Atto terzo

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Atto secondo
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ATTO TERZO

SCENA I

Gabinetti.

Ipermestra ed Elpinice.

Elpinice. Pure è cosí: vuol che il mio braccio adempia

ciò che il tuo ricusò.
Ipermestra.   Ma come indurre
te ad un atto sí reo? d’un’altra sposa
rendere il prence amante,
come Danao sperò?
Elpinice.   Ciò, che si brama,
mai difficil non sembra. Egli ha creduto
Linceo sedur con un geloso sdegno,
me con l’ésca d’un trono.
Ipermestra.   E che dicesti
a sí fiera proposta?
Elpinice.   Al primo istante
l’orror m’istupidí; poi mi conobbi
perduta in ogni caso. Impunemente
mai non si san simili arcani. Almeno
io mi studiai d’acquistar tempo, e finsi
di volerlo ubbidir. Di me sicuro,
ei non procura intanto al reo disegno
un altro esecutor. Fuggir poss’io;
posso avvertir Linceo.

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Ipermestra. (con timore) Parlasti a lui?

Elpinice. No; ma il dissi a Plistene; ei dell’amico
corse subito in traccia.
Ipermestra.   Ah, che facesti,
sconsigliata Elpinice! a qual periglio
esponi il padre mio! Tanti finora
costò questo segreto
sospiri a’ labbri miei, pianti alle ciglia;
e tu...
Elpinice.   Ma, principessa, io non son figlia.
Ipermestra. Va’ per pietá, trova Plistene... È meglio
che al padre io corra e lo prevenga... Oh Dio!
il colpo affretterò... Vedi a che stato
m’hai ridotta, Elpinice!
Elpinice.   E pur credei...
Ipermestra. Parlisi con Linceo. Corri, t’affretta;
ch’ei venga a me.
Elpinice.   Volo a servirti.
  (in atto di partire)
Ipermestra.   Aspetta.
Troppo arrischia, s’ei vien. De’ sensi miei
l’informi un foglio. Attendimi: a momenti
tornerò. (come sopra)
Elpinice.   Principessa,
odi.
Ipermestra.   Non m’arrestar. (come sopra)
Elpinice.   Linceo s’appressa.
Ipermestra. Aimè! se ’l vede alcun... Ma fra due rischi
scelgo il minor. Corri a Plistene intanto;
di’ che l’arcan funesto
taccia, se non parlò.
Elpinice.   Che giorno è questo! (parte)

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SCENA II

Ipermestra e Linceo.

Linceo. Non creder giá ch’io torni a te...

Ipermestra. (con fretta e premura) Vedesti
Plistene?
Linceo.   Il vidi, e l’evitai.
Ipermestra.   (Respiro.)
Linceo. E se qui ritrovarlo
fra’ labbri tuoi creduto avessi...
Ipermestra.   Il tempo
alle nostre querele
or manca, o prence. Io di lagnarmi avrei
ben piú ragion di te. Fu menzognero
il tuo sospetto, ed il mio torto è vero.
Linceo. Che! potrei lusingarmi
della fé d’Ipermestra?
Ipermestra.   Il chiedi? Ingrato!
Sí poca intelligenza
dunque ha il tuo col mio cor? Dunque non sanno
giá piú gli sguardi tuoi
il cammin di quest’alma? i miei pensieri
piú non mi leggi in volto? i merti tuoi,
la fede mia piú non conosci?
Linceo.   Ah! dunque,
cara, tu m’ami ancor?
Ipermestra.   S’io lo volessi,
non potrei non amarti. Ad altra face
non arsi mai, non arderò: tu sei
il primo, il solo, il sospirato oggetto
del puro ardor che nel mio sen s’annida:
vorrei prima morir ch’esserti infida.
Linceo. Oh cari accenti! oh mio bel nume!
Ipermestra.   E pure
solo un’ombra bastò...

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Linceo.   Lo veggo, è vero:

non merito perdon; ma...
Ipermestra.   Di scusarti
lascia il peso al mio cor. Sará sua cura
di trovarti innocente. Or da te bramo
una prova d’amor.
Linceo.   Tutto, mia speme,
tutto farò.
Ipermestra.   Me lo prometti?
Linceo.   Il giuro
ai numi, a te.
Ipermestra.   Senza frappor dimore,
fuggi d’Argo, se m’ami.
Linceo.   E qual cagione...
Ipermestra. Questo cercar non déi. Questa è la prova
ch’io domando a Linceo.
Linceo.   Che dura legge!
Ipermestra. Barbara, è ver, ma necessaria. Addio:
va’. (vuol partire)
Linceo.   Senti.
Ipermestra.   Ah! prence amato,
troppo giá mi sedusse
il piacer d’esser teco. Io perdo il frutto
del mio dolor, se piú rimango.
Linceo.   E come?
Ipermestra. Non cercar come io sto. Se tu vedessi
in che misero stato ora è il cor mio;
se tu sapessi... Amato prence, addio!
          Va’; piú non dirmi infida;
     conservami quel core;
     resisti al tuo dolore;
     ricòrdati di me.
          Che fede a te giurai,
     pensa dovunque vai;
     dovunque il ciel ti guida,
     pensa ch’io son con te. (parte)

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SCENA III

Linceo, poi Plistene.

Linceo. Qual sará, giusti numi,

mai la cagion... Ma ciecamente io deggio
il comando eseguir.
Plistene. (affannato) Pur ti ritrovo,
principe, alfin: sieguimi, andiamo.
Linceo.   E dove?
Plistene. A punire un tiranno, a vendicarci
de’ nostri torti. I tuoi seguaci, i miei
corriamo a radunar.
Linceo.   Ma quale offesa...
Plistene. Danao ti vuole estinto: indur la figlia
a svenarti non seppe: ad Elpinice
sperò di persuaderlo: essa la mano
promise al colpo, e mi svelò l’arcano.
Linceo. Barbaro! Intendo adesso
le angustie d’Ipermestra. In questa guisa
premia de’ miei sudori...
Plistene.   Or di vendette,
non di querele, è tempo. Andiam.
Linceo.   Non posso,
caro Plistene. All’idol mio promisi
quindi partir: voglio ubbidirlo.

SCENA IV

Elpinice e detti.

Elpinice.   Udite.

Io gelo di timor.
Linceo.   Che fu?
Elpinice.   S’invia
alle stanze del re, condotta a forza

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fra’ custodi, Ipermestra. O seppe o vide

Danao che teco ella parlò; né mai
sí terribile ei fu.
Linceo.   Contro una figlia
che potrebbe tentar?
Elpinice.   Tutto, o Linceo.
Ei si conosce reo;
la teme accusatrice; ed è sicuro
che il timor de’ tiranni
coi deboli è furor.
Linceo. (risoluto) Plistene, accetto
le offerte tue: le mie promesse assolve
il rischio d’Ipermestra.
Plistene.   Eccomi teco
a vincere o a morir. (in atto di partire)
Elpinice. Dove correte
cosí senza consiglio? Ah! pria pensate
ciò che pensar conviensi.
Linceo. Ipermestra è in periglio, e vuoi ch’io pensi?
          Tremo per l’idol mio,
     fremo con chi l’offende:
     non so se piú m’accende
     lo sdegno o la pietá.
          Salvar chi m’innamora
     o vendicar vogl’io:
     altro pensar per ora
     l’anima mia non sa. (parte)

SCENA V

Elpinice e Plistene.

Elpinice. Prence, e sai che avventuri

i miei ne’ giorni tuoi?
sai come io resto, e abbandonar mi puoi?

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Plistene.   Vuoi ch’io lasci, o mio tesoro,

     un amico in tal cimento?
     ah! sarebbe un tradimento
     troppo indegno del mio cor.
          Non bramarlo un solo istante;
     ché non è mai fido amante
     un amico traditor. (parte)

SCENA VI

Elpinice sola.

Numi, pietosi numi,

deh! proteggete il mio Plistene: è degno
della vostra assistenza; e, quando ancora
d’una vittima i fati abbian desio,
risparmiate il suo petto: eccovi il mio.
          Perdono al crudo acciaro,
     se, per ferirlo, almeno
     lo cerca in questo seno,
     dove l’impresse amor.
          No, non farei riparo
     alla mortal ferita:
     gran parte in lui di vita
     mi resterebbe ancor. (parte)

SCENA VII

Luogo magnifico corrispondente a’ portici ed appartamenti reali, tutto pomposamente adorno ed illuminato in tempo di notte.

Danao ed Adrasto.

Adrasto. Dove corri, o mio re?

Danao.   Fuor della reggia
un asilo a cercar.

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Adrasto.   Chi ti difende

fra ’l popolo commosso? Ogni momento
a Plistene, a Linceo
s’aggiungono i seguaci. In campo aperto
son pochi i tuoi custodi; e son bastanti
a sostener l’ingresso
de’ reali soggiorni,
fin ch’io gente raccolga e a te ritorni.
Danao. Ma quindi uscir potrai?
potrai tornar con la raccolta schiera?
Pensa...
Adrasto.   A tutto pensai: fidati e spera. (parte)

SCENA VIII

Danao ed Ipermestra fra’ custodi.

Danao. Sei contenta, Ipermestra? Al caro amante

sagrificasti il genitor: trionfa
dell’opera sublime. Il tuo Linceo
ben grato esser ti dee d’una sí bella
prova d’amor. Le sacre leggi, è vero,
calpesti di natura; è ver, cagione
sei dello scempio mio; ma il primo vanto
al tuo nome assicuri
fra le spose fedeli ai dí futuri.
Ipermestra. Padre, t’inganni: io non parlai.
Danao.   Pretendi
di deludermi ancor? Non vidi io stesso
te con Linceo?
Ipermestra.   Ma non perciò...
Danao.   T’accheta,
figlia inumana, ingrata figlia!
Ipermestra.   E credi?...
Danao. Credo ch’io son l’oggetto
dell’odio tuo; che di veder sospiri

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fumar questo terreno

del sangue mio; che tollerar non puoi
ch’io goda i rai del dí...
Ipermestra.   Ah! non mi dir cosí:
     risparmia, o genitor,
     al povero mio cor,
     quest’altro affanno.
          S’io non ti son fedel,
     un fulmine del ciel...
Popolo. (di dentro) Mora il tiranno!
Ipermestra. Ah, qual tumulto!
Danao.   Ogni soccorso è lungi:
cader degg’io. Le mie ruine almeno
non siano invendicate. (snuda la spada)

SCENA IX

Linceo, Plistene e seguaci,
tutti con ispade nude alla mano, e detti.

Linceo. Mora, mora il tiranno!
Plistene.
Ipermestra. (opponendosi) Empi, fermate!

Linceo. Lascia che un colpo alfin...
Ipermestra. (si pone innanzi a Danao) Sí; ma comincia
da questo sen: per altra strada un ferro
al suo non passerá.
Danao.   (Che ascolto!)
Plistene.   È giusta
la pena d’un crudele.
Ipermestra.   E voi chi fece
giudici de’ monarchi?
Linceo.   Il tuo periglio...
Ipermestra. Questo è mia cura.

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Linceo.   È un barbaro.

Ipermestra.   È mio padre.
Plistene. È un tiranno.
Ipermestra.   È il tuo re.
Linceo.   T’odia, e il difendi?
Ipermestra. Il mio dover lo chiede.
Plistene. Può toglierti la vita.
Ipermestra.   Ei me la diede.
Danao. (Oh figlia!)
Linceo.   E vuoi, ben mio...
Ipermestra.   Taci: tuo bene,
con quell’acciaro in pugno,
non osar di chiamarmi.
Linceo.   Amor...
Ipermestra.   Se amore
persuade i delitti,
sento rossor della mia fiamma antica.
Linceo. Ma, sposa...
Ipermestra.   Non è ver: son tua nemica.
Danao. (Chi vide mai maggior virtú!)
Plistene.   Linceo,
troppo tempo tu perdi. Ecco da lungi
mille spade appressar.
Linceo. (con fretta) Vieni, Ipermestra:
sieguimi almen.
Ipermestra.   Non lo sperar: dal fianco
del padre mio non partirò.
Linceo.   T’esponi
al suo sdegno, se resti.
Ipermestra.   E, se ti sieguo,
m’espongo del tuo fallo
complice a comparir.
Linceo.   Ma la tua vita...
Ipermestra. Ne disponga il destin. Meglio una figlia
spirar non può che al genitore accanto.
Danao. (Un sasso io son, se non mi sciolgo in pianto.)

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Plistene. Prence, ognun ci abbandona; Adrasto arriva,

fuggi, o perduto sei.
Linceo. Sálvati, amico; io vuo’ morir con lei.
  (getta la spada)

SCENA ULTIMA

Adrasto con numeroso sèguito,
Elpinice e detti.

Adrasto. Occupate, o miei fidi, (alle guardie)

dell’albergo real tutte le parti.
Plistene. Danao, non ingannarti
nell’inchiesta del reo: da me sedotto
fu il prence a prender l’armi; ei non volea.
Elpinice. Io, che svelai l’arcano, io son la rea.
Ipermestra. Padre, udisti finora
una figlia pietosa:
or che, lode agli dèi,
in sicuro giá sei, senti una sposa.
Sposa! ma non temer di questo nome,
signor, ch’io faccia abuso:
non difendo Linceo; me stessa accuso.
Io seppi, e non mi pento,
a te sagrificarlo: al sagrifizio
sopravviver non so. Se i merti suoi,
se l’antica sua fé, se un cieco amore,
se la clemenza tua,
se le lagrime mie da te non sanno
ottenergli perdon, mora; ma seco
mora Ipermestra ancor. Debole, io merto
questo castigo; e, sventurata, io chiedo
questa pietá. Troppo crudel tormento
la vita or mi saría; finisca ormai.
A salvarti bastò: fu lunga assai.

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Danao. Non piú, figlia, non piú: tu mi facesti

abbastanza arrossir. Come potrei
altri punir, se non mi veggo intorno
alcun piú reo di me? Vivi felice,
vivi col tuo Linceo. Ma, se la vita
dar mi sapesti, or l’opra assolvi, e pensa
a rendermi l’onore. Il regio serto
passi al tuo crine, e sul tuo crin racquisti
quello splendor che gli scemò sul mio.
Ah! cosí potess’io
ceder dell’universo a te l’impero:
renderei fortunato il mondo intero.
Tutti.   Alma eccelsa, ascendi in trono:
     della sorte ei non è dono;
     è mercé di tua virtú.
          La virtú, che in trono ascende,
     fa soave, amabil rende
     fin l’istessa servitú.

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LICENZA

Or, deposto il coturno, i vostri alfine

fortunati imenei,
eccelsi sposi, io celebrar dovrei:
ma vanta il nodo augusto
áuspici sí gran numi, unisce insieme
virtú sí pellegrine, avviva in noi
tante speranze e tanti voti appaga,
che la voce sospesa
gela sul labbro al cominciar l’impresa.
Ma nel silenzio ancora
v’è chi parla per me. Vedete intorno
come su’ volti in cento guise e cento
è atteggiato il contento,
il rispetto, l’amor. Quei muti sguardi
rivolti al ciel, quell’umide pupille
in cui ride il piacer, quelli d’affetto
insoliti trasporti, onde a vicenda
stringe l’un l’altro al sen, teneri eccessi
son del giubilo altrui, son lieti augúri,
son lodi vostre. A quel silenzio io cedo
l’onor dell’opra. Un tal silenzio esprime
tutti i moti del cor limpidi e vivi;
e facondia non v’è che a tanto arrivi.
Coro.   Per voi s’avvezzi Amore,
     eccelsa coppia altèra,
     coi mirti di Citera
     gli allori ad intrecciar.
          Ed il fecondo ardore
     di fiamme cosí belle
     faccia di nuove stelle
     quest’aria scintillar.