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272 xx - ipermestra


SCENA II

Ipermestra e Linceo.

Linceo. Non creder giá ch’io torni a te...

Ipermestra. (con fretta e premura)  Vedesti
Plistene?
Linceo.   Il vidi, e l’evitai.
Ipermestra.   (Respiro.)
Linceo. E se qui ritrovarlo
fra’ labbri tuoi creduto avessi...
Ipermestra.   Il tempo
alle nostre querele
or manca, o prence. Io di lagnarmi avrei
ben piú ragion di te. Fu menzognero
il tuo sospetto, ed il mio torto è vero.
Linceo. Che! potrei lusingarmi
della fé d’Ipermestra?
Ipermestra.   Il chiedi? Ingrato!
Sí poca intelligenza
dunque ha il tuo col mio cor? Dunque non sanno
giá piú gli sguardi tuoi
il cammin di quest’alma? i miei pensieri
piú non mi leggi in volto? i merti tuoi,
la fede mia piú non conosci?
Linceo.   Ah! dunque,
cara, tu m’ami ancor?
Ipermestra.   S’io lo volessi,
non potrei non amarti. Ad altra face
non arsi mai, non arderò: tu sei
il primo, il solo, il sospirato oggetto
del puro ardor che nel mio sen s’annida:
vorrei prima morir ch’esserti infida.
Linceo. Oh cari accenti! oh mio bel nume!
Ipermestra.   E pure
solo un’ombra bastò...