, che ebbe a subire. Sarebbe spreco di tempo riferire qui tutte le prove e le argomentazioni, da quel celebre Giureconsulto addotte a dimostrare quella sua tesi; ci limiteremo per tanto a’ ricordare come Carlo Magno nell’anno 801 punisse i Romani che si erano ribellati al Papa, applicando loro la Legge Romana; come il Papa Leone IV verso l’anno 847, pregasse l’Imperatore Lotario perchè mantenesse il Diritto Romano nel vigore che aveva avuto fino allora; come nell’anno 885, l’Imperatore tenne in Roma una Corte di Giustizia, nella quale giudicò secondo la Legge Romana; e come un esempio del medesimo genere trovisi sotto il regno di Ottone I. Finalmente non vuolsi omettere di avvertire, che molti istrumenti di enfiteusi e molti testamenti di questi tempi, sono fatti secondo il prescritto del Diritto Romafno (Vedi Savigny. loco cit. vol. I. p. II, cap. 13.)

§. 201 Che non si cessasse mai di coltivare il Diritto Romano, ne fanno testimonianza due Ristretti di Diritto Giustinianeo, quali sono; 1.° quello che si intitola Petri Exceptiones, 2.° l’altro che si chiama Brachylogus. Il primo di questi lavori fu composto nel Delfinato a Valenza, e le Istituzioni, le [p. 138 modifica]Pandette, il Codice, e le Novelle vi sono di frequente citate. In quattro libri ivi si tratta delle Persone, dei Contratti, dei Delitti, e della Procedura. Il Brachylogus contiene una esposizione compendiosa e sistematica del Diritto Romano, ove sono tenute a guida le Istituzioni di Giustiniano; si è preteso da taluno che Irnerio ne fosse l’autore. Degli Scolii sull’estratto che per Giuliano fu fatto delle Novelle, delle Glosse sulle Istituzioni, gli uni e le altre trovati nella Biblioteca di Torino, e pubblicati dal Savigny, sono lavori sul Diritto Romano anteriori anche al Brachylogus, ed al libro Petri Exceptiones. Il Diritto Romano fu dunque sempre in vigore in Europa, e sempre ebbe cultori; l’autorità del Clero che lo preferiva alle leggi dei Barbari, gli fece trovare accoglienza eziandio in paesi, che non erano stati mai sottoposti alla Romana dominazione. Ma esso languiva, e per così dire menava una vita stentata e presso che inerte, quando nel 12.° Secolo lo vediamo sorgere da quella specie di letargo, essere objetto dello studio di tutte le persone più colte, e per ultimo reggere qual legge vivente i paesi più civili di Europa.

§. 202. Questo stupendo risorgimento del Diritto Romano ebbe principio in Italia. Sul terminare del 10.° Secolo, l’Italia cominciava a riaversi dalla diuturna oppressione barbarica; il commercio e le arti vi rifiorivano, il ben essere materiale vi ritornava; e per questo di nuovo si rivolgevano le menti agli studj. Per regolare le molte relazioni giuridiche, i numerosi negozj, conseguenza della rediviva attività commerciale ed industriale, una Legislazione era un bisogno. Faceva di mestieri o creare una Legislazione locale nuova, o ritornare a studiare profondamente quella Romana. Quest’ultima via fu prescelta dalle neonate Repubbliche Italiane, e perchè il Diritto Romano non era mai sparito del tutto in Italia, e perchè l’uso allora generale della lingua latina negli affari tutti sì profani che sacri, contribuiva a fare popolare una Legislazione scritta in quella lingua. Aggiungasi che gli Italiani sentivano di essere i legittimi eredi del sapere Romano, e per poco che si volessero sollevare sulle meschine norme della pratica, doveveno ricorrere ai ricordi della civile Legislazione di Roma. [p. 139 modifica]

§. 203. Il primo insegnamento di Diritto Romano, che godesse di grande reputazione, fu quello che Irnerio, già maestro di Grammatica, aperse in Bologna verso l’anno 1100. Pare che prima di lui, a Ravenna esistesse di già una Scuola di Diritto, ma la reputazione di quella di Irnerio la eclissò siffattamente, che a mala pena ne rimase un barlume nella memoria degli scrittori di quel tempo. Vi ha chi pretende, che anche in Bologna, Irnerio non fosse il primo ad insegnare il Diritto, e si cita un Pepo qual suo precedessore: ma la celebrità di Irnerio fece dimenticare quelli, che prima di lui erano entrati nel nobile arringo. Le lezioni di Irnerio attrassero da tutte le parti di Europa la gioventù in Italia, ed in folla accorrevasi in questa classica terra a far tesoro di un sapere, allora peregrino. Dalla Scuola Italiana uscirono abili Giureconsulti, che ritornando ai patrii lidi diffondevano le cognizioni giuridiche Romane attinte in Italia, ed eccitavano un desiderio irrefrenato per lo studio della Legislazione di Roma. Il Principato Civile incoraggiava questo studio, per farne argomento di opposizione al Diritto Canonico. Per cotal guisa il Diritto Romano fu trasmesso dall’Italia, alle altre nazioni; ed è da osservare che esso fosse accolto da per tutto, come i Glossatori lo avevano rappresentato, quasi una incarnazione della ragione civile, quale una legge razionale superiore alle altre leggi tutte, di cui doveva temperare l’iniquità, supplire l’insufficienza, insegnare l’applicazione; un Diritto umanitario, cui tutti i popoli cristiani dovevano obbedire. A questo resultamento conferì per avventura l’idea predominante in quest’epoca, cioè che il Sacro Romano Impero, ritenuto in teorìa quasi una monarchia universale di tutta la Cristianità, fosse una prosecuzione dell’Impero Romano, e gli Imperatori Germanici fossero legittimi successori di Giustiniano.

§. 204. È stato creduto lungamente, che al Risorgimento del Diritto Romano, porgesse occasione il ritrovamento in Amalfi di un manoscritto delle Pandette. Stando ad una popolare leggenda si raccontava, che Lotario II. espugnata quella città nell’anno 1135, trovato quel manoscritto, lo aveva regalato ai Pisani [p. 140 modifica]in ricompensa dell’ajuto prestatogli nella spedizione contro Ruggiero Re di Sicilia. Si aggiungeva, che per dare maggior importanza al suo dono, l’Imperatore contemporaneamente aveva dato forza di legge al Diritto Romano, sostituendolo nella pratica al Diritto Germanico. La moderna Critica rifiuta come favoloso questo racconto. E non a torto; infatti niuno degli scrittori, che si occuparono del Diritto Romano in epoca di poco posteriore al preteso ritrovamento delle Pandette in Amalfi, fa menzione di una fonte di ragione, nuovamente scoperta; dell’esistenza della legge di Lotario relativa al Diritto Romano, non occorre prova alcuna; aggiungasi che il Diritto Romano si insegnava a Bologna, prima del favoloso ritrovamento del celebre Manoscritto in discorso. I cronisti poi, che riferiscono quella leggenda, parlano soltanto dell’acquisto del Manoscritto fatto dai Pisani, ma non di donazione Imperiale. Con tali argomenti, e con altri più, che per brevità si omettono, il Chiarissimo Savigny nella citata sua Istoria del Diritto Romano nel Medio Evo (Vol. II. p. I. cap. 18) tronca la questione già tanto discussa, specialmente fra l’Abate Guido Grandi, ed il Marchese Bernardo Tanucci, sulla verità del tradizionale racconto relativo, al famigerato Manoscritto Pisano delle Pandette.

§. 205. La Scuola di Irnerio ebbe nome di Scuola dei Glossatori, dal sistema adoperato nella medesima per studiare il Diritto. Questi cultori della Scienza Giuridica, tenevano l’ordine esegetico; aggiungevano al testo delle spiegazioni o sopra qualche parola di oscuro significato, o sopra una qualche frase che contenesse un principio meritevole di dichiarazione, confrontandola con tutte le altre relative al medesimo argomento e collocate altrove; ed in queste spiegazioni, da primo assai brevi, seguitavano fedelmente la giacitura e la successione delle parole e delle idee testuali. Tali brevi note, erano chiamate glosse o chiose, ed erano scritte ora fra linea e linea (glossæ interlineares), ora nel margine delle pagine (glossæ marginales). In seguito composero ancora delle Summæ o ristretti dei principj di ciascuna Istituzione, ordinati col metodo [p. 141 modifica]che loro sembrava più confacente all’indole del soggetto: onde furono detti eziandio, Summisti.

§. 206. Molte Scuole ad imitazione della Bolognesse sursero ben presto in Italia, e fuori; ma furono in origine cosa privata, e indipendente dal Governo. Ovunque ad un Precettore veniva fatto di riunire intorno a se un certo numero di uditori, si formava una Corporazione (Universitas) che si reggeva coi proprj statuti; come pure ovunque un certo numero di Precettori si riuniva, richiamando ad udirli un buon numero di alunni, cominciava ad esistere una Universitas. La voce Universitas significò dunque originariamente, la corporazione o il collegio degli Scolari, o dei Professori. Questi istituti, considerati sotto il punto di vista del loro scopo, chiamavansi Studj, Studia.

§. 207. La fama della Scuola di Irnerio, seguitò anche dopo la sua morte, per opera dei suoi. successori e discepoli. Fra questi, per la dottrina e per la parte avuta nel disbrigo di pubbliche faccende, emergono quattro Giureconsulti che i Cronisti ricordano insieme, chiamandoli collettivamente gli Oracoli della Scienza, e per antonomasia i quattro Dottori; e furono Bulgaro, Martino, Jacopo, ed Ugo. Di essi, e di altri famigerati Glossatori che loro tennero dietro, come Rogerio, Alberico, Guglielmo da Cabriano, Placentino, Giovanni Bassiano, Pillio, Lotario da Cremona, Azo, ec. noi non daremo notizie, per non andare troppo in lungo, rinviando chi desiderasse farne tesoro alla citata opera del Savigny. (Storia del Diritto Romano nel Medio Evo).

§. 208. Non possiamo ciò non pertanto, tralasciare di ricordare l’Accursio, discepolo di Azo, che si può dire fosse l’ultimo della Scuola dei Glossatori, e che in reputazione superò gli altri tutti. La sua celebrità Egli la ripete dalla sua Glossa Ordinaria, o Glossa Accursiana. Questo lavoro è una raccolta compendiosa dello migliori glosse, e somme, e delle più stimate opere sistematiche anteriori, e serve di Commentario completo a tutto il Corpo del Diritto. Nonostante la poca critica nella scelta delle opinioni riferite, la inesattezza nel riferirle, ed il piccolo merito scientifico del compilatore, la Glossa di Accursio eb[p. 142 modifica]be grandissima autorità, ottenne forza di legge nei Tribunali; e nella pratica fin d’allora prevalse quel famoso ditterio: Quod non agnoscit glossa, id nec adgnoscit curia, pel quale anche oggi, nei paesi ove il Diritto Romano è in vigore, i passi del Corpus Juris che non sono glossati, non si reputano avere forza di legge. Questa Glossa Accursiana ha non poca istorica importanza, perchè ci da notizia di molti scrittori e di molti scritti, che altronde ci sarebbero ignoti. Essa per altro, non vuolsi dissimularlo, è una prova manifesta dello scadimento degli Studj nella Scuola cui Accursio apparteneva, e forse contribuì, ad accelerare il già cominciato movimento retrogrado della Scienza. Fatto è che dopo l’Accursio, vergognosamente fu preferita la sua Compilazione, alle opere originali dalle quali era stata tratta.

§. 209. I Glossatori un tempo inalzati a cielo, sono stati poi sottoposti ad una critica poco imparziale ed onesta; e addebitati di ignoranza supina nella Istoria, di poca perizia filologica, di stranezza nelle etimologìe. A vero dire, alcuni di questi rimproveri hanno un certo fondamento di verità: ma prima di correre a condannare questi primi cultori della Scienza Giuridica risorta, bisogna far ragione dei tempi nei quali essi vivevano. E valga il vero, quando essi composero le loro opere, appena erano stati ripresi gli studj istorici e letterarj, e non potevano ancora dirsi dileguate le folte tenebre, che da secoli occupavano le menti. Dalle quali cose si raccoglie, che lungi dal meritarci derisione o disprezzo, sono veramente degni di lode e di rispetto questi uomini, che con sottilissimi sussidj di Istoria e di Filologìa, privi di tutte quelle Fonti di Ragione scoperte in seguito, con la sola forza del loro ingegno, per i primi ed in brevissimo tempo, interpretarono e conciliarono le migliaja di frammenti e di leggi sparsi nelle vaste compilazioni Giustinianee, ne impararono meravigliosamente il disposto, tantochè non sfuggì loro neppure una fra le molte disposizioni concordi comunque lontane le une dalle altre, ed emesse in occasioni disperatissime; ne rivelarono lo spirito, e le adattarono ai nuovi bisogni. Oggi sarebbe senza dubbio argomento di riso, il fare derivare, come da alcuni di essi fu fatto, la voce lapis dalle due [p. 143 modifica]lædens pedem, o la voce argumentum da argute inventum, o il sostenere, che la lex Caninia derivasse il suo nome da Canis (cane) e la lex Falcidia da falx (falce), o l’asserire che Ulpiano e Giustiniano l’uno posteriore di due, l’altro di cinque Secoli a Gesù Cristo, lo precedessero (Vedi Berriat Saint-Prix. Istoria del Diritto Romano. Sezione II. Cap. VI. art. 2.); oggi questi scerpelloni sarebbero incomportabili; ma è prova per lo meno di indiscretezza il fare così alte meraviglie, perchè i Glossatori li commettessero.

§. 240. Le fonti del Diritto note a questi Giureconsulti erano: le Pandette il Codice, le Istituzioni, e l’antica versione delle Novelle (Authenticum). L’insieme di queste opere Legislative, chiamavano Corpus Juris Civilis.

§. 241. Da essi, discende la divisione del Digesto in tre parti, cioe: 1.° Il Digestum vetus (che dal libro 1.° si estende fino al titolo 2.° del libro 24) 2.° l’infortiatum (che dal titolo 3 del libro 24 si estende fino alla fine del libro 38). 3.° Il Digestum novum (che dal Titolo 1° del Libro 39. si estende fino a tutto il 50° o ultimo libro). La qual divisione e nomenclatura, si congettura derivi da questo: che i Glossatori in origine conoscessero solamente la prima delle parti suddescritte, e soltanto in seguito acquistassero notizia della terza, la quale allora cominciava a metà del titolo 2° del libro 35°, con le parole tres partes, che sono a mezzo di un periodo. Per distinguere questa parte del Digesto, nuovamente scoperta, da quella posseduta prima, è probabile che l’una chiamassero Digestum vetus, l’altra Digestum novum. Sembra che la parte intermedia fra queste due, fosse posseduta ultima, e che ritrovatala, ad essa fossero aggiunti il fine del libro 35 (che cominciava come abbiamo detto, con le parole tres partes), e per connessione di materia anche i libri 36, 37, 38. Questa parte del Digesto così accresciuta e rinforzata, non è strano che si chiamasse Infortiatum. Quasi tutti i Manoscritti delle Pandette dal 12° fino al 15° Secolo, furono direttamente o indirettamente fatti sotto la direzione dei Glossatori; la lezione da essi generalmente adoperata ebbe nome di Vulgata ed anche di litera [p. 144 modifica]bononiensis e di litera communis, la cui più antica edizione è del 1475-1476, ed è di Roma. Un manoscritto più antico di quelli formati dai Glossatori è quello che nei loro tempi era in Pisa, e che risale al 7° Secolo, del quale poc’anzi. riferimmo che cosa la leggenda popolare narrasse; cotal manoscritto fu portato a Firenze, allorchè Pisa nel 1406 devè cedere a quella sua potente rivale, ed a Firenze si conserva tuttora con religiosa cura nella Biblioteca Medico-Laurenziana. È da esso che è stata tratta la celebre lezione Pisana o Florentina, pubblicata per le stampe la prima volta da Lelio e Francesco Torelli (Florent. 1553 fol.). Gregorio Haloanoder a Nuremberg nel 1529, si valse come della lectio vulgata, così anche della florentina per costruirne una terza, che perciò fu detta mixta, e che ebbe eziandìo i nomi di Norica, e di Haloandrina, proveniente l’uno dal luogo ove fu pubblicata, l’altro dal suo autore Haloander (Hoffman).

§. 212. Il Codice non fu posseduto dai Glossatori per intero, almeno nei primi tempi. Irnerio pare che ne conoscesse i soli primi nove libri; e ciò dipese probabilmente dall’abitudine dei copisti, di omettere nei loro macoscritti gli ultimi tre libri, perchè relativi al Diritto pubblico; ancora quando gli ultimi tre libri furono conosciuti, i Glossatori li tennero separati e li chiamavano tres libri, come se non facessero parte del Codex. I Glossatori solevano omettere le Costituzioni Greche, che tuttavolta occupavano per intiero alcuni titoli del Codice, e non si curavano di riferire le iscrizioni e sottoscrizioni sì delle Greche come delle Latine. Recentemente furono scoperti alcuni mano scritti del Codice più antichi di quelli dei Glossatori: e specialmente due, del 10° Secolo, dal Blume.

§. 243. Le Istituzioni erano note ai Glossatori per intiero; e non pochi manoscritti ne possedevano, sebbene il maggior numero, di questi sieno del 14° e del 15° Secolo. La più antica edizione delle Istituzioni è quella di Magonza, del 1468, come la più recente, che meriti menzione è quella di Berlino (1831, per cura dello Schrader). [p. 145 modifica]

§. 244. I Glossatori si valevano della Versione latina delle Novelle, cioè dell’Authenticum o Corpus Authenticum. Ma fra queste Novelle, sceveravano quelle che loro sembravano inutili, e le chiamavano extravagantes o authenticæ extraordinariæ; le altre, che erano 97, verso l’anno 1140 le divisero in 9 Collazioni (Collationes) corrispondenti ai 9 libri del Codice, conosciuti allora dalla Scuola dei Glossatori; le extravagantes furono poi divise in tre collazioni tenute separate da quelle prime nove, in tutte furono dunque 12 collazioni: appunto come dodici erano i libri del Codice. I Glossatori facevano degli estratti di queste Novelle e li intercalavano nel Codice, nei luoghi ove erano istituzioni modificate o abrogate da siffatte Novelle. Questi estratti si chiamarono anche essi Authenticæ. Generalmente sono dei loci paralleli aggiunti al Codice, e poi incorporati nel testo a guisa di Glossa. Si distinguono facilmente nelle nostre edizioni, perchè sono stampati in caratteri italici. È da osservare che fra queste Authenticæ, 13 sono estratte da Costituzioni di Federigo I e di Federigo II Imperatori di Lamagna, chiamate per questo Authenticæ Fredericianæ. In qualche manoscritto delle Istituzioni, come in quelli del Codice si trovano le Authenticæ, vale a dire anche al testo di quest’opera elementare, i Glossatori aggiunsero gli estratti di quelle Novelle che modificavano qualche principio in essa contenuto,

§. 245. I Glossatori dividevano in 5 parti (volumina) il loro Corpus Juris Civilis. I primi tre volumi comprendevano le 3 parti del Digesto, Vetus, Infortiatum, Novum. Il quarto volume abbracciava i primi nove libri del Codice; il quinto volume, che chiamavano volumen o volumen parvum, conteneva le Istituzioni, le nove Collazioni delle Novelle (Authenticum) gli ultimi tres libri del Codice. Vi aggiungevano ancora alcune Costituzioni e Disposizioni estranee al Diritto Romano, come le collezioni longobarde di. Diritto feudale (libri feudorum) e molte leggi degli Imperatori Federigo I, Federigo II, Corrado ec. ec. Le più antiche edizioni del Corpus Juris conservano questa divisione; tutte quelle pubblicate fino al principio del 16.° Secolo sono glossate; in seguito per circa un secolo si al[p. 146 modifica]ternarono edizioni glossate e non glossate; dal 1621 in poi le edizioni non furono più accompagnate dalla Glossa. Le Edizioni non glossate hanno abbandonato l’antico ordinamento del Corpus Juris, seguitato dai Glossatori, e cominciano generalmente con le Istituzioni, cui tengono dietro le Pandette; queste sono seguite dal Codice, al quale succedono le Novelle; finalmente si trovano le Appendici al Corpus Juris, che sono molto diverse a seconda delle Edizioni.

§. 216. Reputiamo inutile dare quì un Catalogo di tutte le più celebri edizioni del Corpus Juris Civilis così glossate, come non glossate, quel Catalogo occorrendo in tutte le opere recenti, destinate all’insegnamento del Diritto (Vedi Mackeldey, Haimberger etc. etc.) Ci limiteremo a ricordare fra le Glossate le seguenti:

1.° Ludguni apud Sennetenios fratres 1549 et 1550 - 5 vol. in folio.

2.° Cura Antonii Contii - Parigi 1576 - 5 vol. in folio.

3.° Cura Pet. ab Area Baudoza Cestii - Lione 1593 4 vol in 4.°

4.° Cura Jo. Fehii - Lione 1627 6 vol. in folio.

E fra le non Glossate:

1.° Cura Ludov. Russardi. Lione 1561 - 2 vol. in folio, ristampata a Anversa 1567 et ibid. 1570 - 7 vol. in 8⁰.

2.° Cura Ant. Contii. Lione 1571 et ibid. 1581 - 15 Vol. in 12.°

3.° Cura Lud. Charondas. Anversa 1575 in folio.

4.° Cum notis Dionys. Gothofredi Edit. princeps. Lione 1583 in 4°. Fra le diverse ristampe pubblicate per cura sua o di altro editore, quella cura Sim. Van Leewen apud Elzevirios Amsterdam 1663 in folio, è la migliore.

5.° Ex recens. Georg. Chr. Gebaueri cura Georg. Aug. Spangenbergi Gottinga 1776-1797 - 2 vol. in 49. L’Edizione più adattata ai giovani che cominciano gli studii del Diritto, è l’edizione di Lipsia del 1833-1843, cui diedero opera i fratelli Kriegel, Em. Herrmann e Osenbruggen. [p. 147 modifica]

§. 217. Non è inutile il riferire le maniere con le quali si citavano dai Glossatori, e si citano oggi le diverse parti del Corpus Juris. Per citare un qualche passo delle Istituzioni si cominciava e si comincia dall’indicare il titolo dell’opera, con la iniziale I, o con le lettere Inst - poi si trascrivevano le prime parole con le quali comincia il paragrafo, finalmente si trașcriveva la rubrica del titolo come p. e. Inst. §. fratris vero. de Nuptiis. Oggi per altro si suol citare coi numeri del paragrafo, del titolo, e del libro, come Inst. §. 3. I. 10. Talora si congiungono questi due modi di citazione come: §. 3. Inst. de Nuptiis (1,10). Per citare le Pandette i Glossatori indicavano il titolo dell’Opera con un P o un D, e più comunemente con questo segno: ff, il quale si pretende da taluno che sia un D mal fatto o una corruzione della greca lettera π. - Oggi si adopera il P, o il D, o il Dig. - La legge, o frammento, la indicavano con le prime parole con le quali comincia, e con le prime parole del paragrafo indicavano il paragrafo stesso; ed il titolo lo indicavano con la sua rubrica, come Dig. de jure Dotium. Leg. profectitia §. si pater, oppure L. profectitia §. si pater. ff. de jure Dotium. In seguito si adoperarono i numeri del Libro, del Titolo, della legge o del frammento e del paragrafo. La legge o frammento fu indicata con un l. o con le lettere leg. o con le lettere fr. come: leg. o fr. 5 §. 6. D. XXIII, 3 oppure combinando i due modi di citare, si disse fr. o Leg. 5, §. 6. Dig. de Jure Dotium (XXIII, 3). Tanto le Istituzioni quanto le Pandette avendo, le prime sempre, le seconde spesso, un principium dei respettivi paragrafi e frammenti: quando si vuol citare quel principium si adoperano le lettere pr. per indicarlo, come p. e. fr. 5 pr. Dig. de Jure Dotium (XXIII, 3). Il Codice è stato citato e si cita in modo analogo alle Pandette. Un C o le lettere Cod, indicano l’opera, se non che per indicare la costituzione, gli antichi usavano di dire legge (leg, o l.), ed i moderni costituzione (const, o c). In antico si sarebbe citato così L. 22. Cod. Mandati vel contra, oggi invece: Const. 22. Cod. IV, 35, oppure Const. 22. Cod. Mandati vel contra (IV, 35). Per citare le Novelle i Glossatori prima ponevano le let[p. 148 modifica]tere Auth, poi la rubrica del titolo, sotto il quale la Novella era nella collazione loro, in seguito le parole che cominciavano il paragrafo, e finalmente il numero della collazione, ed ordinariamente quello del titolo; come Auth de hered, ab intest. ven. §. si quis. Collat. 9. tit. 1. Oggi siccome le Novelle nelle Edizioni non glossate, sono comunemente classate nelle collazioni per ordine numerico, si cita ogni Novella pel numero che ha attualmente, senza riguardo alla collazione. Laonde la citazione precedente, oggi si farebbe così, Nov. 118. cap. I.

§. 218. Nel XIII Secolo gli studj Giuridici erano nuovamente caduti in basso, ma intorno a questa epoca sorge una scuola novella, che rovescia quella dei Glossatori e tiene il campo. È questa la Scuola detta dei Dialettici o dei Bartolisti, la Scuola comunemente chiamata barbara, per la poca perizia letteraria dei suoi membri, pel loro cieco e servile ossequio all’autorità dei nomi, ed al numero dei sostenitori di una opinione, qualunque ne fosse il merito intrinseco. Ciò non pertanto anche questa scuola ha i suoi pregj, ed ha reso non pochi servigj specialmente alla pratica. A questa Scuola debbonsi molti trattati speciali sulle singole materie del Diritto, composti ad uso del foro, nei quali si vede introdotta e seguitata fino all’esagerazione la Dialettica Scolastica. Di quì quel numero strabocchevole di distinzioni, divisioni, suddivisioni, ampliazioni, limitazioni, subampliazioni, sublimitazioni che deturpano tanti scritti, d’altronde pregevoli, e li rendono oscuri, tediosi, ed incomodi tanto che oggimai si consultano, ma non si leggono. Capo e fondatore di questa Scuola, comunemente si dice essere stato il Bartolo da Sassoferrato, giureconsulto che visse nella prima metà del XIV Secolo, onde il nome di Bartolisti dato ai seguaci della scuola medesima: ma la verità è che l’uso delle forme dialettiche fu introdotto da Odofredo, nella seconda metà del Secolo XIII: peraltro la fama del Bartolo fece andare in dimenticanza i suoi predecessori. Il Bartolo godè di tale una autorità sì in vita che dopo morte, per le sue opere e pel suo insegnamento giuridico, che difficilmente altra uguale se ne può citare nella Istoria letteraria del Diritto. Nella Spagna e nel Portogallo at[p. 149 modifica]tribuivano forza di legge alla sua opinione, ed all’Università di Padova fu istituita una Cattedra apposita perchè vi fosse letto il Testo, la Glossa e Bartolo. I più celebri seguaci del sistema Dialettico furono il Baldo, alunno e poi emulo del Bartolo, il Saliceto, il Fulgosio, Paolo de Castro, detto volgarmente il Castrense, Alessandro Tartagni, Bartolommeo Cepolla, e per ultimo Giasone Del Mayno.

§. 219. Intanto, tornati in fiore gli studj letterarj ed istorici, la Giurisprudenza ebbe a risentirne gli effetti salutari. Angelo Poliziano nella ultima metà del XV Secolo, fece uscire la Giurisprudenza da quella via selvaggia ed agreste, in cui l’avevano incamminata i Dialettici. Oratore diserto, poeta elegante, insigne filologo e filosofo profondo, il Poliziano mostrò pel primo di quale sussidio allo studio del Diritto Romano, potevano essere le cognizioni istoriche, e la cultura delle lettere greche e latine. La Scuola cui Egli diede questo nuovo indirizzo, prese il nome di Scuola dei Culti. L’Alciato, Milanese, proseguì l’opera riformatrice cominciata dal Poliziano, e surse allora quella Giurisprudenza veramente elegante ed erudita che brillò di luce sì splendida. Le antichità Romane furono studiosamente investigate, le fonti del Diritto Antico furono ricercate, ed interpretate, e perfino quelle del Diritto Bisantino divennero objetto di studio indefesso ed illuminato. Non fu senza contrasto che la Scuola colta potè prendere il di sopra; i partigiani dell’antica Scuola Dialettica, pretendevano che i Novatori criticassero il Bartolo e l’Accursio, perchè sì meschini legali da non intenderli; ed irridendo ai loro studj letterarj, anzichè Giureconsulti li chiamavano Grammatici, ed Umanisti, ed anche Nominalisti: mentre si davano il titolo di Realisti, quasichè soltanto le loro disquisizioni avessero uno scopo reale ed utile, e non fantastico ed accademico. Malgrado quest’aspra guerra, i Culti ebbero la nieglio, ed i nomi dei Ferretti, dei Socini, dei Torelli, dei Gentile furono nuovi fiori alla corona del sapere civile, di cui l’Italia andò per tanto tempo altera. In Francia seguitando l’iniziativa dell’Alciato, che ivi aveva insegnato, il Cujacio col suo sistema istorico ed esegetico, si cattivò l’am[p. 150 modifica]mirazione di tutti i cultori della Giurisprudenza, e fu salutato col nome di nuovo Papiniano. Il Donello, che fu il primo a valersi del sistema Dommatico in modo veramente lodevole, fu suo emulo e se non lo uguagliò nel sapere istorico e filologico, forse gli fu superiore nella filosofia e specialmente nella logica. Fra i contemporanei del Cujacio ebbero fama Le Conte, Labitte Duprat, Roussard, e l’eruditissimo Brisson; fra i suoi discepoli i due Pithou (Pithæi) Ranchin, Dufaur de Saint-Jory (Faber Sanjorianus) e più tardi verso il 17.° Secolo, Pacius, i due Gotofredi, Baudache, Merille, Fabrot, Menage, Domat. (Vedi Giraud Storia del D. Romano Epilogo.) Dopo la Francia, l’Olanda ed il Belgio furono i paesi, che in questi tempi avessero giureconsulti più accreditati, appartenenti alla Scuola dei Culti, come Gifanio, Paolo Merula (Van-Merle), il Grozio, il Merenda, il Vinnio, il Voet. Anche in Spagna ed in Alemagna non mancarono Giureconsulti di nome. La Spagna può citare Antonio Agostino, Sarmiento de Mendoza, Ramos del Manzano, Suarez de Retes; e l’Alemagna il Sicardo, l’Aloandro, il Vultejo, il Rittersuzio (Rittershausen) etc. etc.

§. 220. Malgrado la gloria di cui si era ricoperta la Scuola dei Culti, la tendenza pratica dei Realisti tornò a prevalere, e nel XVIII° Secolo in tutta l’Europa essi avevano riconquistato il terreno perduto. Si contavano sempre alcune splendide eccezioni come il Noodt, il Van Bynkershoek, il Meerman in Olanda, il Gravina e l’Averani in Italia; l’Eineccio, il Brunnemanno, il Voorda, il Carpzovio, il Coccejo, il Bach in Alemagna, il Pothier in Francia; ma erano pochi astri in mezzo alle tenebre.

§. 221. Terminato appena il XVIII° secolo, uno straordinario impulso agli studj eruditi del Diritto Romano, fu dato in Germania, e questo impulso dura tuttavia, ed ha prodotto i più bei resultamenti come gli immortali lavori di Haubold, di Hugo, di Savigny, di Niebuhur, di Zimmern ec. ec. In Italia (per tacere dei viventi) possiamo citare il Forti ed il Poggi, come appartenenti alla Scuola rediviva dei Culti, che oggi per le sue tendenze agli studj istorici del Diritto, chiamano Scuola Istorica.